Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-11-2011) 09-12-2011, n. 45914 Questioni di legittimità costituzionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Ha personalmente proposto ricorso per cassazione M. P., avverso la sentenza della Corte di Appello di Perugia del 3.12.2010, che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti il 12.5.2003 dal locale Tribunale, sez. distaccata di Foligno, all’esito di giudizio abbreviato, per vari fatti di ricettazione di numerosi assegni bancari oggetto dei capi da 2 a 7 dell’imputazione.

2. Con il primo motivo il ricorrente, premesso di avere richiesto il giudizio abbreviato incondizionato dopo avere inutilmente proposto più volte istanza di patteggiamento, una prima volta rigettata dal giudice del dibattimento per la ritenuta incongruità della pena proposta, la seconda per il dissenso del PM, lamenta il vizio di mancanza, manifesta illogicità e/o contraddittorietà della sentenza, per avere i giudici territoriali omesso di prendere in considerazione la seconda istanza di patteggiamento argomentando sulle ragioni per cui il dissenso del PM dovesse ritenersi condivisibile. In ogni caso, la norma dell’art. 448 c.p.p., comma 1, sarebbe incostituzionale nella parte in cui non prevede che la valutazione se il dissenso del pubblico ministero sull’istanza di patteggiamento sia o meno giustificato, competa anche al giudice che proceda con rito abbreviato a seguito del rigetto dell’istanza, e non solo al giudice del dibattimento.

2.1 Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta il vizio di motivazione della sentenza in ordine a tutti i reati di cui ai capi da 2 a 7 dell’imputazione. In particolare, quanto al fatto di cui al capo 5, le dichiarazioni del teste G. non sarebbero affatto coerenti con l’ipotesi accusatoria, ma proverebbero, al contrario, la sua estraneità alla vicenda ; per il reato di cui al nr. 3, sarebbe del tutto arbitraria l’inferenza della responsabilità dell’imputato dalla circostanza che l’assegno oggetto dell’imputazione era stato negoziato a distanza di pochi giorni dagli altri titoli in assenza di qualunque altra indicazione, non essendo affatto individualizzanti le dichiarazioni della teste U.; per l’assegno di cui al capo 2, del pari non vi sarebbero prove certe della identificazione dell’imputato come autore del rilascio del titolo al teste D. S.G., non potendosi ritenere sufficiente l’annotazione del numero della carta di identità del ricorrente sul retro dell’assegno, e le stesse considerazioni varrebbero, sostanzialmente, per l’assegno di cui al nr. 7, anche in ordine al quale si registrerebbe soltanto il debole indizio della visione da parte del teste Sa., degli estremi della carta di identità del suo interlocutore contrattuale; quanto all’assegno di cui al capo 7, le dichiarazioni del teste C. sarebbero inattendibili perchè tardive nell’indicazione del ricorrente come l’autore del rilascio del titolo, sul quale comunque non figurava, come del resto nelle altre occasioni, la firma di girata dello stesso ricorrente; troppo vaghe, rispetto all’assegno di cui al nr. 4, sarebbero le indicazioni del teste Mo. sulle caratteristiche fisiche del soggetto che gli rilasciò il titolo medesimo, per quanto lo stesso Mo., avesse dichiarato di conoscere personalmente il ricorrente, circostanza peraltro inverosimile, perchè allora non si spiegherebbe come mai il teste non avesse cercato di contattare il ricorrente dopo avere appreso della provenienza illecita del titolo.

2.2. Infine, il ricorrente lamenta l’omessa considerazione, da parte dei giudici di appello, della richiesta difensiva di concessione delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena formulata dalla difesa.

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. Le questioni processuali sollevate dalla difesa sono ampiamente pregiudicate dagli arresti della giurisprudenza di legittimità e della Corte Costituzionale già intervenuti in materia. In particolare, il giudice delle leggi con ordinanza nr. 0225/2003 del 04/06/2003 ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 448 c.p.p., sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 97 Cost. e art. 111 Cost., comma 2, nella parte in cui la norma denunciata non prevede che il giudice possa ritenere ingiustificato il dissenso del pubblico ministero all’applicazione della pena e pronunciare sentenza a norma dell’art. 444 c.p.p. anche all’esito del giudizio abbreviato richiesto dall’imputato. In relazione alla ipotizzata irragionevole discriminazione dell’imputato che ha chiesto il giudizio abbreviato rispetto a quello che tale richiesta non ha formulato, non è dato, infatti, ravvisare, secondo la Corte Costituzionale, alcuna violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in quanto la diversità delle situazioni processuali poste a raffronto è conseguenza di strategie difensive rimesse alla libera scelta dell’imputato. E non risultano violati nè, da un lato, il principio del buon andamento dei pubblici uffici – che si riferisce non già all’attività giurisdizionale in senso stretto, bensì all’organizzazione ed al funzionamento dell’amministrazione della giustizia – nè, dall’altro, il principio della ragionevole durata del processo: la denunciata disciplina appare, infatti, frutto di scelte normative non prive di valide giustificazioni in ordine alla configurazione e ai rapporti tra riti alternativi, che consente il sindacato del giudice sul dissenso del pubblico ministero soltanto in esito alla celebrazione del dibattimento.

1.2. Se l’imputato avesse voluto insistere nell’istanza di patteggiamento, non gli restava quindi che la scelta del rito ordinario, per rinnovare la richiesta nella fase degli atti preliminari alla dichiarazione di apertura del dibattimento, e per confidare, comunque, che il giudice del dibattimento, ritenuto ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, provvedesse ai sensi dell’ultimo inciso dell’art. 448 c.p.p., comma 1. Una volta richiesto e ammesso il giudizio abbreviato, il procedimento non poteva invece più essere definito con una sentenza di, patteggiamento stante la non convertibilità dell’un rito nell’altro(Corte di Cassazione nr. 15451 25/03/2010 – 22/04/2010 SEZ. 1, Soldano).. Considerata la preclusione processuale rispetto al rinnovo della richiesta di patteggiamento, determinata dall’instaurazione del rito abbreviato, il gup non aveva quindi alcun obbligo di motivare sull’istanza perchè, anche se avesse ritenuto ingiustificato il diniego del pubblico ministero rispetto alla originaria richiesta di patteggiamento, non avrebbe comunque potuto accoglierla ai sensi dell’art. 448 c.p.p..

1.3 I motivi sull’illogicità della motivazione in punto di responsabilità penale, sono chiaramente contaminati da inammissibili profili di merito, peraltro sviluppati dalla difesa senza il sostegno di precisi riferimenti processuali, ma con la "sintetica" rievocazione di singoli incisi delle dichiarazioni dei vari testi, a volte con esiti singolarmente opposti a quelli risultanti dal testo del provvedimento impugnato,soprattutto riguardo al riconoscimento dell’imputato da parte dei vari testi. Vanamente poi la difesa contesta la congruità delle valutazioni della Corte territoriale rispetto, ad es., al dato di prova costituito dai documenti d’identità esibiti dall’imputato in occasione di varie negoziazioni, secondo una prassi peraltro consueta nel caso di pagamenti effettuati con assegni di conto corrente bancario. Non è poi corrispondente al vero l’affermazione secondo cui i giudici di appello avrebbero effettuato un collegamento tra i vari episodi in contestazione, sulla base del breve tempo trascorso tra la negoziazione degli assegni; in realtà, un ulteriore collante tra i vari fatti, ai fini della conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato, è individuato dai giudici di appello nella circostanza,di ben diverso significato probatorio, che tutti i moduli di assegno utilizzati provenivano dallo stesso carnet sottratto al correntista.

1.4 La motivazione della sentenza è puntuale anche in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio. I giudici di appello considerano i numerosi precedenti penali anche specifici dell’imputato per negare correttamente la concessione delle attenuanti generiche, e altrettanto correttamente formulano un giudizio prognostico sfavorevole al ricorrente circa il pericolo di futura reiterazione dei reati. Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M. Alla stregua delle precedenti considerazioni, va pertanto dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente e l’inammissibilità del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale; Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

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