Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-06-2012, n. 10877 Procedimento esecutivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1. M.T., T.A. e T.G. proposero reclamo avverso il provvedimento del 23.12.02 con cui il tribunale di Como – sez. dist. di Erba aveva dichiarato estinto il procedimento di espropriazione presso terzi intentato contro di loro ed il terzo R. presso quell’ufficio giudiziario dall’avv. V.L.; e tanto fecero dolendosi del pregiudizio loro arrecato, per la mancata informazione della rinunzia, nei rapporti col terzo pignorato e quanto all’opposizione avverso la successiva procedura esecutiva.

1.2. Il collegio di quel tribunale, peraltro, con sentenza n. 368 del 28.3.03, rigettò il reclamo e le domande di rifusione delle spese in favore dei reclamanti; ma costoro interposero gravame e la corte di appello del capoluogo lombardo, con sentenza n. 2537 del 17.10.06, dichiarò improponibile il proposto reclamo e condannò gli appellanti alle spese del doppio grado.

1.3. Per la cassazione di tale sentenza ricorrono ora, affidandosi ad un motivo unitario corredato da undici motivi, M.T., T.A. e T.G.; resiste il V. con controricorso, illustrato anche con memoria.

Motivi della decisione

2. I ricorrenti formulano un unitario motivo, rubricato "art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione degli artt. 100, 306 e 629 c.p.c.; art. 111 Cost., art. 6 CEDU, art. 14 Patto di New York 9.12.1966; art. 630, 308, 134 e 176 c.p.c.; art. 487 c.p.c., u.c.; art. 172 disp. att. c.p.c.; art. 632 c.p.c., comma 2; art. 307 c.p.c., u.c.; art. 626 c.p.c.; art. 360 c.p.c., n. 5"; e lo corredano di un quesito multiplo, articolato su disparate proposizioni.

3. Dal canto suo, il controricorrente contesta l’ammissibilità del ricorso, anche sotto il profilo della formulazione dei quesiti, ma esamina poi partitamente le doglianze sviluppate.

4. Va preliminarmente considerato che alla fattispecie si applica l’art. 366-bis cod. proc. civ.:

4.1. tale norma è stata introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e resta applicabile – in virtù dell’art. 27, art. 6 del medesimo decreto – ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che possa rilevare la sua abrogazione – a far tempo dal 4 luglio 2009 – ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58, comma 5 di quest’ultima (con ultra-attività ritenuta conforme a Costituzione, tra le altre, da Cass., ord. 14 novembre 2011, n. 23800);

4.2. i criteri elaborati per la valutazione della rilevanza dei quesiti vanno applicati anche dopo la formale abrogazione, nonostante i motivi che l’avrebbero determinata, attesa l’univoca volontà del legislatore di assicurare ultra-attività alla norma (per tutte, v.

espressamente Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194);

4.3. quanto ai quesiti previsti dal primo comma di tale norma, in linea generale, essi (tra le molte e per limitarsi alle più recenti, v.: Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704) devono compendiare (e tanto che la carenza di uno solo di tali elementi comporta l’inammissibilità del ricorso:

Cass. 30 settembre 2008, n. 24339): a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie;

4.4. quanto poi al capoverso dell’art. 366-bis cod. proc. civ., va rilevato che per le doglianze di vizio di motivazione, occorre la formulazione – con articolazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso – di un momento di sintesi o di riepilogo (come puntualizza già Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002, con indirizzo ormai consolidato, a partire da Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603: v., tra le ultime, Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680) il quale indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure – se non soprattutto – le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002; da ultimo, v. Cass., ord. n. 27680 del 2009); tale requisito non può ritenersi rispettato quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002).

5. In applicazione di tali criteri al quesito formulato nella fattispecie, nessuna delle tredici (o, a non voler considerare le prime due, anteriori all’intestazione "quesito di diritto", delle undici) proposizioni in cui esso si articola contiene una chiara e separata indicazione: quanto alle questioni di diritto, dei tre requisiti di cui al precedente punto 4.3.; quanto ai pretesi vizi motivazionali, dei momenti di chiara ed esaustiva sintesi di cui al precedente punto 4.4. Tanto esime dalla disamina delle questioni, non ammissibilmente presentate come tra loro inestricabilmente connesse e tali da non condurre alla facile evidenziazione di uno specifico motivo, ritualmente presentato, completo in ogni sua parte, fin dall’atto di proposizione del reclamo, non potendo ammettersi, per non eludere la perentorietà del relativo termine, il completamento a posteriori dell’atto propositivo di un tale gravame con le indicazioni indispensabili per la sua ammissibilità (tra cui l’allegazione dei motivi o dell’interesse specifico ad impugnare).

6. Del resto, effettivamente gli interessi degli odierni ricorrenti – sempre che tali profili fossero stati ritualmente dedotti fin dall’atto di reclamo, non essendo ammessa una successiva integrazione di questo – avrebbero trovato adeguata tutela in tutt’altra sede, con conseguente inammissibilità del reclamo:

6.1. da un lato (Cass. 22 marzo 2011, n. 6546; Cass. 16 novembre 2005, n. 23084), l’estinzione del processo , esecutivo non priva, normalmente, di interesse le parti del giudizio di opposizione all’esecuzione eventualmente già intentato avverso la procedura (tranne il caso in cui esso abbia ad oggetto la pignorabilità di beni non fungibili); sicchè la tutela delle ragioni, anche risarcitorie, derivanti dall’illegittimità eventualmente riconosciuta in sede oppositiva avrebbe trovato adeguato spazio nell’opposizione all’esecuzione, se solo i debitori l’avessero tempestivamente dispiegata, senza bisogno dell’artificiosa necessità di mantenere a tal fine ostinatamente in vita un processo esecutivo che, con la discrezionale rinunzia del solo creditore procedente, non ha più alcun giuridico fondamento;

6.2. quanto poi all’attivazione di nuove procedure esecutive, queste non sarebbero precluse, fino all’effettivo ed integrale pagamento del credito azionato, dalla persistente pendenza di altra, salva l’operatività del cumulo dei mezzi di espropriazione: il quale, però, non potrebbe certo risolversi, dinanzi alla libera e discrezionale rinunzia ad una delle procedure, in favore della procedura estinta ed in danno della successiva;

6.3. sicchè può concludersi che non ha giammai – salve le ragioni da far valere in separato giudizio di opposizione ai sensi degli artt. 615 o 617 cod. proc. civ. un interesse giuridicamente tutelato il debitore a conseguire la prosecuzione del processo esecutivo in quanto tale e ad opporre la dichiarata estinzione per tale scopo, se non limitatamente alla sola e mera irritualità dei suoi specifici presupposti, come posti a base del relativo provvedimento.

7. Il ricorso è pertanto inammissibile; e la condanna dei ricorrenti, tra loro in solido per l’evidente comunanza della posizione processuale, non può che conseguire alla loro soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna M. T., T.A. e T.G., tra loro in solido, al pagamento, in favore di V.L., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 7 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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