Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-11-2011) 09-12-2011, n. 45913

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ha personalmente proposto ricorso per cassazione, S. F., avverso la sentenza della Corte di Appello di L’Aquila del 7.4.2010, che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal gup del Tribunale di Pescara il 26.10.2006, per il reato di rapina aggravata. Deduce il ricorrente:

– il vizio di violazione di legge e la mancanza e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in punto di conferma del giudizio di responsabilità nei suoi confronti; la minaccia in danno delle persone offese dovrebbe ritenersi "irrealistica e impossibile" e comunque sarebbe stata posta in essere soltanto da N. G., originario coimputato, reo confesso; uno dei testi oculari aveva riconosciuto soltanto il N., affermando di non essere in grado di identificare anche l’altro complice; non vi sarebbe inoltre alcuna prova della compartecipazione al delitto del ricorrente, dovendosi ritenere che il fatto fu commesso dal N. con altri complici.

– il vizio di violazione di legge e la mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in ordine alla valutazione dell’attendibilità della chiamata di correo effettuata nei suoi confronti dal N., alla luce dei criteri stabiliti dall’art. 192 c.p.p.; le dichiarazioni eteroaccusatorie del N. sarebbero sospette nella tempistica, perchè lo stesso aveva inizialmente negato ogni personale coinvolgimento nella rapina, affermando di non volere coinvolgere terze persone, mutando inopinatamente atteggiamento subito dopo; le dichiarazioni del N. sarebbero in più punti imprecise a e approssimative, mentre il S. aveva offerto una diversa e verosimile versione dei fatti, ingiustificatamente trascurata dalla Corte di merito.

– il vizio di violazione di legge e la mancanza di motivazione anche in ordine alla concreta determinazione del trattamento sanzionatorio.

Al riguardo, il ricorrente si impegna nella enunciazione dei criteri generali che devono presiedere all’esercizio, da parte del giudice, del proprio potere discrezionali nella determinazione della pena, anche con riferimento alla sua funzione rieducativa sancita dall’art. 27 Cost.), il vizio di violazione di legge e la mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta rilevanza della recidiva, applicata "aritmeticamente" nonostante il curriculum criminale del ricorrente fosse scarsamente significativo, soprattutto in materia di reati contro il patrimonio, e nonostante la facoltatività, nella specie, dell’applicazione della recidiva, che avrebbe potuto essere neutralizzata anche con il giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto ex art. 69 c.p.; peraltro, l’unico precedente di una certa gravita, cioè risultante dalla sentenza di condanna del Tribunale di Pescara n. 547 del 14.5.2002, non sarebbe in realtà un precedente, essendo la sentenza tuttora al vaglio della Corte di Cassazione.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. In punto di responsabilità le deduzioni del ricorrente sono per lo più generiche e assertive, oltre che aspecifiche rispetto ai fondamentali passaggi argomentativi della sentenza impugnata. In particolare, con riferimento all’elemento della minaccia nella condotta dei malviventi che si introdussero all’interno dell’esercizio rapinato, il ricorrente nemmeno si preoccupa di analizzare i dettagli del fatto, limitandosi a sostenere senz’altro la natura "irrealistica" della minaccia. Ma la Corte territoriale del tutto congruamente rileva al riguardo che l’esibizione di uno strumento da taglio al cassiere e l’intimazione ai presenti di gettarsi per terra, non potrebbero considerarsi certo inidonee a determinare un effetto di intimidazione nei confronti delle vittime.

2. La partecipazione al fatto del ricorrente è stata affermata dalla Corte di merito sulla base di indicazioni di prova in effetti assolutamente concludenti, essendo stato il S. sorpreso intento a consumare eroina appena due ore dopo la rapina, insieme al complice reo confesso, all’interno dell’abitazione di quest’ultimo, dove era ancora custodita parte della refurtiva. La chiamata di correo effettuata nei confronti del ricorrente dal suo complice non potrebbe quindi essere assistita da riscontri più solidi, a fronte dei quali del tutto irrilevante appare che il ricorrente non sia stato riconosciuto dalle persone presenti al fatto.

3. Le questioni sul trattamento sanzionatorio puntano più sulla svalutazione dei precedenti penali del ricorrente, che sono comunque plurimi, indipendentemente dalla questione della definitività della condanna più grave, che sulla sottolineatura di circostanze particolarmente favorevoli al ricorrente, o fanno leva su considerazioni soltanto assertive, come il riferimento ai "travagliati periodi di vita al buio in strada e senza fissa dimora" vissuti dal S., che costituirebbero, peraltro, al pari della sua abitudine all’assunzione di stupefacenti, specifici fattori criminogeni. E appare soltanto "accademico" il riferimento alla funzione rieducativa della pena, peraltro non necessariamente legata alla sua entità. 4. Nessun contributo significativo è espresso infine dai motivi aggiunti depositati dalla difesa. Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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