Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-06-2012, n. 10873 Difformità e vizi dell’opera

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Catania ha accolto l’opposizione proposta da R.M.P. al decreto ingiuntivo notificatole dalla s.p.a. COVIN, recante condanna al pagamento di Euro 17.973,82, oltre interessi e spese, a saldo del corrispettivo di lavori di riparazione meccanica di un autocarro.

L’opponente aveva eccepito che le riparazioni non erano state eseguite a regola d’arte, tanto che il motore dell’autocarro manifestava i medesimi inconvenienti, ed aveva proposto domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni.

L’opposta aveva replicato eccependo la mancata denuncia dei vizi nel termine di cui all’art. 1667 c.c. o art. 2226 cod. civ. e comunque l’infondatezza dell’opposizione.

La Corte di appello, come già il Tribunale, ha accolto l’opposizione e revocato il decreto ingiuntivo, rigettando la domanda riconvenzionale dell’opponente.

La COVIN propone due motivi di ricorso per cassazione.

L’intimata non ha depositato difese.

Motivi della decisione

1.- La Corte di appello ha ritenuto fondata l’eccezione di COVIN secondo cui i vizi dell’opera non sono stati tempestivamente e specificamente denunciati nel termine di otto giorni di cui all’art. 2226 cod. civ., norma che ha ritenuto applicabile alla fattispecie.

Ha però confermato la revoca del decreto ingiuntivo sul rilievo che Covin ha riconosciuto l’esistenza dei vizi medesimi, tramite la ripetuta esecuzione delle riparazioni sul motore dell’autoarticolato, fra il giugno e il dicembre 1999.

Ha rilevato che le riparazioni medesime non hanno eliminato gli inconvenienti al motore, nonostante l’avvenuto pagamento da parte della committente di L. 40 milioni, richiamando le testimonianze assunte nel corso del giudizio circa il fatto che il motore non funzionava, nonostante che Covin avesse sostituito due volte la serie di canne e pistoni, e la corrispondenza anteriore alla causa – in particolare, la lettera 11 novembre 2000 con cui la R. ha contestato la richiesta di pagamento del saldo – da cui risulta che le parti si erano accordate nel senso che Covin avrebbe trattenuto a saldo le somme già ricevute per le prime riparazioni, rinunciando al pagamento per i successivi interventi, considerandoli effettuati in garanzia.

2.- Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 1495, 1667, 2226 e 2729 cod. civ., artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione, la ricorrente assume che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che il suo comportamento abbia evidenziato il riconoscimento dell’inadeguatezza delle riparazioni; in primo luogo perchè il riconoscimento non è avvenuto entro i termini stabiliti per la denuncia dei vizi; in secondo luogo perchè è stato desunto da comportamenti non significativi.

Afferma che il termine di prescrizione di un anno per la garanzia veniva a scadere nel dicembre 2000, poichè l’ultimo intervento sull’automezzo è stato effettuato il 23 dicembre 1999; che la prima lettera di denuncia porta la data 11 novembre 2000 ed è stata ricevuta il 14 successivo, mentre l’azione in giudizio è stata proposta, con l’opposizione a decreto ingiuntivo, solo il 9 gennaio 2003, senza alcun precedente atto interruttivo; che gli interventi di riparazione dell’automezzo, eseguiti fra il giugno e il dicembre 1999, non valgono a manifestare univocamente la volontà di riconoscere i vizi, sia perchè la necessità delle nuove riparazioni potrebbe essere derivata dall’incuria nell’uso del mezzo, o dalle pessime condizioni pregresse dello stesso, anzichè dall’inadempimento dell’autofficina; sia perchè l’esecuzione di riparazioni meccaniche rientra nell’attività tipica di COVIN, attività che non viene rifiutata ad alcuno e che quindi non manifesta di per sè il riconoscimento dei vizi; sia perchè Covin essa esigeva il pagamento di ogni intervento, il che contrasta con la volontà di riconoscere di essere tenuta a prestare la garanzia.

Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 1460 e 2697 cod. civ. e art. 115 cod. proc. civ., nonchè vizi di motivazione, la ricorrente censura il capo della sentenza impugnata che – qualificando come inadempimento o inesatto adempimento la sua attività – le ha addossato l’onere della prova di avere correttamente eseguito la prestazione, laddove invece l’opponente ha nella sostanza eccepito la sussistenza di vizi dell’opera, vizi dei quali avrebbe dovuto essa stessa fornire la prova.

3.- I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perchè connessi, sono infondati, se non anche inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis cod. proc. civ., n. 1.

3.1.- La sentenza impugnata ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di cassazione e i motivi di ricorso non offrono argomenti per discostarsi dalla suddetta giurisprudenza.

Si è più volte deciso, infatti, che "Il riconoscimento, da parte del venditore, dei vizi della cosa alienata, che può avvenire anche "per facta concludentia", quali l’esecuzione di riparazioni o la sostituzione di parti della cosa medesima ovvero la predisposizione di un’attività diretta al conseguimento od al ripristino della piena funzionalità dell’oggetto della vendita, determina la costituzione di un’obbligazione che, essendo oggettivamente nuova ed autonoma rispetto a quella originaria di garanzia, è sempre svincolata, indipendentemente dalla volontà delle parti, dai termini di decadenza e di prescrizione fissati dall’art. 1495 cod. civ., ed è, invece, soggetta soltanto alla prescrizione ordinaria decennale" (Cass. civ. Sez. 2, 13 dicembre 2001 n. 15758; Idem, 26 marzo 2010 n. 15758).

Il principio, pur se enunciato con riferimento ad un contratto di compravendita, detta precisi criteri di decisione che si attagliano anche al caso di specie.

Se ne desume infatti in primo luogo che il riconoscimento delle imperfezioni dell’opera commissionata ben può avvenire tramite la spontanea esecuzione delle riparazioni da parte del prestatore d’opera, al fine di ripristinare la piena funzionalità del bene su cui il lavoro è stato eseguito, com’è avvenuto nel caso in esame.

In secondo luogo che tale comportamento ha l’effetto di svincolare l’obbligazione del prestatore d’opera dai rigidi termini di prescrizione e decadenza fissati, nella specie, dall’art. 2226 cod. civ..

Nell’eseguire più volte le medesime riparazioni, avrebbe dovuto Covin dimostrare che esse erano attribuibili a causa diversa dalla manchevole esecuzione dell’opera inizialmente commissionata, dovendosi altrimenti presumere che la riparazione originaria non sia andata a buon fine.

Va soggiunto che, a prescindere dai principi sopra richiamati, l’eccezione diretta a paralizzare la domanda di pagamento può essere proposta senza limiti di tempo, anche quando sia prescritta l’azione per far valere l’esistenza dei vizi, come disposto dall’art. 1495 cod. civ., u.c., in tema di compravendita e dall’art. 1667, u.c., in tema di appalto, principio quest’ultimo indubbiamente applicabile anche al contratto d’opera.

Nella specie l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo – pur presentandosi processualmente come azione – ha rappresentato nella sostanza l’atto mediante il quale è stata eccepita la sussistenza di vizi dell’opera; sicchè l’iniziativa non sarebbe stata comunque soggetta ai rigorosi termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 2226 cod. civ..

Quanto poi alla tempestività del riconoscimento dei vizi, essa va ravvisata quando il riconoscimento avvenga entro il termine di prescrizione dell’azione di garanzia – nella specie, entro l’anno dalla consegna dell’opera (art. 2226 cod. civ.) – non necessariamente entro il breve termine di decadenza stabilito per la denuncia dei vizi, come si desume testualmente dall’art. 1667 cod. civ., comma 2, in tema di appalto, norma da ritenere applicabile anche al contratto d’opera.

Nella specie la stessa ricorrente afferma che il termine annuale di prescrizione di cui all’art. 2226 cod. civ., sarebbe venuto a scadere nel dicembre 2000.

I comportamenti a cui la Corte di appello ha attribuito il significato di atti di riconoscimento della cattiva esecuzione dell’opera si sono verificati nel periodo giugno – dicembre 1999, sicchè non risulta sotto quale profilo ne venga denunciata la tardività.

3.2.- Neppure sussistono i lamentati vizi di motivazione.

Quanto all’asserita non univocità del significato da attribuire agli interventi di riparazione, trattasi di accertamento in fatto, che la Corte di appello ha congruamente motivato con riferimento alle risultanze istruttorie acquisite al giudizio.

La Corte di appello, sulla base del suo discrezionale potere di valutazione delle risultanze istruttorie, ha messo in evidenza che i molteplici interventi hanno avuto per oggetto le stesse parti dell’automezzo. Ha poi ritenuto affidabile il contenuto della lettera 11 novembre 2000, proveniente dalla R., da cui risulta che, essendo state già pagate dalla committente L. 40 milioni per la sistemazione del motore, senza ottenere il risultato, era intercorso fra le parti un accordo per cui Covin avrebbe rinunciato al pagamento delle ultime prestazioni, considerandole effettuate in garanzia.

Trattasi di apprezzamento dei fatti più che logico e congruente con le peculiarità del caso di specie, che non si presta in alcun modo a censura in questa sede.

3.3.- Quanto all’onere della prova dell’inesatto adempimento, che si assume gravare sulla committente, sul rilievo che nella sostanza si tratterebbe della denuncia di vizi dell’opera stessa, le doglianze della ricorrente non sono in termini.

Il contratto in oggetto riguardava una prestazione di fare, tendente ad assicurare un risultato, cioè il regolare funzionamento del motore dell’automezzo. Il mancato conseguimento del risultato è venuto a configurare una fattispecie di inadempimento o di inesatto adempimento, non potendosi oggettivamente ed esteriormente accertare, da parte della committente, quali fossero i vizi della riparazione e per quali cause essa non avesse sortito buon esito.

La disciplina applicabile è stata correttamente individuata dalla Corte di appello, pertanto, nei principi che regolano l’onere della prova dell’adempimento contrattuale, secondo cui l’onere di dimostrare l’esatto adempimento grava sempre sul contraente tenuto a rendere la prestazione che si assume inadempiuta (Cass. civ. S.U. 30 ottobre 2001 n. 13533; Cass. civ. Sez. 2, 11 novembre 2008 n. 26953;

Cass. civ. Sez. 1, 3 luglio 2009 n. 15677; Cass. civ. Sez. 3r 12 febbraio 2010 n. 3373, fra le tante).

Non è applicabile, invece, la normativa che attiene alla denuncia dei vizi dell’opera, in relazione alla quale si può condividere il principio enunciato dalla ricorrente, per cui l’onere della prova dei vizi grava normalmente sul committente.

Trattasi peraltro di principio che deve essere applicato con tutti i temperamenti richiesti dalle esigenze di coordinamento con la regola generale, per cui la prova dell’adempimento grava a carico dell’obbligato, nonchè dalla necessità di tenere conto delle peculiarità del caso concreto, per cui non si potrebbe pretendere, per esempio, che sia dimostrata dal committente la natura del vizio di una prestazione oggettivamente inadeguata, ove ciò richieda peculiari competenze tecniche circa le modalità dell’esecuzione, note al solo prestatore d’opera (Per il primo aspetto cfr. Cass. civ. Sez. 2, 20 gennaio 2010 n. 936 in tema di appalto, secondo cui le peculiari disposizioni attinenti alla garanzia per i vizi dell’opera "…….assoggettata ai ristretti termini decadenziali di cui all’art. 1661 cod. civ., non derogano al principio generale che governa l’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive, il quale comporta che l’appaltatore, il quale agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, abbia l’onere – allorchè il committente sollevi l’eccezione di inadempimento di cui al terzo comma di detta disposizione – di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte").

La sentenza impugnata deve essere quindi confermata anche per quanto concerne l’onere della prova dell’inadempimento, risultando assorbite le ulteriori censure.

4.- Il ricorso deve essere rigettato.

5.- Non essendosi costituita l’intimata non vi è luogo a pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *