Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 26-09-2011) 09-12-2011, n. 45908

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 .-. B.L., B.A. e S.R. hanno proposto, tramite i loro legali, ricorso per cassazione avverso il decreto in epigrafe indicato, con il quale la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato il decreto del Tribunale di Crotone del 27.1.2009 di sottoposizione di B.L. alla misura di prevenzione patrimoniale della confisca, avente ad oggetto beni di proprietà del medesimo o a lui riconducibili. I ricorrenti deducono in primo luogo la violazione del termine annuale di cui alla L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, comma 3. In particolare, ricordano che il decreto di confisca era stato adottato in data 27-1-2009, là dove il pedissequo sequestro precauzionale a norma dell’art. 2 bis della predetta Legge era stato eseguito in data 19-4-2007 e convalidato l’8- 5-2007. Posto che il decreto applicativo della misura di prevenzione era stato emesso in data 22-10-2007, ricorrerebbe, a loro avviso, l’ipotesi di un provvedimento reale adottato successivamente alla misura personale, ipotesi in cui la confisca deve intervenire entro un anno dal sequestro ai sensi della L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, comma 3.

Denunciano poi la violazione della L. n. 575 del 1965, artt. 2 bis e 2 ter per il mancato rispetto del principio della necessaria correlazione temporale fra l’accertata pericolosità sociale del proposto e la acquisizione dei beni confiscati. Segnatamente, il contestato inserimento del B. nella cosca Maesano sarebbe avvenuto a far data dal (OMISSIS), sicchè non avrebbero dovuto essere considerati frutto di attività delittuosa i beni acquistati molti anni prima dell’inizio della sua asserita carriera criminale, e cioè gli appartamenti di (OMISSIS), acquistati nel 2000 e nel 1997, l’abitazione di (OMISSIS), acquistata nel 1996, e i due terreni di (OMISSIS), acquistati nel 1999, nonchè gli immobili di cui ai punti 3 e 4 del decreto, acquisiti per successione denunciata nel 2003, e l’immobile di proprietà di S.R., pervenuto alla stessa nel 1991. Infine i ricorrenti chiedono l’annullamento del provvedimento impugnato per mancanza assoluta di motivazione in ordine alla dimostrata provenienza lecita dei mezzi necessari per acquistare i beni confiscati.

2 .-. Preliminarmente deve ricordarsi che in tema di procedimento di prevenzione, il difensore del terzo interessato, non munito di procura speciale, non è legittimato a ricorrere per cassazione avverso il decreto che dispone la misura di prevenzione della confisca (Sez. 6, Sentenza n. 13798 del 20/01/2011, Rv. 249873, Bonura).

In applicazione di questo principio, i ricorsi presentati nell’interesse di terzi interessati, B.A. e S. R., in quanto proposti dal difensore, sfornito di procura speciale, devono essere dichiarati inammissibili.

3 .-. Passando all’esame del ricorso presentato nell’interesse di B.L., deve in primo luogo concludersi per la inammissibilità per manifesta infondatezza del primo ordine di censure formulate dai difensori del predetto.

Infatti, come rilevato dalla Corte di Appello, nel caso di specie ci muoviamo chiaramente in ipotesi di confisca successiva, ossia disposta in un nuovo e diverso procedimento, istaurato dopo l’applicazione della misura personale ma prima della sua cessazione, e pertanto ricadente nella previsione normativa di cui alla L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, comma 6, per il quale non è prevista la necessità della emissione del provvedimento ablativo entro l’anno dell’avvenuto sequestro con possibilità di proroga di un altro anno, essendo il limite temporale costituito dalla attualità e vigenza della misura personale (v. per tutte: Sez. 2, Sentenza n. 19582 del 09/04/2008, Rv. 240502, Iamonte).

4 .-. Anche le ulteriori censure dedotte nell’interesse del B. L. sono inammissibili.

Con la recente sentenza n. 321 del 2004, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 11, sollevata da questa Corte di Cassazione per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui la citata disposizione, limitando alla sola violazione di legge il ricorso contro il decreto della Corte di Appello, escludeva la ricorribilità in cassazione per vizio di manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Il Giudice delle Leggi – dopo avere rilevato che, in relazione alla disciplina censurata, la giurisprudenza di legittimità si era in prevalenza orientata nel senso di escludere la deducibilità del vizio di motivazione, a meno che quest’ultima fosse del tutto carente o presentasse difetti tali da renderla meramente apparente, e cioè fosse priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, o assolutamente inidonea a rendere comprensibile la ratio decidendo nel respingere la questione, si è limitato a ribadire che il procedimento di prevenzione, il processo penale e il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza sono dotati di proprie peculiarità sia sul terreno processuale sia nei presupposti sostanziali, che li rendono non comparabili, e a riaffermare che le forme di esercizio del diritto di difesa possono essere diversamente modulate in relazione alle caratteristiche di ciascun procedimento, allorchè di tale diritto siano comunque assicurati lo scopo e la funzione. Su queste premesse la Consulta ha concluso che "non può ritenersi lesivo dei parametri evocati che i vizi della motivazione siano variamente considerati a seconda del tipo di decisione a cui ineriscono".

Una volta ribadita la legittimità costituzionale della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 11, non resta che riaffermare il già menzionato prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, in forza del quale in sede di ricorso in cassazione avverso il decreto della Corte di Appello deve escludersi la deducibilità del vizio di motivazione, a meno che quest’ultima sia del tutto carente o presenti difetti tali da renderla meramente apparente.

Nel caso di specie, il provvedimento impugnato non presenta affatto difetti tali da rendere la sua motivazione talmente incongrua da giustificare le doglianze contenute nei ricorsi. In effetti, il decreto censurato è dotato dei necessari passaggi motivazionali che rendono possibile la verifica che il giudice di merito ha esaminato tutti gli elementi a sua disposizione, ha interpretato gli elementi probatori ed ha applicato le regole della logica nella argomentazione che ha condotto alla scelta di determinate conclusioni anzichè di altre (sez. 6, 7-5-1999, Laghi). A fronte dell’articolato complesso motivazionale del decreto censurato, il ricorrente si è sostanzialmente limitato a criticare, in modo del tutto frammentato e parziale, la complessiva argomentazione del provvedimento impugnato, a enunciare circostanze già prospettate in sede di appello e in larga parte sfornite di seri riscontri, e a contrapporre tesi di segno contrario. In definitiva, il ricorrente propone una ricostruzione dei fatti alternativa a quella posta in essere dalla Corte di merito con argomentazioni logiche ed adeguate, invitando questa Corte a una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione che non rientra nei suoi poteri, non identificandosi in questa materia (in forza del già citato L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 11) l’ambito del sindacato devoluto a questa Corte con quello proprio del motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ma avendo, come si è visto, una estensione più circoscritta, non potendo evidentemente farsi coincidere la violazione di legge con la illogicità manifesta della motivazione. A parte il fatto che il ricorrente, a fronte della corretta valutazione del compendio dimostrativo da parte della Corte di Appello, si è nella sostanza limitato a riproporre le medesime doglianze già ritenute infondate dal giudice del gravame, sicchè alcune delle censure dedotte del presente ricorso devono ritenersi non specifiche, sia per la loro indeterminatezza sia per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento della impugnazione.

D’altra parte in materia di misure di prevenzione antimafia, sono sequestrabili e confiscabili anche i beni acquisiti dal proposto, direttamente o indirettamente, in epoca antecedente a quella cui si riferisce l’accertamento della pericolosità, quando essi risultino sproporzionati al reddito e non ne sia provata la legittima provenienza (Sez. 1, Sentenza n. 39798 del 20/10/2010, Rv. 249012, Stagno).

5 .-. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro mille, non ravvisandosi ragioni per escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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