Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 26-09-2011) 09-12-2011, n. 45907

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.-. Con la sentenza indicata in epigrafe il GUP presso il Tribunale di Savona ha dichiarato, ai sensi dell’art. 425 c.p.p., non doversi procedere nei confronti di V.A. per difetto dell’elemento psicologico in ordine al reato di cui all’art. 368 c.p., a lui ascritto per avere, in un esposto presentato il 19-3-2009 al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Savona, accusato falsamente l’avv. L.F., pur sapendolo innocente, di infedele patrocinio, asserendo che il predetto stava curando il procedimento di separazione ed assistendo la moglie B.R. senza che quest’ultima intendesse realmente separarsi ma solo per un astio personale nutrito nei suoi confronti, e aggiungendo che il L. aveva impedito alla moglie di parlare nel corso dell’udienza presidenziale e che al termine della stessa si era a lui rivolto dicendo che "non gliela avrebbe data vinta", circostanze rilevatesi mendaci.

In particolare, il GUP di Savona, dopo avere rilevato che la seconda e la terza delle accuse indicate come false (la minaccia di non darla vinta al suo avversario e l’avere impedito di parlare alla propria assistita nel corso dell’udienza) non si inquadravano nella fattispecie del patrocinio infedele nè in altra fattispecie penale, ha affermato che, pur potendo l’accusa di iniziare e proseguire un procedimento di separazione senza la volontà reale della assistita e per motivi personali rientrare nella fattispecie di cui all’art. 380 c.p., mancava la prova dell’elemento soggettivo del reato di calunnia, in quanto il tenore complessivo dell’esposto e le dichiarazione dell’avv. R. dimostravano che il V. era convinto che la colpa della sua difficile situazione familiare fosse dell’avv. L..

2.-. Avverso la suindicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Savona, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, sostenendo che il Tribunale non avrebbe considerato che la esclusione del dolo di calunnia presupporrebbe necessariamente una rappresentazione veritiera dei fatti, non potendosi attribuire alcun rilievo giuridico agli intimi convincimenti, se non fondati su dati veritieri e correttamente rappresentati.

Nel caso di specie nulla di quanto rappresentato dal V. era risultato veritiero, in quanto la moglie non gli aveva mai riferito di essere stata spinta alla separazione dall’avv. L. e durante l’udienza presidenziale l’avvocato non aveva impedito alla B. di parlare nè aveva proferito la frase minacciosa ("non te la darò vinta"). Conseguentemente la rappresentazione dei fatti, astrattamente integranti il reato di infedele patrocinio, era mendace e il V. non poteva non averne contezza.

3.-. Anche la parte civile, L.F., ha presentato ricorso avverso la suindicata sentenza, deducendo in primo luogo la violazione dell’art. 425 c.p.p. per avere il GUP in realtà pronunciato una sentenza di merito, così travalicando i suoi poteri, anche per la mancata effettuazione di qualunque valutazione prognostica sulla possibilità di superare in dibattimento gli elementi probatori richiamati in sentenza e sulla idoneità dell’intero quadro probatorio addotto a sostegno del rinvio a giudizio.

In secondo luogo la parte civile ricorrente deduce vizio di motivazione per travisamento di elementi probatori decisivi, nonchè contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e motivazione meramente apparente.

4.-. Alcune considerazioni di ordine sistematico si impongono prima di procedere all’esame delle censure sopra sinteticamente riportate Sia in giurisprudenza che in dottrina si è dell’avviso che all’udienza preliminare debba riconoscersi natura processuale e non di merito, non essendovi alcun dubbio circa la individuazione della finalità che ha spinto il Legislatore a disegnare e strutturare l’udienza preliminare; quale oggi si presenta, all’esito dell’evoluzione legislativa registrata al riguardo, e nonostante l’ampliamento dei poteri officiosi relativi alla prova: lo scopo (dell’udienza preliminare) è quello di evitare dibattimenti inutili, non quello di accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato.

Di tal che, il Giudice dell’udienza preliminare deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell’imputato solo in presenza di una situazione di innocenza tale da apparire non superabile in dibattimento dall’acquisizione di nuovi elementi di prova o da una possibile diversa valutazione del compendio probatorio già acquisito; e ciò anche quando, come prevede espressamente l’art. 425 c.p.p., comma 3, "gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio": tale disposizione altro non è se non la conferma che il criterio di valutazione per il giudice dell’udienza preliminare non è l’innocenza, bensì – dunque, pur in presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori (sempre che appaiano destinati, con ragionevole previsione, a rimanere tali nell’eventualità del dibattimento) l’impossibilità di sostentare l’accusa in giudizio. Insomma, il provvedimento ai sensi dell’art. 425 c.p.p., pur motivato sommariamente, in effetti assume natura di sentenza sol perchè la valutazione dopo il contraddittorio svolto in udienza preliminare è difforme da quella del Pubblico Ministero e implica l’assunzione da parte del Giudice della scelta d’inibire allo stato l’esercizio dell’azione penale contro l’imputato, salvo potenziale revoca.

Pertanto, a fronte di ricorso per cassazione, va tenuto in conto che il controllo di questa Corte sulla sentenza non può comunque avere ad oggetto gli elementi acquisiti dal P.M., bensì solo la giustificazione resa dal giudice nel valutarli. Ma se tanto è vero, benchè la legge non operi riserva del ricorso alla "violazione di legge", a fronte di prevista motivazione sommaria d’inidoneità degli elementi acquisiti per l’accusa in giudizio, il Giudice di legittimità non ha concreta possibilità, men che dovere, di verificare il puntuale rispetto dei parametri di cui all’art. 192 c.p.p.. E’ in questi termini che il controllo di motivazione risponde ai principi dell’ordinamento che vuole il Giudice soggetto solo alla legge ( art. 101 Cost., comma 2), e limita il ricorso per cassazione contro i provvedimenti giurisdizionali alla sola violazione di legge ( art. 111 Cost., comma 7). L’art. 192 c.p.p., difatti, indica il metro d’induzione probatoria nella resa puntuale di conto dei risultati acquisiti, cioè elementi di prova verificati certi, e dei criteri adottati. E, se si tratta di indizi, questi devono essere dimostrati innanzitutto inconfutati (gravi), quindi di valenza univoca (precisi) e concordi. E non si vede come questo disposto, relativo alla motivazione di convincimento intorno ad accertamento svolto in termini di potenziale condanna, si possa conciliare con quella di un convincimento esclusivamente prognostico negativo di tale condanna, che si riassume in una valutazione di inidoneità dell’accusa.

Ne deriva che l’unico controllo ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) consentito in sede di legittimità della motivazione della decisione negativa del processo, qual è la "sentenza di non luogo a procedere", concerne la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella valutazione d’insieme degli elementi acquisiti dal Pubblico Ministero. Diversamente si giungerebbe ad attribuire al Giudice di legittimità un compito in effetti di merito, in quanto anticipatorio delle valutazioni sulla prova da assumere. E una tale conclusione si pone in contraddizione insanabile con la possibilità di revoca della sentenza da parte dello stesso Giudice per le indagini preliminari, sopravvenute o scoperte nuove fonti di prova da combinare eventualmente con quelle già valutate ( art. 434 c.p.p.). In altri termini, paradossalmente, questa Corte potrebbe pregiudicare l’esito di un eventuale giudizio Sez. 2, Sentenza n. 28743 del 14/05/2010, Rv. 247860, Orsini; Sez. 5, Sentenza n. 15364 del 18/03/2010. Rv. 246874, Caradonna; Sez. 5, Sentenza n. 14253 del 13/02/2008 Cc. (dep. 04/04/2008) Rv. 23949, cfr. anche 2652/2009. 5.-. L’esame della sentenza impugnata dimostra che il GUP si è attenuto ai principi giuridici indicati. In particolare, la approfondita analisi del materiale probatorio e l’esaustiva quanto logica esposizione dei motivi che hanno indotto il GUP al proscioglimento dell’imputato (con implicita, ma chiara, prognosi negativa dell’espletamento del dibattimento), impedisce di prender conto degli argomenti del Pubblico Ministero e della parte civile, formulati per lo più in termini di eccezione di fatto a sostegno delle tesi accusatorie, con richiesta di rivisitare gli atti.

In definitiva, le censure proposte dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Savona e dalla parte civile attengono essenzialmente a questioni di fatto e di merito, attraverso le quali si intende sollecitare in sede di legittimità una inammissibile "diversa" lettura del materiale probatorio in senso favorevole alle attese dei medesimi ricorrenti, mentre nessuna delle doglianze riesce a intaccare la solida coerenza logico-giuridica del percorso motivazionale adottato dal Giudice dell’udienza preliminare.

6.-. Alla inammissibilità del ricorso della parte civile consegue la condanna della predetta ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro mille, non ravvisandosi ragioni per escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna la parte civile al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *