Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-06-2011) 09-12-2011, n. 45902 Circostanze del reato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Tribunale di Venezia – sezione distaccata di San Donà di Piave -, con sentenza 22/1/2010, all’esito del giudizio abbreviato, dichiarava L.A. colpevole dei delitti, in continuazione tra loro, di detenzione illecita e di spaccio a numerosi tossicodipendenti di cocaina, commista a fenacetina, che ne accentuava la potenzialità lesiva, con l’ulteriore aggravante della clandestinità, e lo condannava, previa concessione della circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, ritenuta prevalente sulle contestate aggravanti, alla pena di anni tre, mesi due di reclusione, Euro 10.000,00 di multa, oltre all’interdizione temporanea dai pubblici uffici per anni cinque e all’ordine di espulsione dal territorio nazionale a pena espiata.

2. A seguito dei gravami proposti dal Procuratore Generale e dall’imputato, la Corte d’Appello di Venezia, con sentenza 19/10/2010, dichiarava inammissibile l’appello del primo e, in parziale riforma della decisione di primo grado, che confermava nel resto, escludeva la contestata aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 bis.

Il Giudice distrettuale evidenziava, in punto di fatto, che l’imputato era stato sorpreso dai Carabinieri in flagranza di reato, in quanto, fermato per un controllo, era stato trovato in possesso di tre involucri di cocaina destinati allo spaccio; nel corso della successiva perquisizione domiciliare, erano stati recuperati altri involucri contenenti la stessa sostanza e numerose schede telefoniche; erano state individuate, attraverso i contatti telefonici intrattenuti dall’imputato, diverse persone, le quali avevano riferito di avere abitualmente acquistato dallo stesso la dose di cocaina; la consulenza tossicologica espletata aveva accertato che lo stupefacente sequestrato era tagliato con fenacetina, sostanza questa cancerogena e della quale era vietata la commercializzazione.

La Corte territoriale riteneva che la contestata aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, lett. e), oggettivamente sussistente, andava valutata a carico dell’imputato, in quanto da lui certamente conosciuta, considerato che la criminalità albanese, alla quale apparteneva, notoriamente era solita tagliare la cocaina con la citata sostanza cancerogena.; escludeva, infine, l’ulteriore aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 bis, la cui previsione era stata dichiarata incostituzionale con sentenza n. 249/’10 della Corte Costituzionale.

3. Hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte veneziana e l’imputato.

Il primo ha lamentato: a) illegittimità della declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione proposta avverso la sentenza di primo grado; b) illegittimità del riconoscimento dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5; c) illegittimità del giudizio di prevalenza di detta attenuante sull’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, lett. e).

Il secondo ha dedotto la violazione o l’erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 59 c.p., comma 2 e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, lett. e), e il connesso vizio di motivazione.

4. I ricorsi non sono fondati e devono essere rigettati.

La Corte territoriale, in verità, ha errato nel dichiarare inammissibile l’impugnazione proposta dal P.G. avverso la sentenza di primo grado, sulla base del solo rilievo che era stato scelto, in violazione dell’art. 443 c.p.p., comma 3, il mezzo dell’appello anzichè quello del ricorso per cassazione. Per il principio del favor impugnationis, infatti, la Corte veneta avrebbe dovuto qualificare l’impugnazione del P.G. come ricorso per cassazione, convenirlo, ex art. 580 c.p.p., in appello, stante l’autonomo e analogo gravame dell’imputato avverso la stessa sentenza, e decidere nel merito.

Tuttavia, la statuizione d’inammissibilità adottata dal Giudice a quo è sostanzialmente corretta, sia pure per motivo diverso da quello enunciato.

Ed invero, in tema di giudizio abbreviato, il ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso la sentenza di condanna e convertito in appello ex art. 580 c.p.p., conserva la propria natura d’impugnazione di legittimità, nel senso che il giudice del gravame conosce delle censure formulate con i medesimi poteri del giudice di legittimità. Ciò posto, osserva la Corte che le doglianze del P.G. in ordine alla ravvisata attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e al bilanciamento della stessa con l’aggravante di cui al cit. D.P.R., art. 80, comma 1, lett. e), doglianze oggetto dell’impugnazione avverso la sentenza di primo grado e ribadite in questa sede, si risolvono in non consentite censure in fatto alla valutazione operata al riguardo dal giudice di merito, che, in aderenza al dettato normativo e facendo leva su argomentazioni immuni da vizi logici, ha dato rilievo al modesto quantitativo della sostanza stupefacente di cui l’imputato disponeva, al basso livello di purezza della stessa, alla non allarmante consistenza dell’attività di spaccio, praticata "al più basso livello della filiera del narcotraffico"; tali argomenti non potevano e non possono che condurre ad una conclusione negativa del giudizio rescindente.

Non ha pregio neppure la doglianza dell’imputato sulla ritenuta imputabilità soggettiva dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, lett. e). Non è contestata la sussistenza di tale aggravante nella sua oggettività. Il punto controverso è circoscritto alla sola imputabilità soggettiva dell’aggravante.

Osserva sul punto la Corte che l’innovazione più significativa, introdotta con la riformulazione dell’art. 59 c.p. ad opera della L. n. 19 del 1990, riguarda l’elemento psicologico richiesto dal comma 2 per le aggravanti: non si ha, sul piano soggettivo, una omogeneità tra elementi costitutivi ed elementi accidentali del reato, nel senso che per le circostanze aggravanti è sufficiente, come requisito minimo, la colpa, non dovendosi differenziare tra dolo e colpa, come invece avviene per gli elementi costitutivi. In sostanza, una circostanza, anche se solo conoscibile dal soggetto agente, ben può accedere ad un reato di natura dolosa.

Ciò posto, considerato che, come incisivamente sottolineato dalla sentenza in verifica sulla base di acquisizioni istruttorie che non si ha motivo di disattendere, la criminalità albanese dedita al narcotraffico ed alla quale l’imputato apparteneva "taglia" abitualmente la cocaina con la fenacetina, sostanza quest’ultima che accentuata potenzialità lesiva della prima, è agevole trarre il convincimento circa la piena conoscenza o, quanto meno, la conoscibilità da parte dell’agente di questa circostanza, con l’effetto che non ne può essere contestata l’imputabilità soggettiva.

5. Al rigetto dei ricorsi, consegue la condanna della parte privata ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna il L. al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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