Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-06-2012, n. 10863 Opposizione al precetto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 19.11.2004, il Tribunale di Milano, decidendo sulle opposizioni riunite proposte ex artt. 615 e 617 cod. proc. civ. da S.P. avverso il precetto di pagamento di L. 7.231.277 intimatogli dall’avv. L.G. in data 02.06.1998 e avverso il successivo pignoramento presso terzi, così provvedeva: 1) dichiarava che l’avv. L.G. non aveva diritto a procedere esecutivamente per l’importo oggetto del precetto e successivo pignoramento; 2) accertava che al creditore procedente, avv. L., considerati i titoli esecutivi e i pagamenti parziali eseguiti dal debitore opponente, era dovuto, a saldo delle prestazioni professionali di cui al titolo azionato, l’importo di Euro 314,75 così come risultante dalla relazione del c.t.u. Dott. C., importo attualizzato alla data della relazione; 3) poneva a carico dell’opponente la metà delle spese di lite, compensando la residua metà e a carico di ciascuna parte le spese di c.t.u..

La decisione, gravata da impugnazione in via principale dell’avv. L. e in via incidentale dello S., era confermata dalla Corte di appello di Milano, la quale con sentenza in data 12.03.2007 rigettava entrambi gli appelli, condannando l’appellante principale al pagamento delle spese del grado.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’avv. L.G., svolgendo tre articolati motivi.

Ha resistito S.P., depositando controricorso, con il quale ha eccepito l’inammissibilità e infondatezza dell’impugnazione.

Il Collegio ha deciso come segue, dopo avere vetrificato – in ordine alla questione prospettata in udienza sulla ritualità della comunicazioni a parte resistente – che l’avviso era stato effettuato al difensore della parte avv. Franco Altamura in data 12.04.2012, in considerazione del decesso dell’altro difensore e originario domiciliatario; peraltro la stessa parte ha depositato, anche, memoria.

Motivi della decisione

1. Per la comprensione dei motivi di ricorso e delle ragioni della decisione occorre premettere che il titolo oggetto del precetto e dell’esecuzione opposta è l’ordinanza in data 06.02.1997 emessa nel giudizio di opposizione a ingiunzione ex lege 30 giugno 1942, n. 794, con la quale il Tribunale di Busto Arsizio, decidendo in sede di rinvio dalla Cassazione, revocava il decreto ingiuntivo opposto, determinando il credito dell’avv. L. nei confronti dello S. in L. 8.156.350 "cui andranno aggiunti gli oneri di legge, nonchè gli interessi al tasso legale vigente al momento della richiesta al cliente, ivi compresi anche gli acconti già versati con deduzione degli stessi per il computo degli interessi al momento dei vari versamenti, fino all’effettivo saldo".

Val la pena di aggiungere che il giudizio di opposizione all’ingiunzione – come emerge chiaro dalle due sentenze n. 1519/1997 e n. 4624/2001 emesse nel corso dello stesso da questa Corte – ha avuto un iter travagliato, posto che: emesso decreto ingiuntivo per l’importo di L. 11.609.382, il credito dell’avv. L. venne ridotto con ordinanza in data 07.02.1994 del Tribunale di Busto Arsizio a L. 7.500.000 al lordo degli acconti versati dallo S., cui vennero fatte carico le spese di ingiunzione; proposto ricorso per cassazione da entrambe le parti, la Cassazione, con sentenza in data 19.02.1997 n. 1519 – accogliendo entrambi i ricorsi per quanto di ragione e, segnatamente, alcune censure dell’avv. L. in ordine alla determinazione quantitativa del credito e quella dello S. in ordine alle spese del monitorio, erroneamente poste a suo carico – cassava l’ordinanza con rinvio al Tribunale di Busto Arsizio; l’ordinanza emessa in sede di rinvio in data 06.02.1997 (costituente, come si è detto, il titolo posto a fondamento dell’esecuzione), era, quindi, nuovamente impugnata per cassazione dall’avv. L. e, infine, passava in giudicato a seguito di sentenza della Cassazione in data 29.03.2001 n. 4624 di rigetto del ricorso.

Intanto, nelle more del giudizio di opposizione, l’avv. L. aveva intrapreso procedura esecutiva in forza dell’ordinanza emessa (nel primo grado del giudizio) in data 07.02.1994, sicchè lo S. provvedeva al pagamento di quanto richiesto per capitale, accessori e spese.

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia disapplicazione dell’art. 389 cod. proc. civ., abnorme applicazione dell’art. 615 cod. proc. civ., violazione delle norme sulla competenza, pronuncia extra petitum per assenza di domanda riconvenzionale (violazione degli artt. 112 e 113 cod. proc. civ., disapplicazione dell’art. 36 cod. proc. civ.), omessa pronuncia motivata in ordine alla domanda "di consolidamento delle competenze relative all’esecuzione forzata legalmente Intrapresa" (violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e disapplicazione dell’art. 95 cod. proc. civ.). Al riguardo parte ricorrente deduce che quanto corrisposto dallo S. in forza dell’ordinanza 07.02.1994 (poi cassata) a titolo di spese non poteva essere detratto dall’importo azionato con l’esecuzione qui opposta, in forza del titolo definitivo, tanto più che con l’ordinanza definitiva gli era stato riconosciuto un maggior credito; in ogni caso il diritto alla restituzione non poteva essere fatto valere se non ai sensi dell’art. 389 cod. proc. civ., per cui erroneamente la Corte di appello avrebbe ritenuto che le somme in questione potevano essere scorporate da quelle azionate con il titolo definitivo, ritenendole materia di opposizione all’esecuzione; a parere del ricorrente, da un lato, egli avrebbe avuto diritto di trattenere ex art. 95 cod. proc. civ., le somme percepite in forza dell’esecuzione legittimamente intrapresa in base a un titolo venuto meno solo successivamente e, dall’altro lato, lo S. avrebbe perso "l’unica occasione processuale utile" per dimostrare l’an e il quantum delle sue pretese restitutorie rispetto ai versamenti intermedi innanzi al giudice del rinvio.

1.2. Il motivo è infondato.

Innanzitutto occorre osservare che la tesi su cui si incentra il motivo di ricorso, secondo cui tutte le domande conseguenti dalla cassazione della sentenza dovrebbero comunque essere proposte al giudice del rinvio, è priva di qualsiasi fondamento.

Certamente nel giudizio di rinvio si possono trattare le domande di restituzione o di riduzione in pristino ed ogni altra conseguente alla sentenza di cassazione, ma ciò non significa che l’art. 389 cod. proc. civ., contenga un criterio inderogabile di competenza in favore del giudice del rinvio. In particolare le domande di restituzione o di riduzione in pristino della parte che ha eseguito una prestazione in base ad una sentenza poi cassata può essere proposta, oltre che nell’eventuale giudizio di rinvio (ove la cassazione della sentenza sia stata pronunciata con rinvio ad altro giudice), anche in separata sede, atteso che le predette domande sono del tutto autonome da quelle dell’eventuale giudizio di rinvio, assolvendo all’esigenza di garantire all’interessato la possibilità di ottenere al più presto la restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla decisione cassata, a prescindere dal successivo sviluppo del giudizi (Cass. S.U. 2 luglio 2004 n. 12190).

Per altro verso si rammenta che l’art. 336 cod. proc. civ. (nel testo novellato della L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 48), disponendo che la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, comporta che, con la pubblicazione della sentenza di riforma, vengano meno immediatamente sia l’efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con conseguente obbligo di restituzione della somma pagata e di ripristino della situazione precedente (Cass. 30 aprile 2009, n. 10124).

Ciò posto, ritiene il Collegio che correttamente la Corte di appello abbia ritenuto che la decisione prescindesse dal disposto dell’art. 389 cod. proc. civ.. Vero è, infatti, che il problema era – non già se lo S. avesse un titolo alla restituzione – ma se l’avv. L. avesse un titolo a pretendere ulteriori somme oltre quelle già ricevute in adempimento del precedente titolo ormai caducato; e ciò costituiva materia di opposizione ex art. 615 cod. proc. civ.. E poichè il titolo azionato aveva determinato il credito dell’avv. L. in L. 8.156.350 al lordo degli acconti medio tempore versati, il giudice dell’opposizione all’esecuzione ha proceduto alla determinazione del credito residuo, senza con ciò travalicare i limiti del giudizio di opposizione, nè tantomeno incorrere nel dedotto divieto di ultrapetizione.

Il motivo va rigettato.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 cod. proc. civ., insufficiente motivazione giustificante la ritenuta irrilevanza dei rilievi contabili operati dal convenuto opposto. Al riguardo parte ricorrente deduce che l’immotivata statuizione di inconferenza delle osservazioni critiche alla c.t.u. svolte dalla parte, senza entrare nel merito con l’analitica confutazione dei singoli argomenti viola il disposto delle norme cit., nel senso che il giudice ha con ciò fatto malgoverno dei principi di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, pronuncia secondo diritto, disponibilità e valutazione delle prove, quantunque detto giudizio di inconferenza venga collegato all’acritico richiamo recettizio delle conclusioni peritali.

2.1. Il motivo riguarda il punto della decisione impugnata, con il quale la Corte di appello ha esaminato le argomentazioni critiche dell’appellante all’espletata consulenza contabile, ritenendo che le stesse non incrinassero le risultanze della c.t.u., nella quale tutte le questioni e perplessità sollevate dell’odierno ricorrente trovavano adeguata motivazione.

2.1.1. Al riguardo giova innanzitutto precisare che la violazione dei doveri decisori di cui all’art. 112 cod. proc. civ., denunciabile come error in procedendo ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, è ravvisabile qualora sia mancata da parte del giudice la statuizione sulla domanda o eccezione proposta in giudizio, mentre rientra nel vizio previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, il silenzio del medesimo giudice in ordine ad una ovvero ad alcune delle questioni sottoposte al suo esame nell’ambito di quella domanda o eccezione (Cass. 7 aprile 2004, n. 6858). Anche la valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi istruttori – valutazione regolata, invece, dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. – è deducibile, in caso di erroneità in vizio deducibile come error in iudicando ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (cfr. Cass. 2 dicembre 1993 n. 11949).

Nel caso di specie – poichè una risposta vi è stata da parte dei giudici a quibus attraverso il rinvio alle risultanze della c.t.u. – le censure avrebbero dovuto essere prospettate sotto il profilo del vizio motivazionale ed essere corredate dalla formulazione del c.d.

quesito di fatto (la "chiara sintesi" di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis al presente ricorso).

Ne consegue che il motivo è inammissibile, per l’erronea individuazione della tipologia del motivo, per la parte in cui è censurata la violazione di legge (peraltro corredata da quesito di diritto, assolutamente inadeguato, perchè tautologico) e per l’omessa formulazione del c.d. quesito di fatto per la parte in cui denuncia insufficienza motivazionale.

3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., per disequanime applicazione al caso di specie del principio di soccombenza. Al riguardo parte ricorrente assume l’inapplicabilità dalla fattispecie dell’art. 91 cod. proc. civ., in considerazione del rigetto dell’appello incidentale.

3.1. Il motivo non merita accoglimento.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, l’individuazione del soccombente si compie in base principio di causalità, con la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre le spese anticipate nel processo è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo stesso, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, abbia dato causa al processo o al suo protrarsi (Cass. 27 novembre 2006, n. 25141, m.

595483). Ne consegue che anche la soccombenza solo parziale può giustificare la condanna alle spese, non essendo censurabile in Cassazione la mancata compensazione, che è rimessa al prudente ed insindacabile apprezzamento del giudice di merito; in particolare il rigetto tanto dell’appello principale quanto di quello incidentale non obbliga il giudice a disporre la compensazione totale o parziale delle spese processuali, il cui regolamento, fuori della ipotesi di violazione del principio di soccombenza per essere stata condannata la parte totalmente vittoriosa, è rimesso, anche per quanto riguarda la loro compensazione, al potere discrezionale del giudice di merito (Cass. 2 luglio 2008, n. 18173).

Nel caso di specie la Corte di appello ha ritenuto che il rigetto dell’appello incidentale non incidesse sull’economia della decisione;

ergo ha individuato nell’avv. L. il (principale) soccombente e ciò non è censurabile.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 700,00 (di cui Euro 200,00 per spese) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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