T.A.R. Puglia Bari Sez. I, Sent., 11-01-2012, n. 85 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Tersan Puglia s.p.a. svolge da molti anni attività di raccolta, trasporto, stoccaggio provvisorio, trattamento e riciclo di rifiuti speciali, con produzione, mediante procedimento di compostaggio dei rifiuti stessi, di fertilizzanti per l’agricoltura.

Con provvedimento dirigenziale 11 maggio 2004 n. 99, la Provincia di Bari dispose in via di autotutela il ritiro, con effetto immediato, dell’autorizzazione alla predetta attività ai sensi degli artt. 27 e 28 del D.Lgs. n. 22 del 1997. In precedenza, la Provincia aveva respinto la comunicazione della Tersan Puglia s.p.a. per la continuazione dell’attività in regime di procedura semplificata, ai sensi degli artt. 31-33 del D.Lgs. n. 22 del 1997.

L’impugnativa proposta dall’odierna ricorrente avverso il provvedimento di revoca è stata accolta, con sentenza della Terza Sezione di questo Tribunale n. 4676 del 21 ottobre 2004 (confermata in appello dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con decisione n. 6201 del 7 novembre 2005).

2. Il provvedimento provinciale di revoca dell’autorizzazione era fondato su quattro motivazioni distinte ed autonome:

– mancato esperimento della procedura di valutazione d’impatto ambientale, nonostante l’ampliamento in corso d’esercizio dell’impianto di trattamento gestito dalla Tersan Puglia s.p.a.;

– nullità della richiesta di rinnovo dell’autorizzazione, sottoscritta da Sabina Cirone (legale rappresentante della società), che era stata dichiarata fallita e non era quindi capace di conservare la carica;

– mancata presentazione, da parte della società, del progetto di copertura dei piazzali di lavorazione, come prescritto nella precedente autorizzazione n. 46 del 2001;

– difetto, in capo alla società, dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera, ai sensi del D.P.R. n. 203 del 1988.

2.1. La sentenza di accoglimento ha rilevato, al riguardo, che l’attività di recupero dei rifiuti svolta dalla ricorrente era stata originariamente autorizzata ai sensi del D.P.R. n. 915 del 1982, in epoca anteriore all’entrata in vigore della normativa nazionale e regionale che, per determinate attività, ha prescritto l’obbligo di munirsi di v.i.a. senza effetto retroattivo sui progetti già approvati.

Quanto, poi, all’ulteriore attività intrapresa dalla ricorrente mediante procedura semplificata ai sensi degli artt. 31 e 33 del D.Lgs. n. 22 del 1997, da svolgersi su un distinto piazzale del quale aveva nel frattempo ottenuto la disponibilità, essa, attesi i limiti entro cui era circoscritta per quantità di materiale trattabile, non poteva essere soggetta a v.i.a. ai sensi del D.P.R. 12 aprile 1996 e della L.R. n. 11 del 2001. Inoltre, per detta attività la stessa Provincia aveva negato il rinnovo all’assenso, con atto del 23 ottobre 2003 anteriore al provvedimento assunto in autotutela.

Sul piano oggettivo, la sentenza ha puntualmente confutato i presupposti dai quali l’Amministrazione avrebbe desunto l’unitarietà del ciclo di produzione, e quindi il ricorrere della fattispecie di ampliamento dell’impianto, tale da rendere obbligatoria la valutazione d’impatto ambientale, concludendo che "…non può dunque essere addotta a causa di revoca dell’autorizzazione la circostanza che i due cicli di produzione generino lo stesso prodotto, giacché essi consistono bensì in due differenti processi produttivi, aventi differenti modalità tecniche di lavorazione, e suscettibili di investire diverse tipologie e quantità di rifiuti, ma nulla vieta che essi possano essere impiegati per la produzione di un unico prodotto finale".

L’atto di revoca è stato ritenuto viziato anche sotto il profilo della motivazione, poiché non il semplice dato empirico dell’ampliamento dell’impianto avrebbe potuto determinare la necessità di espletamento della v.i.a., ma piuttosto la circostanza che esso avesse effetti negativi sull’ambiente: ed invece, rispetto a tale circostanza, l’autotutela non è stata supportata da alcuna concreta motivazione sotto il profilo di un effettivo aumento dell’incidenza sull’ambiente dell’attività svolta dalla società ricorrente, tale non potendo considerarsi né il mero richiamo al maggior quantitativo giornaliero di rifiuti trattati, né la semplice circostanza che i due processi di lavorazione diano vita ad un unico prodotto.

La sentenza non manca di stigmatizzare, in alcuni passaggi, la condotta illogica e contraddittoria dell’Amministrazione, sottolineando ad esempio che "…alla stregua della documentazione versata in atti, può presumersi che buona parte delle circostanze di fatto, sulla base delle quali l’Amministrazione oggi ritiene fosse necessario l’esperimento della procedura di V.I.A., fossero ad essa ben note già all’epoca in cui fu assentito lo svolgimento dell’attività in regime semplificato: di tal che appare scarsamente comprensibile il perché tale adempimento non sia stato richiesto alla ricorrente già in quel momento, tanto più che, come leggesi nell’impugnata determinazione, l’attività in regime semplificato fu iniziata dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 12 aprile 1996 e della Direttiva 97/11/CEE". Inoltre, se il fondamento logico-giuridico della ritenuta necessità di valutazione di impatto ambientale risiedeva nel sopravvenuto ampliamento dell’impianto, "…appare veramente paradossale- così testualmente un altro passo della sentenza -che la V.I.A. non sia stata richiesta, consentendosi alla ricorrente di proseguire tranquillamente la propria attività, nella fase in cui tale ampliamento era effettivamente sussistente, per essere poi ritenuta indispensabile, al punto da determinare il ritiro totale dell’autorizzazione, in un momento in cui esso ampliamento, per le sopravvenute risoluzioni della stessa Amministrazione, non è più in essere".

2.2. Quanto al secondo dei motivi addotti dalla Provincia di Bari, il fatto che l’amministratore unico della società fosse stato dichiarato fallito, con sentenza del Tribunale di Bari n. 2297 del 3 ottobre 1983, non poteva comportare l’automatica nullità di tutti gli atti posti in essere dallo stesso in carenza dei poteri rappresentativi, dovendo in primo luogo ritenersi che l’unico soggetto legittimato a far valere il difetto dei poteri rappresentativi fosse la stessa Tersan Puglia s.p.a. ed avendo, anzi, l’assemblea ordinaria della società ratificato in toto gli atti posti in essere dalla Cirone, con delibera del 15 dicembre 2003.

Di conseguenza, il provvedimento di revoca assunto dalla Provincia è stato giudicato illegittimo anche sotto tale profilo.

2.3. Il terzo dei motivi di revoca era relativo alla mancata presentazione del progetto di copertura dei piazzali, prescritto dalla determinazione provinciale n. 46 del 2001 di rinnovo dell’autorizzazione, al fine di evitare lo spandersi di odori molesti. La società ricorrente depositò (tardivamente) il progetto, che però fu ritenuto inammissibile in conferenza di servizi, anche a causa dell’asserita incompatibilità con il piano regolatore del Comune di Modugno, ove è ubicato l’impianto.

Al riguardo, la sentenza di questo Tribunale ha affermato, innanzitutto, il carattere non perentorio del termine di sessanta giorni fissato dalla citata Det. n. 46 del 2001 per la presentazione del progetto di copertura e recinzione; ha, inoltre, accertato l’erroneità del parere negativo espresso in conferenza di servizi dal Comune di Modugno, trattandosi di un intervento di mero adeguamento dell’impianto già esistente, legittimamente realizzato sulla base della disciplina urbanistica all’epoca in vigore.

2.4. Per finire, quanto all’ultimo dei motivi posti a base del provvedimento di revoca (il difetto in capo alla società dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera, ai sensi del D.P.R. n. 203 del 1988), la sentenza di annullamento ha statuito che, al momento della sua adozione, era in vigore il regime di cui alla L.R. n. 7 del 1999, approvata dalla Regione Puglia proprio nell’esercizio delle competenze regionali previste dal D.P.R. n. 203 del 1988: tale normativa, in particolare, esonerava dall’obbligo di conseguire l’autorizzazione regionale alle emissioni in atmosfera gli impianti che, ancorché siti entro duemila metri dal perimetro urbano, ricadessero in area destinata ad insediamenti industriali dallo strumento urbanistico, come appunto nel caso dell’impianto gestito dalla Tersan Puglia s.p.a.

Per tutte le ragioni dianzi riassunte, la sentenza n. 4676 del 21 ottobre 2004 di questo Tribunale ha annullato il provvedimento di revoca adottato in data 11 maggio 2004 dalla Provincia di Bari.

Tuttavia, detto provvedimento ha sortito i suoi effetti pregiudizievoli per la ricorrente fino al deposito della sentenza di primo grado (integralmente confermata, come detto, in appello).

3. Con il ricorso oggi in esame, la Tersan Puglia s.p.a. chiede la condanna della Provincia di Bari al risarcimento del danno patrimoniale cagionato con la citata determinazione di revoca, dichiarata illegittima con pronuncia passata in giudicato.

Allega, ai fini della commisurazione del pregiudizio risarcibile, un’analitica perizia di parte redatta dal dott. Antonio Martello.

Chiede che il danno sia liquidato secondo i seguenti importi:

– Euro 38.362 per spese sostenute, in relazione all’indennità di mobilità ed all’incentivo all’esodo corrisposto a dieci dipendenti, nel luglio 2004;

– Euro 1.587.185 a titolo di perdita di utili, per l’interruzione dell’attività aziendale;

– Euro 32.988 per perdita di proventi finanziari, dovuta a deterioramento della liquidità;

– Euro 146.130 a titolo di rivalutazione monetaria ed Euro 220.068 a titolo di interessi legali.

Si è costituita la Provincia di Bari, chiedendo il rigetto integrale della domanda.

La causa è passata in decisione, senza discussione, ai preliminari della pubblica udienza del 23 novembre 2011.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente, deve dichiararsi l’irricevibilità, per violazione dei termini liberi di cui all’art. 73, primo comma, cod. proc. amm., della memoria depositata dalla difesa della Provincia di Bari il 24 ottobre 2011.

Trattandosi di termine da computarsi a ritroso ai sensi dell’art. 52, quarto comma, cod. proc. amm., è pacifico che la scadenza debba essere anticipata, nella fattispecie, al giorno antecedente non festivo.

2. Nel merito, la domanda è fondata e va accolta nei limiti che si diranno.

2.1. Sussiste, in primo luogo, la colpa dell’Amministrazione.

Non assumono rilievo, al riguardo, le deduzioni formulate da parte ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, ove viene trascritto, per amplissimi stralci, il verbale d’interrogatorio dell’ing. Luisi, dirigente provinciale che ha firmato il provvedimento di revoca, allo scopo di dimostrare che egli sarebbe stato indotto dalla Procura della Repubblica di Bari ad agire tardivamente in autotutela, per scongiurare o quantomeno attenuare le possibili responsabilità omissive a suo carico, in relazione alle indagini allora in atto nei confronti della Tersan Puglia s.p.a. per attività illecite di trattamento e smaltimento di rifiuti.

La responsabilità dell’Amministrazione, infatti, presuppone non la colpa soggettivamente intesa del funzionario agente, bensì la negligenza dell’apparato, generalmente configurabile quando l’adozione e l’esecuzione del provvedimento illegittimo siano avvenute in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buon andamento (per l’affermazione del principio in giurisprudenza, si veda Cass. civ., sez. un., 22 luglio 1999 n. 500; Cons. Stato, ad. plen., 3 dicembre 2008 n. 13).

Nella fattispecie, la rimproverabilità della condotta della Provincia di Bari emerge con chiarezza, in ogni suo tratto, dalla motivazione della sentenza di questo Tribunale n. 4676 del 2004 (integralmente confermata in appello), che ha annullato il provvedimento di revoca dell’autorizzazione al trattamento dei rifiuti.

Ciascuno dei quattro motivi posti a base dell’illegittimo esercizio del potere di autotutela trovano smentita nella richiamata sentenza di annullamento, che non lascia spazio a dubbi circa l’inescusabilità dell’errore in cui è incorsa la Provincia di Bari. Ed infatti:

– quanto al mancato esperimento della procedura di valutazione d’impatto ambientale, la sentenza censura il ripensamento tardivo dell’Amministrazione, la quale avrebbe avuto tutti gli elementi per vietare tempestivamente, anni addietro, l’ampliamento dell’impianto gestito dalla società ricorrente; la sentenza, inoltre, chiarisce che la pretesa di applicare retroattivamente l’obbligo di v.i.a. ad attività esistenti costituisce manifesta violazione della normativa nazionale e comunitaria;

– quanto alla pretesa nullità della richiesta di rinnovo dell’autorizzazione, sottoscritta da amministratore dichiarato fallito, la sentenza dà atto dell’intervenuta ratifica da parte della società; in ogni caso, per tale profilo, la decisione della Provincia di Bari di revocare a distanza di anni l’autorizzazione amministrativa allo svolgimento di una rilevante attività imprenditoriale, a causa dell’incapacità giuridica a ricoprire la carica societaria da parte del legale rappresentante che ha presentato l’istanza, deve essere oggettivamente giudicata sproporzionata, irragionevole e contraria ai principi di buon andamento e di tutela dell’affidamento, per l’ovvio rilievo che gli eventuali vizi di costituzione degli organi societari non possono sempre e comunque indurre l’Amministrazione ad annullare, per ciò soltanto, i provvedimenti ampliativi assunti in favore della società, in assenza di un interesse pubblico effettivo ed attuale alla loro rimozione;

– quanto alla mancata attuazione del progetto di copertura dei piazzali di lavorazione, la sentenza chiarisce che essa non costituiva condizione di efficacia in senso stretto dell’autorizzazione, ma mera prescrizione; e d’altra parte, il parere contrario del Comune di Modugno era agevolmente superabile, in sede di conferenza di servizi, da parte della Provincia di Bari;

– quanto, infine, al mancato conseguimento dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera ai sensi del D.P.R. n. 203 del 1988, la sentenza dà atto della vigenza di una norma di legge regionale che da detto obbligo esonerava l’impianto della ricorrente, ubicato in zona industriale.

Né potrebbe inferirsi, esaminando il provvedimento illegittimo nel suo insieme, che la presenza di quattro distinte motivazioni costituisca, per la Provincia, esimente da responsabilità. Al contrario, proprio la meticolosa ricerca da parte dell’Amministrazione di plurime giustificazioni all’annullamento d’ufficio dell’autorizzazione, ciascuna autonoma dalle altre, nessuna delle quali ha peraltro resistito ai rilievi del giudice adito, costituisce sintomo tipico di sviamento e cattivo uso del potere di autotutela, dal quale non può che scaturire la responsabilità extra-contrattuale dell’ente.

2.2. Passando al quantum del pregiudizio risarcibile, non tutte le voci di danno esposte da parte ricorrente possono trovare riconoscimento.

In primo luogo, non è documentato il pagamento della somma di Euro 38.362, a titolo di indennità di mobilità ed incentivo all’esodo per i dieci dipendenti posti in esubero nel luglio 2004 in conseguenza della chiusura dell’impianto e della contrazione del’attività aziendale.

Al riguardo, alla perizia di parte si trova allegato un unico bollettino di versamento all’I.N.P.S. della somma di Euro 8.067,80 in data 5 luglio 2004 (con causale: anticipazione sul contributo ex art. 5, comma 4, L. n. 223 del 1991 per dieci lavoratori) e, pertanto, solo entro detto limite può liquidarsi il danno emergente in favore della ricorrente.

I mancati guadagni conseguenti alla chiusura dello stabilimento aziendale di Modugno, nel periodo maggio – ottobre 2004, per effetto della determinazione di revoca poi annullata da questo Tribunale, vengono così quantificati dal consulente di parte ricorrente:

a) riduzione del fatturato da attività di recupero in compostaggio dei rifiuti speciali, sulla base di un ricavo medio mensile pari ad Euro 1.117.268 e di un prezzo medio per tonnellata pari ad Euro 81,41, riferito alla ripresa dell’attività nel 2005 (sulla base di elenco fatture, registro vendite mensile, distinta rifiuti trattati), che moltiplicato per la minore quantità di materiali ritirati e trattati nel periodo di chiusura (139.786 tonnellate) determina una perdita di corrispettivi di Euro 11.379.978;

b) riduzione del fatturato da vendita del fertilizzante, desumibile dalle scritture contabili aziendali e dal raffronto con i corrispettivi conseguiti negli anni 2001 e 2002 (rispettivamente Euro 422.371 ed Euro 447.676), che per il 2004 ed il primo trimestre 2005 ha registrato corrispettivi per complessivi Euro 22.248, con una perdita stimata per tale voce pari ad Euro 521.530.

A tanto sarebbe conseguita una diminuzione dell’utile d’impresa, calcolato secondo un margine operativo medio del 16,67% ed un’incidenza media delle imposte del 20%, pari ad Euro 1.587.185.

Inoltre, secondo il consulente di parte, la società avrebbe subito il deterioramento della liquidità disponibile e, di conseguenza, la perdita di introiti finanziari (calcolati sulla base dei tassi medi annuali dei titoli del debito pubblico, al 2,06% per il 2004 ed al 2,14% per il 2005) per complessivi Euro 32.988.

I suesposti calcoli analitici del consulente di parte ricorrente, confortati dai documenti contabili allegati alla perizia, riguardano i mancati ricavi ed il mancato utile d’impresa, per il periodo maggio – ottobre 2004, e non sono stati contestati nel merito dalla difesa della Provincia di Bari, neppure in occasione della pubblica udienza del 23 novembre 2011 (quando la causa è stata spedita in decisione nei preliminari).

Orbene, se da un lato non può dubitarsi che anche nei giudizi risarcitori promossi contro l’Amministrazione pubblica incomba sul danneggiato l’onere di provare i fatti costitutivi e la consistenza del pregiudizio, dall’altro lato deve osservarsi che anche nel processo amministrativo vige, quantomeno per le azioni risarcitorie in cui vengono in rilievo diritti patrimoniali, il principio di disponibilità dei mezzi di prova ed il principio di non contestazione: ai sensi dell’art. 64, secondo comma, cod. proc. amm., il giudice amministrativo pone a fondamento della decisione le prove allegate dalle parti "…nonché i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite" (cfr., per l’applicazione del principio in materia risarcitoria: TAR Puglia, Bari, sez. I, 12 gennaio 2011 n. 20).

La giurisprudenza amministrativa, anche prima dell’approvazione del nuovo codice di rito, ha avuto modo di affermare che nelle cause risarcitorie, vertendosi in tema di diritti soggettivi, trova piena applicazione il principio dell’onere della prova, ma il giudice può sempre intervenire in via suppletiva, con la liquidazione equitativa del danno, quando non possa essere fornita la prova precisa del quantum della lesione, fermo restando che l’an dello stesso va provato dall’interessato (Cons. Stato, sez. VI, 23 marzo 2009 n. 1716).

Per quanto attiene alle risultanze dei registri e degli elenchi allegati da parte ricorrente alla perizia di stima, giova rammentare che, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza civile, le scritture contabili, pur se regolarmente tenute, non hanno valore di prova legale a favore dell’imprenditore che le ha redatte e, pertanto, qualora egli intenda utilizzarle come mezzi di prova, le scritture stesse sono soggette al libero apprezzamento del giudice, al quale spetta stabilire nei singoli casi se, ed in quale misura, esse siano attendibili ed idonee, eventualmente in concorso con altre risultanze probatorie, a dimostrare la fondatezza della pretesa della parte che le ha prodotte in giudizio (così, tra molte, Cass. civ., sez. II, 4 gennaio 2011 n. 105; Id., sez. I, 22 maggio 2009 n. 11912).

Nella fattispecie, può ritenersi che la società ricorrente abbia fornito un solido principio di prova, anche a mezzo del deposito di estratti delle proprie scritture contabili, in ordine ai mancati guadagni sofferti in conseguenza del provvedimento di revoca illegittimamente emesso dalla Provincia di Bari.

Ciò non significa, ad avviso del Collegio, che debba integralmente accogliersi la quantificazione del danno prospettata da parte ricorrente, specie con riguardo al lucro cessante, che di per sé sfugge a determinazioni certe ed univoche e risente naturalmente del carattere prognostico delle valutazioni ad esso sottese.

Secondo un principio processuale di carattere generale, confermato dal quarto comma dell’art. 64 cod. proc. amm., il giudice valuta le prove secondo il suo prudente apprezzamento.

La valutazione equitativa del danno (in base al combinato disposto degli artt. 1226 e 2056 cod. civ.) è consentita, anche nel processo amministrativo, in caso di impossibilità o di grave difficoltà di assolvere all’onere probatorio (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 20 luglio 2010 n. 4660). Anche nel processo civile, il giudice adito con azione risarcitoria può e deve, anche d’ufficio, procedere alla liquidazione del danno in via equitativa, nell’ipotesi in cui sia mancata la prova del suo preciso ammontare per l’impossibilità della parte di fornire congrui ed idonei elementi al riguardo, ma anche nell’ipotesi in cui, pur in presenza di un’attività processuale della parte volta a fornire questi elementi, il giudice, per la notevole difficoltà di una precisa quantificazione, non li abbia tuttavia riconosciuti di sicura efficacia (Cass. civ., sez. I, 19 marzo 1991 n. 2934).

Nella fattispecie in esame, il Collegio ritiene innanzitutto di dover prudenzialmente ridimensionare il margine operativo lordo applicato ai mancati ricavi (che il consulente di parte ricorrente attesta al valore medio del 16,67%), riducendolo al 10%.

Inoltre, appare sottostimata l’incidenza dell’imposizione fiscale (che il consulente di parte ricorrente valuta al 20% onnicomprensivo), che deve essere viceversa assunta in via presuntiva e forfetaria al 40%, secondo nozioni e valori di comune esperienza.

Non può essere riconosciuta, invece, la perdita patrimoniale correlata al deterioramento della liquidità disponibile ed alla conseguente diminuzione degli introiti finanziari, che la ricorrente pretende di calcolare sulla base dei tassi medi attivi dei titoli del debito pubblico, poiché tale voce di danno resta sostanzialmente assorbita nella liquidazione della rivalutazione monetaria e degli interessi legali (di cui si dirà infra), mediante i quali si compensa il creditore anche del mancato utilizzo delle somme di denaro dovute a titolo risarcitorio.

Pertanto, a fronte della perdita di fatturato stimata in:

Euro 11.379.978 (per diminuzione della quantità di rifiuti trattati) + Euro 521.530 (per diminuzione della quantità di fertilizzante venduto) = Euro 11.901.508;

si ha un mancato utile d’impresa lordo pari al 10% di Euro 11.901.508 = Euro 1.190.150;

ed un mancato utile finale, al netto delle imposte forfetariamente calcolate al 40%, pari ad Euro 1.190.150 – Euro 476.060 = Euro 714.090.

Il danno risarcibile ammonta perciò, in totale, a:

Euro 8.067,80 (per spese sostenute) + Euro 714.090 (per mancato guadagno) = Euro 722.157,80 da arrotondare ad Euro 722.160.

2.3. Sulla somma di Euro 722.160 così determinata vanno riconosciuti la rivalutazione monetaria e gli interessi compensativi. Il credito derivante da responsabilità extracontrattuale ha, infatti, natura di credito di valore.

La rivalutazione va quindi calcolata dal 1 gennaio 2005 (data alla quale può approssimativamente ritenersi cessato l’effetto pregiudizievole del provvedimento di revoca) fino alla data di pubblicazione della presente sentenza, sulla base degli indici I.S.T.A.T. dei prezzi al consumo, non avendo la ricorrente provato il maggior danno da svalutazione.

Gli interessi compensativi saranno calcolati nella misura legale, separatamente sul capitale rivalutato anno per anno e fino al soddisfo.

3. In conclusione, il ricorso è accolto per l’importo sopra specificato, maggiorato di rivalutazione monetaria ed interessi legali.

Le spese processuali sono poste a carico della Provincia di Bari nella misura indicata in dispositivo, che tiene conto del valore della causa e dell’attività difensiva svolta.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto condanna la Provincia di Bari al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 722.160, maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi legali come in motivazione.

Pone a carico della Provincia di Bari le spese processuali, nella misura di Euro 30.000 (oltre i.v.a., c.a.p. ed accessori di legge).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Corrado Allegretta, Presidente

Giuseppina Adamo, Consigliere

Savio Picone, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *