Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-06-2012, n. 10859

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Napoli condannò il Comune di Portici (ente appaltante) e la soc. Nuova Edina (appaltatrice) a risarcire i danni cagionati agli immobili della soc. Mazzeo 2 nell’esecuzione di opere di ripavimentazione stradale.

Con la sentenza ora impugnata per cassazione la Corte d’appello di Napoli ha confermato la responsabilità della ditta appaltatrice, ma ha escluso quella del Comune.

La Mazzeo 2 s.r.l. propone ricorso per cassazione attraverso tre motivi. Risponde con controricorso il Comune di Portici. Ambedue le parti hanno depositato memorie per l’udienza.

Motivi della decisione

Il primo motivo sostiene che la Corte d’appello non avrebbe potuto pronunziarsi in ordine alla responsabilità del Comune (escludendola), sia perchè sul punto s’era formato il giudicato interno, sìa perchè non v’era stata una specifica domanda di riforma da parte dell’Ente, sia perchè non era stato rispettato il principio di cui all’art. 342 c.p.c..

Il secondo motivo censura la sentenza per violazione della disposizione dell’art. 2051 c.c., per non avere considerato la sentenza che nella specie il Comune risulta responsabile per essere il custode della sua stessa strada e per avere omesso, dunque, di vigilare sull’esecuzione delle opere date in appalto, nonchè di rendere i provvedimenti necessari per la sicurezza degli utenti.

Il terzo motivo censura la sentenza per violazione delle disposizioni di cui agli artt. 2043 e 1655 c.c., sul presupposto che il Comune, quale proprietario della strada, doveva adottare i provvedimenti idonei a garantirne: la sicurezza, benchè fosse in corso un contratto d’appalto.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

Dalla lettura dello stesso ricorso e dalla trascrizione ivi contenuta del motivo di gravame del Comune (cfr. pag. 8) può desumersi che quest’ultimo aveva censurato la sentenza di primo grado nel punto in cui questa l’aveva ritenuto responsabile ai sensi dell’art. 2051 c.c. (contestando, altresì, la generale responsabilità aquiliana) e l’aveva solidalmente condannato con la ditta appaltatrice a risarcire i danni cagionati alla controparte. Deve, dunque, escludersi che il provvedimento impugnato sia incorso in violazione del giudicato o in ultrapetizione (così come lamentato nel primo motivo).

Quanto al merito della vicenda, la sentenza s’è correttamente uniformata al consolidato principio di diritto secondo cui l’appaltatore, poichè nella esecuzione dei lavori appaltati opera in autonomia, con propria organizzazione ed apprestando i mezzi a ciò necessari, è, di regola, esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi nella esecuzione dell’opera, salva (a parte l’ipotesi di una "culpa in eligendo") l’esclusiva responsabilità del committente, se questi si sia ingerito nei lavori con direttive vincolanti, che abbiano ridotto l’appaltatore al rango di "nudus minister", ovvero la sua corresponsabilità, qualora si sia ingerito con direttive che soltanto riducano l’autonomia dell’appaltatore. Ne consegue che non sussiste responsabilità del committente ove non sia accertato che questi, avendo in forza del contratto di appalto la possibilità di impartire prescrizioni nell’esecuzione dei lavori o di intervenire per chiedere il rispetto della normativa di sicurezza, se ne sia avvalso per imporre particolari modalità di esecuzione dei lavori o particolari accorgimenti antinfortunistici che siano stati causa (diretta o indiretta) del sinistro (tra le più recenti, cfr. Cass. 20 settembre 2011, n. 19132).

La sentenza, dunque, avendo accertato che non era stata nè accertata nè tantomeno dedotta la ricorrenza di uno dei casi giurisprudenzialmente affermati in cui il committente è responsabile per danni arrecati a terzi nell’esecuzione dell’opera appaltata, ha respinto la domanda della società attrice, correttamente escludendo la ricorrenza nella specie dell’obbligo di custodia da parte dell’ente proprietario della strada. Obbligo che cessa la sua vigenza nel momento in cui sul tratto stradale interessato dall’opera s’insedia il cantiere della ditta appaltatrice.

In questi sensi, dunque, risultano del tutto infondate le censure della società ricorrente, con conseguente rigetto del ricorso e condanna alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2200,00, di cui Euro 2000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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