Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-06-2012, n. 10858

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Svolgimento del processo

M.M. e A.S. convennero innanzi al Tribunale di Brescia M.G., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito di un incendio che, insorto in un fabbricato della controparte, adibito a deposito di fieno, si era propagato a beni di loro proprietà.

Il convenuto, costituitosi in giudizio, contestò le avverse pretese.

Chiese, ed ottenne, di chiamare in causa Italiana Assicurazioni s.p.a., per esserne manlevato in caso di soccombenza.

Con sentenza del 31 gennaio 2005 il giudice adito condannò il convenuto al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 42.584,34, oltre accessori, e la società assicuratrice a manlevarlo nei limiti del massimale.

Proposto dal soccombente gravame, la Corte d’appello, in data 10 settembre 2007, ha ridotto la somma dovuta da M.G. a Euro 36.446,77, confermando nel resto la decisione impugnata.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte M.G., formulando tre motivi.

Resistono con controricorso M.M. e S.A..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1 Con il primo motivo di ricorso, lamentando violazione dell’art. 2051 cod. civ., l’impugnante critica la decisione della Corte d’appello per avere fatto applicazione di tale norma senza procedere all’accertamento del necessario nesso eziologico tra cosa in custodia ed evento dannoso. Evidenzia che nella fattispecie gli esperti incaricati di verificare le cause del sinistro si erano espressi in forma perplessa e dubitativa e che anche gli esiti della prova orale e documentale erano del tutto insufficienti al fine di affermare con certezza il luogo di insorgenza dell’incendio, posto che la deposizione dell’ O., segnatamente valorizzata dal giudice di merito, era in contrasto con altre emergenze istruttorie di sicura affidabilità ed era paradossale nella sua inverosimiglianza.

2 Le critiche sono infondate.

Il giudice di merito ha chiarito, in termini che non possono essere tacciati di implausibilità o di contraddittorietà, le ragioni del suo convincimento. Al riguardo non ha affatto ignorato l’approccio problematico degli esperti incaricati dall’ufficio di ricostruire l’eziologia dell’incendio e l’assenza nelle relative conclusioni di un giudizio connotato da assoluta certezza. Ha tuttavia rilevato che l’elevata probabilità da essi riconosciuta alla ricostruzione dei fatti esposta in citazione, valutata alla luce dell’intera piattaforma probatoria di riferimento, e segnatamente della decisiva deposizione resa dal teste O., consentiva di ritenere dimostrata la dinamica del sinistro posta a fondamento della domanda risarcitoria. In tale contesto il decidente ha anche esaminato e confutato i rilievi in punto di inattendibilità del teste evidenziati dal convenuto appellante, concludendo, sulla base di argomentazioni logicamente coerenti ed esenti da aporie e da contrasti disarticolanti con la base fattuale di riferimento, per la loro assoluta infondatezza.

A fronte di tale apparato motivazionale, completo ed esaustivo, appare evidente che le critiche svolte in ricorso, attraverso la surrettizia deduzione di violazioni di legge e di vizi motivazionali, in realtà inesistenti, mirano solo a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove, preclusa in sede di legittimità.

Valga al riguardo considerare, da un lato, che ciò di cui si duole il ricorrente è, in realtà, l’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, ricostruzione che è esterna all’ermeneutica normativa ed è denunciabile in sede di legittimità solo sotto l’aspetto del vizio motivazionale;

dall’altro, che l’impugnante contesta l’iter argomentativo del decidente perciò solo che esso non instaura tra i dati emersi dalla compiuta istruttoria il collegamento da lui ritenuto più opportuno, senza considerare che tutto ciò rimane all’interno della possibilità di apprezzamento devoluta al giudice di merito, e, non contrastando con la logica e con le leggi della razionalità, appartiene al convincimento di chi deve giudicare, senza renderlo viziato ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ. (confr. Cass. civ. 26 febbraio 2003, n. 2869).

3 Il secondo e il terzo motivo di ricorso, con i quali il ricorrente torna a denunciare vizi motivazionali in relazione alla ritenuta idoneità delle prove raccolte a dimostrare il nesso causale tra il bene in custodia del convenuto e i danni subiti dagli attori nonchè in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito aquiliano e alla ricorrenza di un caso fortuito, sono inammissibili.

Valga al riguardo considerare che, in ragione della data della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009), e in base al comb. disp. del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2 e L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, il ricorso deve ritenersi soggetto, quanto alla sua formulazione, alla disciplina di cui all’art. 360 cod. proc. civ., e segg., nel testo risultante dal menzionato D.Lgs. n. 40 del 2006. In base a tali norme, e segnatamente, in base all’art. 366 bis cod. proc. civ., nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, l’illustrazione della censura va completata con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. (Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11652).

4 Nella fattispecie i motivi di ricorso in esame, con i quali si denunciano solo vizi motivazionali, mancano totalmente del momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) volto a circoscrivere puntualmente i limiti delle allegate incongruenze argomentative, in maniera da non ingenerare incertezze sull’oggetto della doglianza e sulla valutazione demandata alla Corte (confr. Cass. civ. 1 ottobre 2007, n. 20603).

5 In definitiva il ricorso deve essere integralmente respinto.

Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.200,00 (di cui Euro 4.000,00 per onorari), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge.

Così deciso in Roma, il 23 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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