Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-06-2012, n. 10855 Padroni e committenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

p. 1. Nel febbraio del 1994 G.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, C. C. e P.V. e, lamentando che costoro, nell’esecuzione – nelle rispettive qualità di proprietaria ed appaltatore – di lavori di demolizione di un fabbricato, avevano cagionato danni, a quello confinante di sua proprietà, ne chiedeva il risarcimento.

Nella costituzione di entrambi i convenuti e dell’Assitalia, società assicuratrice chiamata in causa dal P. per essere garantito, il Tribunale, con sentenza del febbraio del 2003, all’esito dell’espletamento di una consulenza tecnica, accoglieva la domanda nei confronti di entrambi i convenuti e li condannava al risarcimento dei danni, mentre rigettava la domanda di garanzia del P., per non essere il rischio coperto dalla polizza.

p. 2. Sull’appello principale della C. ed incidentale del P., nella resistenza del G. e dell’Assitalia società assicuratrice, la Corte d’Appello di Messina, con sentenza del 27 giugno 2006, ha parzialmente accolto l’appello principale riformando la sentenza di primo grado quanto alla condanna alle spese della C. a favore dell’Assitalia, ha rigettato l’appello incidentale del P., ha compensato le spese del grado fra costui e la C., ha condannato entrambi gli appellanti alle spese del grado in favore del G. ed ha condannato il P. alle spese del grado a favore dell’Assitalia.

p. 3. Avverso sentenza la C. ha proposto ricorso per cassazione contro il G. ed il P..

Ha resistito con controricorso soltanto il G..

p. 4. La C. ha depositato memoria.

Motivi della decisione

p. 1. Preliminarmente va rilevato che il ricorso non è stato notificato all’Assitalia.

Riguardo alla proposizione del ricorso, peraltro, la posizione della medesima, in ragione della conferma in appello della esclusione dell’operatività della polizza assicurativa, era quella di un soggetto nei cui confronti la sentenza poteva essere messa in discussione soltanto dal P.. Viceversa, la stessa società avrebbe avuto interesse ad impugnare la statuizione con cui la sentenza di primo grado era stata riformata quanto alla condanna alle spese in suo favore della C.. Poichè l’impugnazione della C. non pone in discussione la statuizione favorevole all’Assitalia quanto al rapporto assicurativo, che avrebbe potuto impugnarsi semmai in via incidentale dal P., mentre l’impugnazione di quella sulle spese competeva all’Assitalia e potrebbe rimanere in piedi anche se l’esito del ricorso in esame fosse favorevole alla C., non essendo con tale eventualità incompatibile, la circostanza che l’impugnazione da parte dell’Assitalia quanto a tale statuizione sia ormai preclusa esclude che debba provvedersi ai sensi dell’art. 332 c.p.c..

p. 2. Con il primo motivo si deduce "violazione e falsa applicazione degli artt. 840, 2043, 2049 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; insufficienza e palese contraddittorietà della motivazione su fatti della controversia decisivi per il giudizio".

L’illustrazione del motivo si articola dalla pagina venti alla pagina ventiquattro con considerazioni che, in modo pigolare, sono relative alla motivazione della sentenza di primo grado, della quale in parte richiamano le argomentazioni con le quali disattese la pretesa del P. di essere stato esente da colpe nell’esecuzione dei lavori, avvenuta pacificamente sulla base di un appalto.

In tutte le quattro pagine la motivazione della sentenza d’appello viene evocata solo alla pagina ventuno, nella parte in cui si è espressa, per confermare la decisione del primo giudice sull’esistenza di una responsabilità solidale della C. e del P., nel senso che "nella specifica materia regolata dall’art. 840 c.c., diversamente da quel che avviene in generale, l’aver affidato i lavori in appalto non è circostanza idonea ad esentare il commettete dalla responsabilità verso i terzi danneggiati (salvi naturalmente, gli eventuali rapporto di rivalsa con l’appaltatore)..".

Senonchè nè questa parte della motivazione nè altra vengono sottoposte; a critica nelle residue considerazioni fino alla pagina ventiquattro, anzi, dopo la parte di motivazione della sentenza di appello evocata, si torna a ragionare della sentenza di primo grado, per dire che il primo giudice avrebbe dovuto condannare la C. solo quale proprietaria e non quale committente e, quindi, si dice (pagina ventidue) che in conseguenza, ferma la solidarietà, avrebbe dovuto riconoscere alla C. il diritto di rivalesi integralmente nei confronti del P. per quanto sarebbe stata chiamata a pagare. E, quindi, si passa a riportare per tre pagine la motivazione della sentenza del primo giudice.

Dopo di che – e l’argomentazione trova riscontro nel secondo quesito di diritto enunciato in chiusura dell’illustrazione del motivo, come si dirà – si dice che le considerazioni della riportata motivazione del giudice di primo grado avrebbero dovuto indurlo "ad affermare l’esclusiva responsabilità del P. e quindi, in ipotesi di condanna della proprietaria in solido con l’appaltatore, affermare il diritto della proprietaria di ripetere integralmente quanto pagato al terzo danneggiato".

Di seguito si dice testualmente quanto qui si riporta: "la Corte d’Appello, chiamata a chiarire il profilo si è invece solo limitata ad affermare (cfr. sent, pag. 9, righi 2-10) che "il P. ha contestato che il suo rapporto con la C. vada qualificato i termini di appalto (sul punto si è quindi formato il giudicato" con la conseguenza "…. che egli ha svolto il suo incarico in piena autonomia (giusta il disposto dell’art. 1655 c.c.): ciò comporta il suo obbligo di verificare previamente l’attitudine lesiva delle opere che si è impegnato ad eseguire e ad apprestare le idonee cautele e, in ogni caso, di renderne edotto il committente (restando esonerato dalla responsabilità solo se ciò nonostante, questi ribadisca l’ordine di procedere all’esecuzione) ….". Ha quindi concluso affermando che nella specie "non è dato dubitare della responsabilità del P.. Ciò malgrado ha mantenuto ferma la responsabilità solidale della C. e del P. per i danni per cui è causa senza stabilire, in favore della C. il diritto di ripetere integralmente, dal P., quanto pagato al G.".

p. 2.1. Ebbene, il Collegio osserva che dalla struttura espositiva del motivo emerge che la critica alla sentenza impugnata risulta effettuata solo con questa affermazione finale. Ci si duole, dunque, che non si sia riconosciuta la rivalsa, ma sotto tale profilo si sarebbe dovuto individuare dove e come con apposita domanda era stata chiesta e il vizio da denunciare sarebbe stata l’omessa pronuncia su tale domanda, non potendosi in alcun modo immaginare che la rivalsa dovesse aver luogo d’ufficio.

Nessuna critica è svolta, invece, al tessuto motivazionale della sentenza d’appello circa la particolare rilevanza che avrebbe l’art. 840 c.c., per affermare la responsabilità del committente proprietario per i lavori riconducibili ad essa in concorso con l’appaltatore sulla base di una deroga ai normali principi in punto di concorso di responsabilità.

E’ vero che l’illustrazione così articolata è chiusa da due quesiti, il primo dei quali è di questo tenore: "se la proprietaria di un immobile che affidi in appalto a terzo idoneo e capace – che operi in piena autonomia gestionale, senza vincoli di dipendenza o sorveglianza di alcun genere – la demolizione dell’immobile medesimo, qualora, per la cattiva esecuzione dei lavori di demolizione, si verifichino danni all’immobile del vicino, possa essere ritenuta responsabile, in solido con l’appaltatore, esecutore materiale dei lavori, sia quale proprietaria (artt. 840 e 2043 c.c.) che quale committente (art. 2049 c.c.)". E il secondo è, invece, del seguente tenore: "Se la proprietaria appaltante che veda esclusa una sua responsabilità civile ex art. 2049 cod. civ., per il fatto illecito commesso dall’appaltatore ma venga comunque condannata, in solido con l’appaltatore, quale proprietaria i quanto tale e no qua committente, per la responsabilità prevista dagli artt. 840 e 2043 c.c., abbia il diritto di ripetere integralmente, dall’appaltatore, quanto pagato al terzo danneggiato".

Tuttavia, per quanto osservato in precedenza, il primo quesito non trova alcuna rispondenza nell’illustrazione del motivo e, pertanto, la Corte non può apprezzare – pur nell’esercizio dei suoi poteri di applicazione dell’esatto diritto – il motivo sulla base di esso, perchè altrimenti si sostituirebbe all’onere del ricorrente di articolare l’illustrazione del motivo stesso, del quale il quesito rappresenta solo la sintesi. Non può, cioè darsi risposta ad un quesito non illustrato criticamente dal motivo.

La Corte, ferma l’infondatezza del motivo per la questione posta dal secondo quesito, giusta il rilievo sopra svolto, non può, dunque, porsi il problema della possibile applicazione alla vicenda del principi di diritto anche recentemente ribadito dalla propria giurisprudenza nel senso che "Il proprietario il quale faccia eseguire opere di escavazione nel proprio fondo risponde direttamente del danno che derivi alle proprietà confinanti, anche se ha dato in appalto l’esecuzione delle opere, e ciò indipendentemente dal suo diritto ad ottenere la rivalsa nei confronti dell’appaltatore, la cui responsabilità si aggiunge alla sua, ma non la esclude; la responsabilità del proprietario committente non opera tuttavia in senso oggettivo, ma richiede una condotta colposa, poichè l’autonomia con cui vengono eseguiti i lavori determina, di regola, una responsabilità esclusiva in capo all’appaltatore, a meno che il committente non si sia ingerito con direttive vincolanti, così da ridurre l’appaltatore, attenuandone o escludendone la responsabilità, al rango di nudus minister, in parte o in toto ovvero quando la responsabilità del committente si fondi su una culpa in eligendo, per aver affidato l’opera ad un’impresa assolutamente inidonea" (Cass. n. 538 del 2012, che riassume lo stato della giurisprudenza).

Applicazione con la quale la motivazione della sentenza impugnata non si pone del tutto in consonanza in linea astratta, circostanza, tuttavia, che, se il motivo corrispondente al quesito fosse stato sussistente (circostanza comunque assorbente ed impeditiva, come s’è detto della sua applicazione), per giustificarne la cassazione avrebbe richiesto che il motivo articolasse la dimostrazione che, per quanto era emerso nel corso dello svolgimento processuale, nella specie non vi erano stati profili di colpa anche in eligendo della C., oltre che – come sembrerebbe, data l’affermazione della stessa sentenza, sia pure per giustificare la responsabilità del medesimo, che il P. operò in autonomia – per il potenziale profilo di colpa da ingerenza della committente.

Il sopra richiamato principio di diritto, infatti, non toglie, ma non è questa la sede per occuparsene, che la dimostrazione della culpa in eligendo o da ingerenza ponga un problema di distribuzione dell’onere della prova, non potendo sostenersi che l’onere ricada totalmente sul danneggiato, posto che entrambi i profili ineriscono al rapporto fra committente ed appaltatore ed occorrendo, dunque, in relazione alle circostanza del caso concreto valutare entro quali limiti il danneggiato sia tenuto alla prova, come d’ordinario per il profilo soggettivo dell’illecito aquiliano. Ma, ripetesi, non è questa la sede per un simile approfondimento.

p. 3. Con il secondo motivo si deduce "violazione e falsa applicazione degli artt. 840 e 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".

Vi si sostiene innanzitutto, dopo avere osservato che, costituendosi, la C. aveva dedotto che i lavori erano stati eseguiti in appalto dal P. e che, pertanto, non poteva venire in rilievo una sua responsabilità quale committente ai sensi dell’art. 2049 c.c. "posto che il P. aveva operato in piena autonomia gestionale, senza vincoli di dipendenza o sorveglianza di alcun genere", che "non dovrebbe esservi dubbio sulla insussistenza di una responsabilità della C. ai sensi dell’art. 2049 c.c." e, quindi, si dice che resta da vedere se una responsabilità della medesima fosse consentito di affermarla ai sensi dell’art. 840 c.c., come ha fatto la sentenza impugnata.

Senonchè, la critica alla motivazione della sentenza impugnata non è nemmeno in questa sede mossa all’affermazione della normale concorrenza della responsabilità della proprietaria appaltante con quella dell’appaltatore nello specifico caso dei lavori cui allude l’art. 840 c.c., bensì quanto all’affermazione che nella specie era applicabile detta norma, che, invece, ad avviso della C. sarebbe inidonea a comprendere le demolizioni.

Ciò è tanto vero che la stessa illustrazione del motivo cita giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 22226 del 2006, n. 2988 del 1989, n. 4577 del 1998), mostrando di ben conoscerla, la quale di norma afferma la responsabilità del proprietario per i danni arrecati da lavori di escavazione o esecuzione di opere e poi sostiene che essa non sarebbe adeguata al caso di specie, le cui peculiarità vengono individuate nella circostanza che la C. dovette agire per la demolizione perchè costretta da un’ordinanza sindacale, caso che sarebbe diverso da quello di chi decida di eseguire escavazioni od opere sua sponte, "potendo avvenire con le più svariate modalità e previa adozione dei più opportuni accorgimenti", dato che si potrebbe scegliere il luogo dello scavo o dell’edificazione, se del caso allontanandosi dal fondo del vicino.

E’ vero che anche qui l’illustrazione si conclude con due quesiti, l’uno che domanda se l’art. 840 c.c., comprenda le demolizioni, l’altro che chiede se l’art. 840, abbia il ruolo di attribuire al proprietario, anche i caso di affidamento dei lavori in appalto, una responsabilità concorrente e solidale con quella dell’appaltatore.

Senonchè, in disparte l’assoluta genericità dei due quesiti, al secondo non corrisponde alcuna attività d’illustrazione del motivo e, quindi, si tratta di quesito senza motivo.

Al primo quesito corrisponde l’illustrazione del motivo ma deve darsi risposta negativa, atteso che non si comprende come e perchè un’opera di demolizione, pur determinata da un ordine dell’autorità che renda l’attività obbligata, possa sfuggire alla sfera di responsabilità dell’art. 840 c.c., ed alla cautela richiesta al proprietario.

Il motivo, quanto all’unica censura effettivamente proposta, è, pertanto, infondato.

p. 4. Il ricorso è, conclusivamente rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione al resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro tremiladuecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 23 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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