Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 15-11-2011) 12-12-2011, n. 45938

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

– che la Corte di Appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto, pronunciando in funzione di giudice dell’esecuzione e per quanto ancora rileva nel presente giudizio, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha rigettato l’incidente proposto nell’interesse di M.A. avverso il provvedimento di cumulo di pene concorrenti emesso dal Procuratore Generale della sede in data 25 febbraio 2008, relativamente alla contestata applicazione del condono concesso con L. n. 241 del 2006, sulla pena determinata per cumulo materiale delle pene concorrenti (quaranta anni di reclusione) e non invece sulla pena come ridotta per effetto del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen.;

– che avverso l’indicato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il condannato, personalmente, deducendone l’illegittimità per violazione di legge e vizio di motivazione, per avere il giudice dell’esecuzione applicato l’indulto non già sulla pena complessiva come determinata in applicazione del criterio moderatore previsto dall’art. 78 cod. pen., ed a ragione del principio di unitarietà dell’esecuzione, ma sulla somma aritmetica delle pene inflitte per i reati condonabili, comprese nel provvedimento di cumulo, senza considerare che l’ordinamento già prevede delle ipotesi di un duplice abbattimento della pena (per la scelta del rito ex art. 442 cod. proc. pen. e per effetto dell’applicazione della pena), e che in tali casi la giurisprudenza ormai prevalente è nel senso di ritenere che la riduzione per effetto della diminuente vada applicata dopo la determinazione della pena complessiva in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene stabilite dall’art. 71 cod. pen., e segg., fra le quali vi è anche la disposizione limitativa del cumulo materiale (in termini S.U., sentenza n, 45583 del 25/10/2007, dep. il 6/12/2007, Rv. 237692, imp. Volpe).

Motivi della decisione

– che l’impugnazione è basata su motivi infondati e va quindi rigettata;

– che le deduzioni sviluppate in ricorso, infatti, oltre a riproporre delle tesi già disattese in sede di merito con adeguata motivazione, risultano in contrasto con il principio di diritto ripetutamente affermate da questa Certe, sedendo cui "nel determinare, ai sensi dell’art. 663 cod. proc. pen., la pena da eseguirsi nel caso di esistenza, a carico del medesimo soggetto, di pene temporanee detentive concorrenti, il giudice dell’esecuzione, a norma degli artt. 78 e 80 cod. pen., deve dapprima scorporare dal cumulo materiale la somma delle pene estinte per indulto, in quanto non più concretamente eseguibili per l’intervento della causa estintiva, e solo successivamente applicare il criterio moderatore del cumulo giuridico, ponendosi tale criterio come temperamento legale del coacervo delle sole pene da eseguirsi effettivamente, senza possibilità di inclusione in esso delle pene già coperte dal condono, le quali, altrimenti, verrebbero a godere di un duplice abbattimento, dapprima fruendo dell’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen. e poi del loro scorporo integrale dal cumulo giuridico" (in tal senso si veda, ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 46279 del 12/12/2007, Rv. 238427);

– nè hanno pregio le deduzioni difensive sviluppate in ricorso per contrastare l’applicazione anche nel caso in esame di tale principio, ove si consideri: quanto al distinguo operato in ricorso tra criterio moderatore del cumulo, quale istituto previsto da un articolo del codice penale (l’art. 78) e l’indulto, in quanto "beneficio" previsto dalla legge e come tale non suscettibile di limitazioni non espressamente previste dal legislatore, che le argomentazioni sul punto, così come formulate, si rivelano invero, nel loro complesso incomprensibili, dovendo, in particolare, ritenersi irrilevante che la concreta applicazione del principio di diritto precedentemente evocato possa rendere inoperante il riconoscimento dell’indulto, in quanto la pratica inoperatività dell’effetto estintivo dell’indulto deriva dal fatto che la pena, pur ridotta per la corretta applicazione del beneficio indulgenziale, entrando nel cumulo, porta la pena complessivamente determinata con calcolo aritmetico a livelli superiori a quelli previsti dal cumulo giuridico e lascia invariato il limite massimo; quanto al parallelo operato con riferimento con altre ipotesi di riduzione di pena, che gli istituti posti in comparazione, sono del tutto eterogenei, posto che quella conseguente alla scelta del rito abbreviate è una "diminuente speciale" che ha caratteristiche e disciplina sue proprie e che l’indulto costituisce invece una causa di estinzione della pena;

– che il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 c.p.p., in ordine alla spese del presente procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il riessente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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