Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-06-2012, n. 10853 Liquidazione e valutazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p.1. Si.Co., Sa.Gi., Sa.Ma., Sa.PI., Sa.An. e Sa.La., con atto di citazione dell’1 luglio 1996, convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Brindisi, il Consorzio S1SRI di Brindisi, T. C. e C.M., esponendo: che l’11 agosto 1983 un cancello scorrevole posto all’ingresso dell’area del porto di Brindisi fuoriusciva dai binari e travolgeva Sa.Fr. – marito e padre degli attori – provocandone la morte; che, a seguito dell’incidente, veniva iniziato processo penale nei confronti del T., all’epoca ingegnere capo del Consorzio del Porto e dell’ASI, nonchè nei confronti del C., presidente f.f.

dello stesso Consorzio; che costoro venivano dichiarati colpevoli del reato di omicidio colposo dal Tribunale Brindisi con sentenza del 16 dicembre 1991, confermata in appello e dalla Corte Suprema; che, pertanto, la loro responsabilità era stata ormai accertata con sentenza passata in giudicato; che solidalmente tenuto al risarcimento del danno era anche il Consorzio del Porto e dell’ASI, frattanto divenuto Consorzio S1SRI, tenuto conto che il T. e il C. avevano commesso il reato agendo rispettivamente nella qualità di ingegnere capo e di presidente f.f. di detto Consorzio; che i danni patrimoniali e non subiti dagli attori ammontavano a non meno di lire 1.000.000.000.

Tanto premesso, gli attori chiedevano al Tribunale di condannare i convenuti in solido al pagamento della predetta somma, oltre interessi e rivalutazione monetaria, con vittoria di spese e competenze di lite.

Il T., costituitosi in giudizio, chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa il dott. A.F. e il geom. G.A., osservando che ogni incombenza relativa alla manutenzione del cancello era stata attribuita al G., il quale relazionava direttamente al segretario generale dott. A., dal quale riceveva istruzioni; nel merito, chiedeva che fosse dichiarato obbligato a risarcire il danno il Ministero delle Finanze, essendo la Guardia di Finanza, quale custode del cancello, tenuta a controllarne il regolare funzionamento; in subordine, che fosse dichiarato obbligato ai risarcimento il Consorzio SISRI (già Consorzio del Porto ed ASI) e, in via estremamente gradata, il C., l’ A. e il G..

Il C., costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti e, in subordine, chiedeva che il Consorzio del Porto e dell’ASI fosse condannato a manlevarlo delle somme che egli fosse stato eventualmente condannato a pagare agli attori.

Il Consorzio SISRI, costituitosi in giudizio, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa l’Autorità Portuale di Brindisi, il Ministero delle Finanze e la compagnia di assicurazione La Fondiaria S.p.A.;

nel merito chiedeva che fosse dichiarato il suo difetto di legittimazione passiva, essendo obbligati al risarcimento l’Autorità Portuale (titolare dei beni demaniali e, segnatamente, del cancello) e il Ministero delle Finanze, (avendo la Guardia di Finanza l’uso e la vigilanza del predetto manufatto); in subordine, nella denegata ipotesi di accertata sua responsabilità, che fossero dichiarati solidalmente tenuti anche il Ministero delle Finanze e l’Autorità Portuale, nei confronti dei quali esercitava azione di rivalsa;

analoga azione di rivalsa spiegava poi nei confronti della compagnia di assicurazione, nei limiti del massimale.

Previa autorizzazione del giudice istruttore, venivano chiamati in causa e si costituivano in giudizio: 1) l’Autorità Portuale di Brindisi, che insisteva per il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti o, in subordine, perchè il Ministero delle Finanze fosse condannato a manlevarla delle eventuali conseguenze pregiudizievoli del giudizio; 2) la S.p.A. La Fondiaria, che chiedeva il rigetto della domanda spiegata contro di essa o, in subordine, perchè l’eventuale sua responsabilità fosse contenuta entro i limiti del massimale; 3) il G. e l’ A., i quali chiedevano il rigetto della domanda proposta contro di loro; 4) il Ministero delle Finanze, che, preliminarmente, chiedeva che fosse dichiarata l’incompetenza del Tribunale di Brindisi e, nel merito, insisteva per il rigetto delle domande proposte nei suoi confronti; in estremo subordine, chiedeva che fosse dichiarata prevalente la responsabilità del Consorzio SISRI e dell’Autorità Portuale.

p.2. Il Tribunale di Brindisi, con sentenza del maggio 1997, dichiarava la propria incompetenza ex art. 25 c.p.c. e gli attori riassumevano il processo davanti al Tribunale di Lecce.

Il Consorzio SISRI, l’ A., il G., La Fondiaria Assicurazioni S.p.A., il T., il C., il Ministero delle Finanze e l’Autorità Portuale, costituitisi in giudizio, rassegnavano le medesime conclusioni già formulate davanti al Tribunale di Brindisi.

Su ordine del giudice istruttore veniva chiamata in causa la soc. Ferrovie dello Stato, che, costituitasi in giudizio, contestava di poter essere ritenuta responsabile dell’incidente.

All’esito dell’istruzione il Tribunale, con sentenza del luglio 2004, condannava solidalmente il Consorzio SISRI, il T. e il C. al pagamento, in favore degli attori, della somma di L. 501.276, 58, oltre agli interessi legali e, limitatamente alla somma di lire 181.276, 58, alla rivalutazione monetaria fino al soddisfo;

condannava altresì i convenuti a rimborsare agli attori le spese processuali; rigettava le domande dagli stessi proposte e dichiarava interamente compensate le spese processuali tra le altre parti.

In motivazione il giudicante osservava: che la responsabilità del T. e del C. era stata accertata con sentenza ormai passata in giudicato, avendo il primo – in qualità di responsabile del settore tecnico del Consorzio del Porto e dell’ASI – disposto una modifica del sistema di apertura del cancello posto all’ingresso della zona portuale, trasformandolo da elettronico in manuale, senza che vi fosse un collaudo delle opere realizzate e senza aver tenuto conto della normativa antinfortunistica e, il secondo – in qualità di presidente del predetto Consorzio – autorizzato tale trasformazione, omettendo di controllarne la sicurezza; che quanto accertato in sede penale era confermato dalla documentazione in atti, sulla base della quale era possibile ritenere responsabile della pericolosa modifica del sistema di apertura del cancello il Consorzio, il quale – a mezzo dei suoi due predetti dipendenti – aveva incaricato e retribuito l’impresa che l’aveva realizzata, tornendole pure i progetti esecutivi; che tali risultanze processuali escludevano nel contempo la responsabilità della Guardia di Finanza, il quale aveva soltanto l’uso del cancello in questione, limitandosi ad aprirlo e chiuderlo nell’attività di sorveglianza dell’ingresso alla zona del porto; che, in particolare, la Guardia di Finanza non aveva il potere di modificare le caratteristiche del cancello nè era nelle condizioni di rilevare, nell’uso quotidiano, il difetto costruttivo dell’impianto, manifestatosi soltanto in occasione della morte del Sa. ed imputabile a chi aveva progettato, autorizzato ed eseguito il ripristino del sistema di chiusura manuale; che non era neppure configurabile una responsabilità della Guardia di Finanza ex art. 2051 c.c., perchè la stessa non aveva la possibilità di modificare il sistema di apertura del cancello nè di verificare che le sue caratteristiche fossero tali da non provocare darmi a terzi; che era da escludersi la responsabilità delle Ferrovie dello Stato, perchè, anche ammesso che fossero proprietarie dell’immobile, certamente non ne avevano la disponibilità; che il Consorzio era pertanto responsabile ex art. 2049 c.c. del fatto illecito commesso dai suoi dipendenti; che infondata era l’eccezione di legittimazione passiva sollevata dal Consorzio SISRI, il quale aveva sostenuto che la responsabilità ricadeva sull’Autorità Portuale di Brindisi, essendo la stessa succeduta – ai sensi della L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 20, comma 5, – in tutti i rapporti attivi e passivi del dismesso Consorzio del Porto e dell’ASI; che, infatti, la successione dell’Autorità Portuale al Consorzio del Porto e dell’ASI non si era verificata nel porto di Brindisi, nel quale avevano continuato ad operare sia l’Autorità Portuale sia lo stesso Consorzio SISRI, il cui statuto prevedeva, all’art. 1, che il neocostituito Ente "succede in tutti i rapporti attivi e passivi, nonchè in tutti i giudizi pendenti innanzi ai giudici ordinari e amministrativi, già di pertinenza del Consorzio del Porto e dell’Area di Sviluppo Industriale di Brindisi"; che nella specie non si era peraltro verificata quella "avvenuta dismissione" del Consorzio, cui era subordinato il trasferimento all’Autorità Portuale di tutti i rapporti precedentemente facenti capo al Consorzio; che era da escludersi la responsabilità del G. – già prosciolto in sede penale – perchè lo stesso non aveva il potere di ordinare la modifica del cancello; che analogamente doveva escludersi la responsabilità dell’ A., essendosi lo stesso occupato soltanto di alcuni aspetti esecutivi, non attinenti alla sicurezza dell’impianto; che doveva essere rigettata l’azione di garanzia spiegata dal Consorzio nei confronti della soc. La Fondiaria, perchè la polizza non comprendeva i danni provocati dal cancello; che la moglie e i figli del defunto Sa. avevano subito un danno patrimoniale, in quanto lo stesso provvedeva al loro mantenimento con i proventi della sua attività di autotrasportatore, dalla quale ricavava un reddito medio di lire 125.000 al giorno per n. 26 giorni lavorativi; che, in particolare, doveva ritenersi che il Sa. destinasse 2/3 dei suoi guadagni (ammontanti complessivamente a lire 39.000.000 annui) al mantenimento della famiglia, ripartendoli in ragione del 50% in favore della moglie (che avrebbe perciò percepito lire 13.000.000 all’anno per i 20 anni in cui il marito avrebbe continuato presumibilmente a lavorare) e per il 50% in favore dei figli (i quali avrebbero beneficiato dell’aiuto del padre presumibilmente fino al raggiungimento del 23 anno di età);

che agli attori competeva poi il risarcimento del danno morale, da liquidarsi nella somma di e 70.000, 00 in favore della moglie e di Euro 50.000, 00 in favore di ciascun figlio; che nulla poteva essere riconosciuto a titolo di risarcimento del danno esistenziale, non essendo stato provato un pregiudizio ulteriore rispetto a quello ricompreso nel danno morale; che, pertanto, i convenuti doveva essere condannati, in solido fra loro, al pagamento della somma di Euro 501.276, 58, oltre agli interessi legali e la rivalutazione monetaria limitatamente alla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, nonchè il rimborso delle spese di lite; che fra tutte le altre parti le spese processuali dovevano essere dichiarate interamente compensate, in considerazione della complessità e particolarità delle questioni trattate.

p.3. La sentenza veniva impugnata dal Consorzio SISRI con atto notificato il 5.11.2004.

Si.Co. e i germani Sa. resistevano al gravame e, a loro volta, spiegavano appello incidentale.

Il G., l’ A., il C. e il T. proponevano appello incidentale.

Il Ministero delle Finanze, la Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (già Ferrovie dello Stato), l’Autorità Portuale di Brindisi e la Fondiaria SAI S.p.A. resistevano al gravame.

p.4. Con sentenza del 28 dicembre 2006 la Corte d’Appello di Lecce ha accolto l’appello principale del Consorzio SISRI e rigettato la domanda degli Eredi Sa. nei suoi confronti, ha accolto "per quanto di ragione" l’appello incidentale del T. e del C. e quello incidentale anche condizionato degli eredi Sa. e, per l’effetto, ha esteso al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed all’Autorità Portuale di Brindisi la condanna pronunciata in primo grado a carico del T. e del C., condannando tutti costoro in solido al risarcimento in favore dei detti eredi – con aumento della somma riconosciuta in primo grado – di Euro 346.000, 00 titolo di danno non patrimoniale e di Euro 181.276, 58 già riconosciuta in primo grado a titolo di danno patrimoniale, oltre gli accessori.

Inoltre, la sentenza ha rigettato gli appelli incidentali di A.F. e di G.A., ha confermato nel resto la sentenza di primo grado ed ha, quindi, reso le corrispondenti statuizioni sulle spese relativamente ai vari rapporti processuali, in ragione dell’esito del giudizio di appello.

p.5. Contro la sentenza resa dalla Corte leccese ha proposto ricorso in via principale l’Autorità Portuale di Brindisi contro gli eredi Sa., il Consorzio SISRI Brindisi ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nonchè nei confronti di tutte le altre parti.

A questo ricorso, iscritto al n. r.g. 6606 del 2007, ha resistito innanzitutto con controricorso il Consorzio.

Ha resistito, altresì, con controricorso e ricorso incidentale iscritto al n.r.g. 8547 del 2007 il T..

A loro volta hanno resistito con controricorso gli Eredi Sa.

e in esso hanno svolto ricorso incidentale iscritto al n. r.g. 9506 del 2007 contro il SISRI. Sia al ricorso incidentale del T., sia a quello degli eredi ha resistito con controricorso l’Autorità Portuale.

Al ricorso proposto dagli eredi ha resistito con controricorso anche il Consorzio SISRI. A sua volta al ricorso dell’Autorità Portuale ha resistito con controricorso il Ministero, svolgendo ricorso incidentale, iscritto al n.r.g. 11283 del 2007.

Avverso tale ricorso incidentale hanno resistito con separati controricorsi sia il Consorzio sia gli eredi Sa..

p.6. In vista dell’udienza della Corte hanno depositato memoria l’Autorità Portuale ed il Ministero.

Motivi della decisione

p.1. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi incidentali al ricorso principale, in seno al quale sono stati proposti.

p.2. Con il primo motivo del ricorso principale dell’Autorità Portuale di Brindisi si deduce "violazione e falsa applicazione dell’art. 2049 cod. civ. e art. 28 Cost., nonchè degli artt. 112, 183 e 345 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per avere la sentenza impugnata erroneamente affermato la responsabilità dell’Autorità Portuale di Brindisi, che pacificamente non è mai stata datore di lavoro dei responsabili T.C. e C.M.F., ritenendola responsabile ad altro titolo e così pronunciando ultrapetita, poichè gli attori eredi Sa. avevano invocato solo la responsabilità solidale del datore di lavoro Consorzio SISRI ex art. 2049 cod. civ. e art. 28 Cost. e, comunque, non avrebbero potuto sostituire questa causa petendi".

Vi si sostiene:

a) che la domanda degli Eredi Sa. era sempre stata rivolta contro il T. e il C., condannati penalmente per omicidio colposo e contro il loro datore di lavoro Consorzio SISRI, con espressa invocazione dell’art. 2049 c.c. e art. 28 della Cost., come emergerebbe dall’atto di citazione e dalla citazione in riassunzione dopo la declinatoria di competenza, nonchè dalla comparsa conclusionale di appello degli eredi Sa., di cui si riporta un passo relativo alle pagine 18-19 ed altro passo relativo alla pagina 21;

b) che era pacifico in causa che l’Autorità Portuale non era mai stata datrice di lavoro del T. e del C. e la sentenza impugnata non lo ha affermato;

c) che l’Autorità portuale non poteva dunque essere condannata quale datore di lavoro dei responsabili;

d) che Essa era stata solo chiamata in causa dal Consorzio SISRI per rigettare la sua responsabilità, ma la chiamata, come sarebbe spiegato nel successivo motivo di. ricorso, non varrebbe ad eliminare la responsabilità del SISRI e "per quel che interessa il presente motivo" non era "idonea a modificare la causa petendi della domanda degli Eredi Sa. contro l’ente responsabile in solido";

e) che per tale ragione si sarebbe verificata l’ultrapetizione, la quale comunque sussisterebbe "quand’anche gli Eredi Sa.

avessero tentato di sostituire l’originaria causa petendi" perchè ciò avrebbe costituito inammissibile mutatio libelli (artt. 183 e 345 cod. proc. civ.), onde l’ultrapetizione permarrebbe.

p.2. Il motivo è inammissibile, perchè non si correla alla motivazione della sentenza impugnata, la quale – dopo avere accolto il secondo motivo di appello del Consorzio SISRI con il quale esso postulava che la gestione dell’area demaniale e marittima del porto, alla cui entrata si situava il cancello la cui caduta aveva ucciso il Sa., era rimasta all’Autorità Portuale, la quale, dunque, doveva rispondere del sinistro invece del Consorzio SISRI – ha affermato il difetto di legittimazione sostanziale passiva del Consorzio, escludendone la responsabilità, ed ha quindi affermato (p. 19 in fine e pag. 20 all’inizio) che "per l’effetto, (anche in accoglimento dell’appello incidentale condizionato proposto dagli Eredi Sa.) la sentenza di condanna va emessa a carico (oltre che del T. e del C.) dell’Autorità Portuale".

Ora, è palese che la sentenza impugnata ha riconosciuto la responsabilità dell’Autorità Portuale invece che del Consorzio SISRI (sulla base di un ragionamento che ha individuato il verificarsi di una successione al vecchio Consorzio del Porto e dell’ASI, per una parte dell’attività del Consorzio SISRI e per altra dell’Autorità Portuale, e, quindi, nel presupposto che occorresse domandarsi a quale parte dell’attività risalisse l’obbligazione risarcitoria sorta per effetto del decesso del de cuius) in accoglimento di un appello incidentale, condizionato, evidentemente, all’accoglimento del motivo di appello del medesimo Consorzio tendente a rigettare la propria legittimazione. Si tratta dell’appello cui fa rifermento la stessa sentenza nella parte dedicata alla riproduzione delle conclusioni delle parti, quando riporta quelle degli Eredi Sa. e precisamente la conclusione di cui al punto 3), che si legge alla pagina 8 della sentenza impugnata.

La ricorrente principale avrebbe dovuto farsi carico di spiegare come e perchè la decisione della Corte territoriale di condannarla in accoglimento del detto appello fosse errata, mentre il motivo non si occupa in alcun modo di questa decisione. L’esercizio del diritto di impugnazione in cassazione sarebbe dovuto avvenire spiegando in primo luogo in che cosa consisteva l’appello incidentale, ove effettivamente esistente, e, quindi, spiegare perchè non avrebbe potuto essere accolto.

Viceversa, si è dedotto: aa) un vizio di ultrapetizione in manifesta contraddizione con le risultanze della motivazione, che da ragione del perchè della pronuncia della condanna a carico dell’Autorità Portuale, bb) si è dedotto subordinatamente in vizio – peraltro in modo singolarmente dubitativo – di mutatio libelli in modo del tutto generico.

In relazione al punto aa) viene in rilievo il seguente principio di diritto "Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un "non motivo", è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4" (Cass. n. 359 del 2005, seguita da numerose conformi).

In relazione al punto bb) è pertinente, ma lo si osserva a questo punto superfluamente (dato che il primo rilievo di inammissibilità è già decisivo), il seguente principio di diritto: "Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 c.p.c., comma 2). Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 cod. proc. civ., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo. In riferimento alla deduzione di un "error in procedendo" e, particolarmente, con riguardo alla deduzione della violazione di una norma afferente allo svolgimento del processo nelle fasi di merito, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, il rispetto dell’esigenza di specificità non cessa di essere necessario per il fatto che, com’è noto, la Corte di Cassazione, essendo sollecitata a verificare se vi è stato errore nell’attività di conduzione del processo da parte del giudice del merito, abbia la possibilità di esaminare direttamente l’oggetto in cui detta attività trovasi estrinsecata, cioè gli atti processuali, giacchè per poter essere utilmente esercitata tale attività della Corte presuppone che la denuncia del vizio processuale sia stata enunciata con l’indicazione del (o dei) singoli passaggi dello sviluppo processuale nel corso del quale sarebbe stato commesso l’errore di applicazione della norma sul processo, di cui si denunci la violazione, in modo che la Corte venga posta nella condizione di procedere ad un controllo mirato sugli atti processuali in funzione di quella verifica. L’onere di specificazione in tal caso deve essere assolto tenendo conto delle regole processuali che presiedono alla rilevazione dell’errore ed alla sua deducibilità come motivo di impugnazione" (Cass. n. 4741 del 2005, seguita da numerose conformi).

Il motivo è, dunque, dichiarato inammissibile.

p.2.1. Con un secondo motivo l’Autorità Portuale lamenta "violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 324 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la sentenza impugnata erroneamente riformato la sentenza di primo grado rigettando la domanda degli eredi Sa. nei confronti del Consorzio SISRI quale datore di lavoro ex art. 2049 cod. civ. in assenza di un motivo d’appello sul punto e, quindi, in violazione del giudicato interno formatosi su tale capo della sentenza di primo grado".

Vi si deduce: a1) che la sentenza di primo grado aveva accolto la domanda degli eredi Sa. contro il Consorzio SISRI, non essendo mai stata contestata la sua qualità di datore di lavoro del T. e, conseguentemente, essendo innegabile la responsabilità ai sensi dell’art. 2049 c.c.; b1) che il Consorzio nel suo appello non aveva impugnato quel capo di sentenza "essendosi limitato ad insistere sulla responsabilità dell’Autorità Portuale per altre ragioni (successione nella gestione delle aree demaniali) che, a prescindere dalla loro fondatezza, non escludevano comunque la responsabilità del SISRI ex art. 2049 cod. civ. quale datore di lavoro, non avendo il SISRI mai osato negare tale sua qualità"; cc) che pertanto sulla condanna delle SISRI quale responsabile ai sensi dell’art. 2049 c.c. si era formato giudicato, che sarebbe stato violato dalla sentenza impugnata, là dove ha riformato la sentenza di primo grado rigettando la domanda degli eredi Sa. nei confronti del SISRI. La ragione giustificative di tale motivo è enunciata precisandosi che "ovviamente l’Autorità Portuale, nella denegata ipotesi in cui fosse confermata la propria condanna, ha interesse all’accoglimento del presente motivo, poichè un debitore aggiuntivo riduce l’onere della condanna per gli altri debitori anche in virtù della disciplina dei rapporti interni".

p.2.1.1. Il motivo è gradatamente inammissibile e comunque, per come prospettato, privo di fondamento.

L’inammissibilità discende dall’inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6, norma che costituisce il precipitato normativo del cd.

principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione.

Infatti, non si fornisce l’indicazione specifica degli atti processuali sui quali si fonda, perchè: 1a) fa riferimento alla sentenza di primo grado, ma non riproduce nemmeno indirettamente la parte di essa che avrebbe affermato la responsabilità ai sensi dell’art. 2049 c.c. del Consorzio per la ragione indicata; 2a) non indica se e dove detta sentenza sia stata prodotta in questa sede;

3a) non riproduce la parte dell’atto di appello della SISRI e nemmeno indica se e dove sia esaminabile in questa sede quanto alla parte che evidenzierebbe la mancata impugnazione del relativo capo di sentenza di primo grado.

Le sopra ricordate indicazioni erano necessarie per rispettare la norma su indicata (si veda Cass. sez. un. n. 22726 del 2011, che ha solo ammesso che, per gli atti processuali presenti nel fascicolo d’ufficio delle fasi di merito l’onere di indicazione possa assolversi facendo riferimento alla loro presenza ivi, ma ha confermato che vi deve essere l’indicazione specifica).

p.2.1.2. Il motivo sarebbe comunque infondato.

Invero, dalle conclusioni riportate nella sentenza impugnata emerge che l’appello del Consorzio aveva avuto ad oggetto non soltanto il mancato riconoscimento del proprio difetto di legittimazione sostanziale, adducendo che responsabile nei confronti degli Eredi del Sa. era l’Autorità Portuale, nonchè il Ministero delle Finanze (tramite la Guardia di Finanza), ma anche (punto 4, a pagina 5 della sentenza impugnata) la richiesta di "rigettare la domanda attorea poichè infondata in punto di fatto e diritto e poichè rimasta sguarnita di prova sia in ordine all’an debeatur che in ordine a quantum debeatur". Ne deriva che l’appello, se anche – ma lo si osserva per assurdo – non avesse investito la responsabilità ai sensi dell’art. 2049 c.c. verso gli attori per la qualità datoriale del Consorzio già con la prospettazione dell’esclusiva responsabilità degli altri due enti, lo avrebbe certamente fatto con le conclusioni di cui al punto 4.

Si osserva ulteriormente che, se non fosse vero – sempre per assurdo – quanto appena rilevato ed effettivamente vi fosse stata la mancata devoluzione al giudice d’appello della decisione del giudice di primo grado che aveva riconosciuto responsabile il Consorzio ai sensi dell’art. 2049 c.c., in solido con il T. (e con il C.) per effetto di mancata impugnazione del Consorzio, il relativo giudicato avrebbe riguardato solo la domanda degli Eredi Sa. verso il Consorzio e non anche, sotto il profilo dell’affermazione di una sua responsabilità, gli altri soggetti asseritamele coobbligati. Per dispiegare questo secondo effetto sarebbe stato necessario che gli altri coobbligati avessero svolto domanda, anche subordinata rispetto alla contestazione della loro responsabilità, di accertamento della concorrente responsabilità del Consorzio ai sensi dell’art. 2049 c.c.. Ora, la ricorrente non ha allegato di avere svolto, sia pure subordinatamente alla negazione della propria responsabilità esclusiva addotta dal Consorzio, una domanda intesa ad ottenere l’accertamento che comunque, sia pure in concorso con essa, doveva restare ferma la corresponsabilità ai sensi dell’art. 2049 del Consorzio ed a maggior ragione, quindi, di averla coltivata con proposizione di motivo di appello condizionato per il caso di accoglimento dell’appello principale del Consorzio inteso a rigettare la legittimazione sotto il profilo del rapporto successorio con la stessa Autorità incidentale.

Nelle conclusioni riportate dalla sentenza impugnata alla pagina 6 non v’è traccia di quanto appena ipotizzato.

Se l’eventuale giudicato verso gli Eredi Sa. sulla responsabilità ai sensi dell’art. 2049 c.c. si fosse effettivamente formato, lo sarebbe stato allora solo nel rapporto fra gli Eredi ed il Consorzio ed avrebbero dovuto essere gli Eredi a lamentarsene, cosa che hanno fatto, come si vedrà esaminando il loro ricorso incidentale.

Peraltro, l’eventuale accoglimento di tale ricorso ed il riconoscimento di una responsabilità solidale del Consorzio SISRI ai sensi dell’art. 2049 c.c. continuerebbe, in mancanza di proposizione di una domanda di accertamento della corresponsabilità del Consorzio da parte dell’Autorità, a non poter essere opposta nel rapporto fra l’uno e l’altra. Sarebbe, cioè, suscettibile di ridiscussione fra dette parti. Sempre che, si badi, non vi fosse d’ostacolo l’accertamento sulla legittimazione esclusiva dell’Autorità Portuale.

Si rileva ancora che, a seguito della chiamata in causa dell’Autorità Portuale come effettiva responsabile, la prospettazione del Consorzio, implicando che Essa dovesse rispondere in vece sua, comportava anche che l’accertamento oggetto della chiamata, riguardo al quale si configurava litisconsorzio necessario processuale, si poneva in nesso di incompatibilità con la prospettazione, da parte degli Eredi Sa., della responsabilità del Consorzio, in quanto implicava il rigetto della legittimazione sostanziale prospettata con la domanda degli Eredi. Ne segue che l’appello del Consorzio necessariamente si estendeva alla statuizione della sentenza di primo grado che aveva riconosciuto la responsabilità del Consorzio in relazione alla domanda principale degli eredi, posto che era diretto a conseguire un accertamento incompatibile con l’accertamento effettuato sulla domanda principale.

Anche sotto tale profilo è privo di fondamento l’asserto che non sarebbe stato impugnato l’accertamento della responsabilità del Consorzio ai sensi dell’art. 2049 c.c.. Mentre, lo si è già detto, non è stato dimostrato che, a fronte della chiamata in causa dell’Autorità Portuale quale terzo esclusivo responsabile, gli eredi avessero domandato in subordine alla loro prospettazione di cui alla domanda originaria e per il caso di accoglimento della domanda del Consorzio di riconoscimento della responsabilità dell’Autorità Portale, sull’assunto che comunque dovesse concorrere per il titolo di cui all’art. 2049 quella del Consorzio.

Al riguardo, è in fine appena il caso di rilevare che la sentenza impugnata alla pagina diciannove ha affermato che del fatto illecito del T. e del C. in qualità di dipendenti del Consorzio del Porto e dell’Asi dovevano rispondere l’Autorità Portuale o il Consorzio SISRI secondo che esso fosse stato commesso "nell’esercizio di incombenze relative ad attività (successivamente) trasferite al Consorzio SISRI ovvero assunte dall’Autorità Portuale": in sostanza, posto che il rapporto di dipendenza era riferibile al Consorzio del Porto e dell’Asi, ciò a cui ha dato rilievo la sentenza è la riferibilità dell’attività nell’ambito della quale era stato compiuto il fatto illecito e, quindi, della relativa obbligazione, a quella parte dell’originaria attività complessiva del Consorzio del Porto e dell’Asi era passato al Consorzio SISRI o a quanto di quella parte era passato all’Autorità Portale.

E del resto, la responsabilità ai sensi dell’art. 2049 del Consorzio SISRI era stata riconosciuta non perchè il C. ed il T. fossero rispettivamente in rapporto di immedesimazione organica e di dipendenza con quel consorzio, ma perchè lo erano con il Consorzio del Porto e dell’Asi, la cui intera attività il primo giudice aveva ritenuto trasferita al Consorzio SISRI, a differenza di quanto ha ritenuto la Corte territoriale.

p.2.2. Con il terzo motivo del ricorso principale ci si duole di "violazione e falsa applicazione dell’art. 2049 cod. civ. e dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 per avere la sentenza impugnata erroneamente riformato la sentenza di primo grado rigettando la domanda degli eredi Sa. nei confronti del Consorzio SISRI quale datore di lavoro".

Con questo motivo ci si duole, subordinatamente alla eventuale infondatezza del secondo motivo, che la sentenza impugnata quanto alla riforma della sentenza di primo grado là dove aveva accolto la domanda degli eredi Sa. contro il Consorzio quale datore di lavoro ai sensi dell’art. 2049 c.c. avrebbe ignorato la causa petendi da essi al riguardo prospettata e, pertanto avrebbe omesso di pronunciare.

Il motivo è inammissibile, perchè l’ipotetica omessa pronuncia riguarderebbe la domanda degli eredi e, pertanto, soltanto da loro potrebbe essere lamentata.

E’ stato già rilevato, del resto, che non risulta proposta una domanda del Consorzio SISRI intesa ad ottenere l’accertamento di una responsabilità concorrente con la propria dell’Autorità Portuale.

p.2.3. Il quarto motivo del ricorso principale denuncia "violazione e falsa applicazione della L. 28 gennaio 1984, rectius: L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 20, commi 2 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata erroneamente affermato la responsabilità della Autorità Portuale di Brindisi e negato la responsabilità del Consorzio SISRI per un fatto del 1983 anteriore alla costituzione dell’Autorità Portuale avvenuta nel 1995 erroneamente ritenendo sufficiente a tal fine il trasferimento della amministrazione dei beni demaniali".

Il motivo è inammissibile perchè non si fa carico della motivazione della sentenza impugnata sul punto (che svolge considerazioni che si articolano dalla pagina sedici alla pagina diciannove) e perchè è enunciato in modo assolutamente generico con un rinvio non meglio spiegato all’esatta – a dire della ricorrente – motivazione della sentenza di primo grado, che è stata motivatamente disattesa proprio dalla sentenza impugnata, che ha spiegato perchè nella specie la gestione delle aree demaniali e marittime era rimasta, con scostamento dalla previsione di legge, all’Autorità Portuale.

p.2.4. Con il quinto motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per avere la sentenza impugnata erroneamente affermato la responsabilità dell’Autorità Portuale di Brindisi e negato la responsabilità del Consorzio SISRI per un fatto del 1983 anteriore alla costituzione dell’Autorità Portuale avvenuta nel 1995, erroneamente ritenendo che il cancello da cui fu travolto il Sa. facesse parte di beni demaniali, senza che l’onerato Consorzio SISRI avesse fornito alcuna prova in proposito".

Il motivo è argomentato deducendo che la sentenza impugnata avrebbe affermato la responsabilità dell’Autorità Portuale nel presupposto della demanialità del cancello, ma senza che il Consorzio avesse dato la prova in proposito.

Ora, il ricorrente in cassazione che deduca la violazione dell’art. 2697 c.c. sotto il profilo che la parte onerata di provare un determinato fatto sia stata esentata dall’onere di dimostrarlo, per avere ritenuto il giudice di merito sussistente il fatto senza che tale onere fosse stato assolto, poichè l’onere della prova concerne soltanto i fatti contestati, deve necessariamente evidenziare che il fatto era stato oggetto di contestazione e, dunque, era bisognoso di prova. Ne consegue che starebbe stato onere della ricorrente, perchè la censura potesse trovare fondamento, indicare che nel corso dello svolgimento processuale la demanialità era stata contestata e dove, sì che risultasse evidenziato che il fatto doveva provarsi. In mancanza la censura di violazione della regola sull’onere della prova non risulta assistita dal necessario riscontro nello svolgimento processuale di merito.

Alla regola su indicata potrebbe fare eccezione l’ipotesi in cui il rilievo dell’efficacia di un fatto sia stato compiuto per la prima volta direttamente dal giudice di merito nella sentenza impugnata in cassazione senza che ne fosse stata fatta un’allegazione dalle parti, cioè sulla base delle risultanza fattuali apprezzate dal giudice al di là delle allegazioni su di essere basate dalle parti: in tal caso, non essendo stato il fatto de quo oggetto del thema decidendum e probandum anteriormente in base alle allegazioni delle parti, si dovrebbe rilevare che la parte ricorrente in cassazione non è venuta a trovarsi nella condizione di evidenziarne la mancanza di prova se non con la proposizione della sua prima difesa successiva, cioè con il ricorso per cassazione.

Ma naturalmente il ricorrente in cassazione dovrebbe allegare la ricorrenza di una simile situazione. Cosa che nella specie la ricorrente principale non ha fatto.

Il motivo è, pertanto, infondato, perchè non è illustrato con argomenti che ne evidenzino la fondatezza.

p.2.5. Con il sesto motivo si denuncia "omessa e insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la sentenza impugnata erroneamente affermato la responsabilità dell’Autorità Portuale di Brindisi e negato la responsabilità del Consorzio SISRI per un fatto del 1983 anteriore ala costituzione dell’Autorità Portuale del 1985, erroneamente affermando, senza indicare alcuna fonte di prova, che il cancello da cui fu travolto il Sa. faceva parte dei beni demaniali".

Vi si ripropone sotto la forma del vizio di motivazione la stessa questione prospettata con il motivo precedente e, pertanto, il motivo merita le stesse considerazioni di infondatezza di esso.

p.2.6. Il settimo motivo denuncia "violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2043 e 2697 c.c. e dell’art. 244 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 per avere la sentenza impugnata erroneamente liquidato il danno patrimoniale in Euro 181.276,58 sul presupposto di un asserito reddito annuale del Sa. di lire 39 milioni annui calcolato su un asserito guadagno giornaliero di lire 125.000, confondendo il ricavo con il guadagno ed il guadagno al lordo del prelievo fiscale con il guadagno netto del prelievo fiscale. Insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5".

Vi si critica la sentenza impugnata: aa) sia perchè avrebbe considerato il reddito in quella misura sulla base di una dichiarazione testimoniale che aveva riferito che il Sa.

guadagnava 100-150.000 lire al giorno, senza tenere conto che il testa aveva parlato di guadagno, ma per tale si doveva intendere il ricavo giornaliero, dal quale dovevano espungersi i costi di produzione (rappresentati dalle spese di manutenzione del motocarro, di assicurazione bollo, di acquisto del carburante, di compenso degli operali che altro teste aveva dichiarato talvolta lavorare per il de cuius); bb) sia perchè dal reddito assunto non avrebbe decurtato il prelievo fiscale, tanto più che gli Eredi si erano ben guardati dal produrre le dichiarazioni dei redditi del de cuius.

p.2.6.1. Il motivo è fondato alla stregua di consolidata giurisprudenza di questa Corte.

Va premesso che effettivamente a sentenza impugnata è incorsa in un palese errore di sussunzione là dove ha individuato come reddito giornaliero del defunto la media fra l’importo minimo e quello massimo indicati dal teste D.T. come "guadagno". E’ palese che, come sostiene la ricorrente, che il teste intendesse riferirsi non al guadagno al netto della spesa di produzione del reddito, ma all’incasso giornaliero, atteso che nel comune sentire il concetto di guadagno non è certo quello economico, ma quello correlato alla quantità di moneta che il soggetto riceve quale corrispettivo del suo lavoro.

Ne discende che la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare l’importo medio giornaliero fra il minimo ed il massimo indicati dal teste come relativi all’incasso, al corrispettivo percepito e, quindi, considerare che il danno effettivo si doveva commisurare a quanto risultante dalla sottrazione della spesa di produzione del reddito e, quindi, di tutti i costi prudentemente stimabili.

Non solo: la Corte territoriale avrebbe dovuto decurtare anche il prelievo fiscale.

E’, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che: "In tema di risarcimento dei danni patrimoniali derivanti ai congiunti in caso di morte del danneggiato, può essere adottato un metodo di calcolo funzionale all’accertamento del reddito netto su cui determinare il danno futuro subito dagli eredi, sulla base della detrazione, dal reddito stesso, sia del relativo carico fiscale, sia della cosiddetta quota sibi (parte del reddito che il defunto avrebbe speso per sè), quota che può legittimamente quantificarsi come percentuale del reddito complessivo al lordo delle imposte e delle contribuzioni. L’accertamento dell’ammontare di detta quota sibi rientra nei poteri del giudice di merito ed è incensurabile in cassazione, se immune da vizi di motivazione." (Cass. n. 4186 del 2004; n. 10304 del 2009); n. 6321 del 2000).

E ancora: "Nella liquidazione del risarcimento dei danni patrimoniali derivanti ai congiunti dalla morte di una persona è corretto un metodo di calcolo che stabilisca il reddito netto su cui determinare il danno futuro subito dagli eredi sulla base della detrazione dal reddito sia del relativo carico fiscale, sia della "quota sibi" (parte del reddito che il defunto avrebbe speso per sè), la quale ben può essere quantificata come percentuale del reddito complessivo al lordo delle imposte. Nè la detrazione della quota, relativa all’imposta sul reddito è contestabile sotto il profilo della consequenziale sottoposizione degli interessati (sia pure solo da un punto di vista contabile) ad una doppia falcidia fiscale, dato che il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2, nel dettare il principio che i proventi conseguiti in sostituzione di redditi e le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti, fa espressa eccezione per l’ipotesi in cui detti cespiti siano acquisiti in dipendenza di invalidità permanente o di morte" (Cass. 12020 del 1995).

La sentenza impugnata dev’essere, dunque cassata sul punto e la Corte di rinvio si atterrà ai sopra ricordati principi di diritto e, quindi, provvederà a rideterminare il danno patrimoniale subito dagli eredi per la perdita dell’apporto reddituale del de cuius tenendone conto.

p.3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale proposto dal T. si deduce "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio".

p.3.1. Il ricorso è inammissibile per l’assoluta carenza del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, che è necessaria nel controricorso quando esso propone un ricorso incidentale (Cass. n. 76 del 2010, fra tantissime).

p.3.2. Inoltre, il motivo è enunciato in modo del tutto perplesso.

In una prima enunciazione si dice che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto che il ricorrente avesse riproposto la questione della responsabilità del G. e dell’ A., mentre l’appello incidentale era stato diretto a postulare il coinvolgimento del Ministero delle Finanze "ed in estremo subordine" dell’ A. e del G., che erano stati chiamati in giudizio in primo grado dal Consorzio SISRI. Se la deduzione intendesse prospettare una pronuncia su un appello inesistente è tutt’altro che chiaro. Se lo fosse difetterebbe il relativo quesito di diritto, posto che quello che chiude l’illustrazione non concerne affatto tale profilo. Inoltre, mancherebbe l’indicazione della norma violata. Non solo: non v’è l’indicazione specifica del tenore dell’appello, necessaria ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Nella seconda parte il motivo risulta inammissibile sempre per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto, per sostenere che sussisteva la responsabilità del G. e dell’ A. erano responsabili, si fonda su quanto sarebbe stato "ampiamente e documentalmente provato nelle due fasi del giudizio" circa l’autorìa da parte dei medesimi delle modifiche al meccanismo di apertura e chiusura del cancello: tanto risulterebbe da due note, delle quali, però, in violazione di detta norma, non si riproduce in alcun modo il contenuto nè direttamente nè indirettamente.

Si aggiunga che ulteriore ragione di inammissibilità (alla stregua del già ricordato principio di diritto di cui a Cass. n. 359 del 2005) si rinviene nella mancanza di critica della motivazione che la sentenza impugnata dedica nella terza proposizione della pagina ventitre al rigetto dell’appello del T. quanto alla esclusione della responsabilità del G. e dell’ A..

p.4. Passando all’esame del ricorso incidentale degli eredi Sa., si rileva anzitutto che essi deducono con un primo motivo "violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., nonchè dell’art. 2049 c.c. e del D.P. Giunta Regionale Puglia in data 15 settembre 1995, n. 542, art. 1 e dei principi generali in materia di successione tra enti pubblici, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per avere la Corte Leccese erroneamente riformato la sentenza di 1 grado, rigettando la domanda del Sa. nei confronti del Consorzio SISRI in assenza di un motivo di appello sulla affermata responsabilità del consorzio e, quindi, in violazione del giudicato interno formatosi su tale capo della sentenza di primo grado".

p.4.1. Il motivo è privo di fondamento per le stesse ragioni per le quali è stato detto infondato, in aggiunta alle valutazioni di inammissibilità, il secondo motivo del ricorso principale.

p.4.2. Con un secondo motivo si deduce "violazione e falsa applicazione dell’art. 2049 cod. civ. e dell’art. 28 Cost. e dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 per avere la Corte Salentina erroneamente riformato la sentenza di primo grado, rigettando e comunque, non pronunciando sulla domanda degli eredi Sa. nei confronti del Consorzio SISRI quale successore del Consorzio del Porto e dell’ASI di Brindisi".

Il motivo è privo di fondamento sempre per le ragioni esposte a proposito delle analoghe prospettazioni del ricorso principale.

Non è dato, infatti, comprendere come la prospettazione accertata dal giudice di primo grado circa la responsabilità del Consozio SISRI perchè il T. ed il C. avevano un rapporto riconducibile all’art. 2049 con il Consorzio del Porto e dell’ASI di Brindisi e già oggetto della domanda degli eredi potesse resistere all’accertamento compiuto dalla Corte salentina circa la riferibilità del loro illecito all’attività in relazione alla quale il subentro è stato dell’Autorità Portuale.

In altri termini, avendo il Consorzio SISRI rigettato la propria legittimazione passiva in senso sostanziale in quanto essa sarebbe stata dell’Autorità Portuale ed avendo il giudice d’appello riconosciuto fondata tale prospettazione, a differenza di quello di primo grado, la domanda non poteva più essere accolta nei confronti del Consorzio. A meno che gli Eredi non avessero prospettato una corresponsabilità del Consorzio con l’Autorità, una volta avvenuto l’ingresso dell’Autorità nel processo per effetto della chiamata in causa da parte del Consorzio SISRI. Tanto non è stato dedotto ed avrebbe dovuto esserlo con la specificazione che la prospettazione era rimasta ferma in appello.

Il ricorso degli eredi Sa. è, pertanto rigettato.

p.5. Con il primo motivo del ricorso incidentale del Ministero dell’Economia e delle Finanze si deduce "omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c.; nullità in parte qua in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4".

Vi si lamenta che la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciare sull’eccezione di prescrizione dell’azione, proposta dal Ministero fin dalla comparsa di risposta davanti al Tribunale di Brindisi e, quindi, mantenuta anche nella comparsa di costituzione in appello.

Con il secondo motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione degli artt. 2934 e 2943 e ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3", sotto il profilo che, se l’eccezione fosse stata ritenuta implicitamente infondata dalla Corte territoriale, lo sarebbe stato a torto, perchè il termine quinquennale di cui all’art. 2947 c.c., comma 1 si doveva ritenere decorso dal 16 settembre 1986, data nella quale l’appuntato della Guardia di Finanza Lettre, che manovrava il cancello il giorno del sinistro, era stato prosciolto dal Giudice Istruttore del Tribunale di Brindisi. Essendo stata introdotta la domanda di garanzia del Consorzio il 29 ottobre 1996, il termine era decorso. La stessa cosa sarebbe accaduta per gli appellanti incidentali T., C. ed eredi Sa., posto che nessuno di essi aveva compiuto atti interruttivi.

Il terzo motivo deduce la stessa doglianza di cui al secondo motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

p.5.1. Il primo motivo sarebbe fondato quanto alla deduzione che sull’eccezione di prescrizione v’è stata omessa pronuncia.

Senonchè esso dev’essere rigettato perchè l’omissione di pronuncia non ha avuto alcun carattere decisivo sull’esito del giudizio.

Infatti, e tanto basta anche ad evidenziare l’infondatezza del secondo e del terzo motivo, è applicabile alla fattispecie l’art. 1310 c.c., che è pertinente anche nel caso in cui i coobbligati solidali lo siano, come nella specie, ai sensi dell’art. 2055 c.c. Onde, per dimostrare la fondatezza dell’eccezione di prescrizione il Ministero avrebbe dovuto dedurre che nessun atto interruttivo era stato compiuto nei riguardi di alcuno degli altri coobbligati.

Al riguardo, si ricorda che è principio consolidato che "A differenza della sospensione della prescrizione, la quale non ha effetto nei confronti degli altri debitori in solido (art. 1310 c.c., comma 2), l’interruzione della prescrizione, avvenuta con la notificazione dell’atto con cui si inizia il giudizio (art. 2943, comma 1) permane fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio stesso (art. 2945, comma 2) ed ha effetto contro i condebitori solidali del convenuto (art. 1310, comma 1), e, quindi, contro tutte le persone alle quali sia imputabile il fatto dannoso (art. 2055, comma 1)". (Cass. n. 4244 del 1988; da ultimo Cass. n. 1406 del 2011, secondo cui "La disciplina dell’art. 1310 c.c., comma 2, sull’estensibilità dell’interruzione della prescrizione agli altri condebitori solidali, va completata con la disciplina degli effetti della durata dell’interruzione contenuta nell’art. 2945 cod. civ., con la conseguenza che l’azione giudiziaria e la pendenza del relativo processo determinano l’interruzione permanente della prescrizione anche nei confronti del condebitore rimasto estraneo al giudizio".

Non è, invece, rilevante che nella sua memoria la difesa erariale – oltre a non insistere nella prospettazione di cui ai primi tre motivi in replica alle dedizioni del Consorzio SISRI e degli eredi Sa. circa la rilevanza dell’art. 1310 c.c. – non abbia replicato al rilievo del controricorso del Consorzo SISRI che il decorso del termine di prescrizione nei riguardi del Ministero si sarebbe, in realtà, originato dal 1994, data nella quale le indagini penali vennero chiuse dopo essere state riaperte per accertare la responsabilità di altri componenti della Guardia di Finanza, siccome nell’udienza di precisazione delle conclusioni davanti al Tribunale di Lecce aveva dato atto la stessa difesa erariale: tale assunto sarebbe, infatti, infondato al lume del seguente principio di diritto, applicabile anche all’ipotesi di proscioglimento istruttorio relativo a fatto di reato in genere e di riapertura dell’istruzione contro altri soggetti, ferma la identità del responsabile civile:

"In tema di risarcimento del danno per incidente stradale, che costituisca reato, qualora, dopo la sentenza istruttoria di proscioglimento, il danneggiato abbia lasciato decorrere inutilmente il termine biennale di prescrizione ex art. 2947 cod. civ. dal momento in cui la suddetta sentenza sia divenuta irrevocabile, il suo diritto al risarcimento del danno si è definitivamente prescritto e non può rivivere ex novo nell’ipotesi di un successivo provvedimento di riapertura dell’istruttoria ai sensi dell’art. 404 cod. proc. pen., in quanto il reiterato Esercizio della pretesa punitiva dello stato è ormai scisso dall’Azione risarcitoria del privato, non più proponibile per prescrizione" (Cass. n. 5286 del 1987).

p.5.2. Con il quarto motivo si denuncia "contraddittoria, insufficiente e omessa motivazione circa fatti decisivi della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5".

Il motivo critica la sentenza impugnata là dove essa, accogliendo la censura degli appellanti incidentali T. e C. in ordine all’esistenza di una responsabilità anche della Guardia di Finanza e, quindi, del Ministero, ha riconosciuto tale responsabilità sia ai sensi dell’art. 2051, sia ai sensi dell’art. 2043 c.c. per non avere comunque, anche se fosse difettata la sua responsabilità custodiate, vigilato il Ministero sulla funzionalità del cancello e sollecitato il Consorzio del Porto e dell’ASI ai necessari interventi riparatori.

Il motivo non può essere accolto, perchè nella sua articolazione omette completamente di considerare la motivazione della sentenza impugnata sul punto in tutta la sua estensione e, particolarmente, nelle ampie considerazioni ch’essa svolge alla pagina ventidue, riguardo alla quale si commenta solo l’affermazione che "qualsiasi persona di media diligenza poteva e doveva rendersi conto che alla lunga si sarebbe verificato qualche incidente" e che "la Guardia di Finanza aveva l’obbligo di richiedere al Consorzio la riparazione del cancello", senza, però, considerare le precisazioni e le circostanza fattuali indicate in quella pagina, che sorreggono adeguatamente il ragionamento della Corte territoriale sulla responsabilità ai sensi dell’art. 2043. Sicchè, non si comprende come un vizio di motivazione si possa enunciare senza considerare tutta la motivazione nel suo complesso.

Non solo: nessuna puntuale critica viene rivolta alla affermazione della Corte territoriale circa la ricorrenza del nesso custodiale, se non invocando, del tutto genericamente le risultanze dei giudizi penali nei quali la posizione del militare che il giorno del sinistro era presente era stata definita con un non luogo a procedere. Ma non si comprende, dati i diversissimi presupposti di una responsabilità penale e di una responsabilità civile ai sensi dell’art. 2051 c.c. come la circostanza dovrebbe giuocare in modo da contrastare tale responsabilità. I proposito, poi, la censura avrebbe dovuto svolgersi ai sensi dell’art. 360, n. 3 ed avrebbe richiesto un pertinente quesito di diritto.

Il motivo è, pertanto, rigettato.

p.5.3. Con il quinto motivo si deduce "violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".

Con riferimento alla violazione dell’art. 2051 c.c., si sostiene che il rapporto custodiale sarebbe stato ritenuto a torto, perchè la manutenzione del cancello spettava al Consorzio, ma la critica non considera la motivazione della sentenza impugnata con cui si è spiegata l’irrilevanza di tale circostanza (ultime tre righe della pagina 20 e prime dodici righe della pagina seguente).

Con riguardo alla violazione dell’art. 2043 c.c., precisato che una volta rimasta ferma la attribuzione di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., l’eventuale fondatezza della censura non potrebbe condurre alla cassazione della decisione, si osserva che il motivo è del tutto generico e nuovamente trascura le ampie argomentazioni della pagina ventidue della sentenza, non diversamente dal motivo precedente.

p.5.4. Con il sesto motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione dell’art. 1294, 1310 e 2049 cod. civ.; art. 28 Cost., nonchè degli artt. 112, 183 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4".

Il motivo non contiene anzitutto alcuna argomentazione evocativa delle norme processuali indicate nella sua intestazione e, là dove sostiene che la causa petendi della domanda degli Eredi Sa.

era fondata sulla deduzione della responsabilità ex art. 2049 c.c. del Consorzio SISRI rectius: Consorzio del Porto e ASI per illeciti commessi dai suoi dipendenti T. e C. e che pertanto il Ministero, non essendo datore di lavoro dei medesimi, non poteva essere considerato solidalmente responsabile ai sensi dell’art. 2049 c.c., appare palesemente privo di fondamento: s’è già visto e ne ha dato atto nei due motivi precedenti il Ministero stesso che i titoli in base ai quali è stata riconosciuta la responsabilità sono quelli ai sensi dell’art. 2051 e 2043 e, dunque, il senso del motivo non si comprende.

Se poi si fosse voluta lamentare una mancata estensione della domanda nei confronti del Ministero da parte degli Eredi Sa. sulla base di quei titoli, lo si sarebbe dovuto dire chiaramente e evidenziare i necessari riscontri nello svolgimento processuale, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6. Ciò, specie tenuto conto che la sentenza impugnata, nel riportare le conclusioni dei Sa., fa riferimento ad un appello incidentale subordinato dei medesimi tendente ad evocare la condanna del Ministero, e considerato il rilievo della norma dell’art. 2055 c.c., che si applica anche quando titoli di responsabilità dei distinti responsabili sono diversi.

p.5.5. Con il settimo motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione dell’art. 1294 c.c.; art. 28 Cost., nonchè degli artt. 112, 183 e 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4".

Vi si sostiene del tutto genericamente che la Corte territoriale, nell’accogliere l’appello incidentale del T. e del C. e quello condizionato dei Sa. per effetto dell’accoglimento dell’appello incidentale del T. e del C. "avrebbe ampliato la causa petendi", perchè nè gli eredi nè il T. ed il C. avrebbero potuto chiedere solo con i rispettivi appelli incidentali il riconoscimento della responsabilità del Ministero, atteso che in primo grado non lo avevano fatto.

Il motivo non può essere accolto: nessuna precisazione si svolge per evidenziare, attraverso gli opportuni riscontri negli atti processuali (necessari ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6: Cass. Sez. Un. n. 22726 del 2011) che con i detti appelli si erano introdotte le denunciate novità. Si sarebbe dovuto fare specifico riferimento al tenore delle conclusioni prese dal T. e dal C. da un lato e dagli Eredi dall’altro via via nel corso dello svolgimento processuale, volta che si determinarono gli allargamenti soggettivi ed eventualmente precisare se erano state osservate le preclusioni.

p.5.6. L’ottavo motivo pone una doglianza simile a quella accolta riguardo al ricorso principale e dev’essere accolto per le stesse ragioni.

p.5.7. Il nono motivo deduce omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo sotto il profilo che sarebbe stata apoditticamente determino il concorso di responsabilità del Ministero nel 30%.

Il motivo non può essere accolto, perchè la Corte territoriale non ha omesso di motivare, ma ha spiegato, sia pur succintamente (osservando che la colpa dei finanzieri era minore rispetto a quelle di chi aveva mal progettato la modifica del cancello), le ragioni della quantificazione, che, essendo avvenuta in modo vantaggioso per il Ministero andava semmai criticata evidenziando le circostanze che avrebbero dovuto giustificare un ulteriore abbassamento del contributo causale al di sotto della percentuale apprezzata.

p.6. Conclusivamente vanno accolti il settimo motivo del ricorso n.r.g. 6606 del 2007 e l’ottavo motivo di quello incidentale n. 11283 del 2007. Vanno rigettati gli altri motivi di detti ricorsi. Va rigettato il ricorso incidentale n. 9506 del 2007. Va dichiarato inammissibile il ricorso incidentale n. 8547 del 2007.

La sentenza impugnata è cassata in relazione ai soli due motivi accolti.

Il rinvio è disposto anche per le spese davanti ala Corte d’Appello di Lecce, che deciderà con diversa sezione e comunque con diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie il settimo motivo del ricorso principale n.r.g. 6606 del 2007 e l’ottavo motivo del ricorso incidentale n.r.g. 11283 del 2007. Rigetta gli altri motivi di tali ricorsi. Rigetta il ricorso incidentale iscritto al n.r.g.

9506 del 2007. Dichiara inammissibile il ricorso iscritto al n.r.g.

8547 del 2007. Cassa la sentenza in relazione ai due motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, davanti ad altra Sezione della Corte di Appello di Lecce, comunque in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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