Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 15-11-2011) 12-12-2011, n. 45937

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Milano, per quanto ancora rileva nel presente giudizio, in accoglimento di una richiesta formulata in sede di emissione di un provvedimento di cumulo di pene concorrenti dal Pubblico Ministero della sede: a) revocava, ex art. 168 cod. pen., comma 1, n. 1, il beneficio della sospensione condizionale della pena (mesi quattro di reclusione ed Euro 103,29 di euro) concesso a S.M. con la sentenza di condanna del Pretore di Milano in data 5 novembre 1997, divenuta irrevocabile il 9 marzo 1998, e ciò in quanto il condannato, con sentenza del 26 settembre 2007 divenuta definitiva il 5 novembre 2010, aveva subito una nuova condanna, alla pena di anni tre di reclusione, per un delitto (art. 110 cod. pen e R.D. n. 267 del 1942, artt. 216 e 223) commesso il 20 gennaio 2000, prima quindi del compimento del termine quinquennale previsto per l’estinzione del reato; b) dichiarava inammissibili le richieste del condannato, di conversione della pena pecuniaria e di applicazione della misura sostitutiva alla detenzione dell’affidamento in prova, in quanto proposte a giudice funzionalmente incompetente.

2. Avverso la citata ordinanza ha proposto ricorso il difensore del condannato chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizio di motivazione, sostenendo, per un verso, che il giudice dell’esecuzione non avrebbe dovuto revocare il beneficio della sospensione condizionale, accogliendo una richiesta del PM totalmente immotivata ed interpretandola come formulata ai sensi dell’art. 168 cod. pen., comma 1, n. 2), e ciò in quanto, tra il passaggio in giudicato della sentenza che aveva elargito il beneficio ritenuto revocabile (9 marzo 1998), ed il passaggio in giudicato della sentenza di condanna per altro delitto ((OMISSIS)) erano trascorsi ben dodici anni; dall’altro, che il giudice dell’esecuzione, non avrebbe, dovuto dichiarare inammissibili le domande del condannato di conversione e di ammissione a misura alternativa alla detenzione, dovendo, semmai, trasmettere le stesse al giudice ritenuto competente.

Motivi della decisione

1. L’Impugnazione è Inammissibile.

Quanto al primo profilo di illegittimità dell’ordinanza impugnata denunziato, va rilevato che le deduzioni difensive ripropongono, sostanzialmente, argomentazioni già disattese dal giudice dell’esecuzione con motivazioni adeguate ed immuni da vizi logici o giuridici.

In caso di revoca per commissione di un nuovo reato (art. 168, comma 1, n. 1), è infatti del tutto inconferente il riferimento alla data di esecutività della sentenza di condanna per il suddetto nuovo reato, riconoscendo la norma tale effetto di revoca alla commissione di un nuovo delitto nel termine di cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna a pena sospesa, a prescindere dalla data di passaggio in giudicato della nuova condanna.

Nè rileva l’assunto, per altro indimostrato, che il PM che aveva richiesto la revoca della sospensione non avrebbe specificato le ragioni su cui si fondava la richiesta, e ciò sia perchè trattasi di revoca di diritto, sia anche perchè le ragioni della revoca erano comunque implicitamente desumibili dall’indicazione nel provvedimento di cumulo delle sentente emesse nei confronti del S..

Quanto poi all’ulteriore censure mossa in ricorso con riferimento alla declaratoria di inammissibilità delle istanze di conversione e di concessione di misura alternativa, proposte dal condannato con riferimento alla residua pena non condonata e per ciò ancora da espiare, risulta assorbente il rilievo che riconoscendo lo stesso ricorrente che identiche istanze erano state proposte anche al giudice competente a deliberare sulle stesse, il S. non ha alcun interesse, concreto ed attuale, ad impugnare una decisione che, quand’anche in tesi illegittima, non ha determinato, però, alcun effetto pregiudizievole nei suoi confronti, assumendo, di fatto, il significato – come correttamente rilevato dal Procuratore Generale presso questa Corte nella sua requisitoria in atti – di una pronuncia "di non luogo a provvedere". 2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente, al pagamento delle spese processuali ed in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *