Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-06-2012, n. 10850

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Giudice di pace di Frattamaggiore ha rigettato la domanda proposta da M.A. nei confronti del Comune di S. Antimo volta a sentir dichiarare non dovute, in relazione al servizio di fornitura idrica, le somme riportate in una fattura avente ad oggetto il recupero di consumi idrici dal gennaio 2000 al giugno 2003.

Con sentenza del 21-12-2006 il Tribunale di Napoli,in parziale accoglimento dell’appello proposto da M.A., ha ritenuto non dovute le somme richieste dal Comune a titolo di cauzione, di spese fisse e per il servizio di fognatura e depurazione per il periodo successivo al 3-10-2000, confermando ne resto la sentenza impugnata.

Propone ricorso M. con quattro motivi illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il Comune di S. Antimo.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione degli artt. 1362 e 1560 c.c..

Il ricorrente lamenta la errata interpretazione data dal giudice di merito alla concessione di derivazione di acqua n. 23/988, ed in particolare di quanto stabilito al punto n. 6 della stessa, ed al regolamento comunale introdotto con la D.C.C. 3/2000, ritenuto integrativa della concessione in ordine, in relazione all’erronea affermazione che la concessione di derivazione era riferibile ad un consumo minimo garantito,mentre nella specie andava applicato l’art. 1560 c.c., comma 1.

2. Il motivo è inammissibile in quanto non rispetta il requisito dell’autosufficienza del ricorso per cassazione.

Si ricorda che, secondo una consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici riguardo a clausole contrattuali è necessaria, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorchè la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire (Cass. n. 4178 del 2007).

3. Il motivo non riproduce gli atti di cui si lamenta l’erronea interpretazione, riproducendo solo poche righe degli stessi che,slegate dall’insieme degli atti, non consentono a questa Corte di apprezzare la fondatezza o meno delle censure.

4. Con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 342, 112 e 359 c.p.c. in relazione all’affermata operatività nel rapporto contrattuale di somministrazione dell’art. 6 della D.C.C. n. 3 del 2000.

Viene formulato il seguente quesito di diritto: Dica la Corte se è riscontrabile la violazione dell’art. 112 c.p.c. nel caso di controversia relativa ad un contratto di somministrazione di acqua potabile, dove il giudice di secondo grado, a fronte dei motivo con il quale la decisione di prima istanza era stata impugnata sotto il profilo dell’illegittimo ricorso alla disciplina delle presunzioni di cui agli artt. 2729 e ss c.c. in base al quale il giudice di primo grado aveva affermato la legittimità della pretesa di pagamento dell’ente comunale, abbia invece fondato la decisione di rigetto sulla diversa causa pretendi costituita dall’applicabilità del regolamento comunale in forza del rinvio recettizio contenuto nel contratto.

5. Il motivo è inammissibile per inadeguatezza del quesito di diritto. Va osservato che la decisione oggetto dell’odierno ricorso è stata pubblicata dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006 e quindi l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto idoneo all’affermazione di un principio di diritto generalmente applicabile. Nella specie, il motivo non contiene la formulazione di un quesito logico-giuridico, la cui soluzione consenta di accogliere o respingere il ricorso, ma il "quesito" ripropone lo svolgimento delle vicende processuali di primo e secondo grado, senza individuare gli errori di diritto asseritamene commessi dal giudice di merito ed indicare i principi ritenuti invece applicabili.

6. Con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 23 Cost. e dell’art. 1373 c.c. in relazione all’affermata integrazione del contratto con il regolamento comunale.

Assume il ricorrente che il Comune avrebbe dovuto fornire la prova che il fruitore del servizio aveva accettato per iscritto la clausola regolamentare che prevede l’introduzione di un criterio presuntivo di determinazione del corrispettivo e che,anche a voler ritenere operativo il richiamo al regolamento comunale, esso doveva essere integrale e riguardare non solo l’art. 38, ma anche l’art. 61.

7. Il motivo è inammissibile perchè non congruente con la decisione adottata,privo di autosufficienza e concluso con un quesito di diritto inadeguato.

Il giudice di merito ha fondato la decisione sul contenuto della concessione di derivazione sottoscritta dalla parte, in base alla quale il fruitore aveva accettato la fornitura la clausola del minimo garantito ed il sistema di pagamento in vigore all’atto della fatturazione, formulazione che rendeva applicabile il regolamento introdotto con a DCC 3/2000 in considerazione del tenore testuale del contratto a cui doveva attribuirsi valore di rinvio recettizio.

8. Di conseguenza la denunzia di mancata sottoscrizione del contratto non è congruente con la decisione,che si fonda proprio sui contenuto della concessione espressamente sottoscritta dalla parte.

9. Il riferimento al contenuto del regolamento comunale è privo di autosufficienza in quanto non riproduce il regolamento comunale, o quanto meno la parte che interessa la presente controversia, in maniera idonea da consentirei a questa Corte di valutare la fondatezza della censura.

In particolare anche l’art. 61 del regolamento comunale,di cui si invoca l’applicazione, è riprodotto in modo incompleto.

10. Il quesito di diritto è formulato in due proposizioni, di cui la seconda presuppone il positivo accoglimento della prima, formulazione già di per sè inidonea, e si riferisce ad accertamenti in fatto, senza alcuna indicazione dei principi di diritto applicabili alla fattispecie.

11. Con il quarto motivo si denunzia l’omessa pronunzia sul quarto motivo di appello in ordine al difetto di legittimazione attiva del Comune e violazione della L. n. 36 del 1994 e della L.R. n. 14 del 1997 in relazione alla legittimazione dell’A.T.O..

12. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Infatti secondo costante giurisprudenza si questa Corte: "Perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, "in primis", la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di "error in procedendo" per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del "fatto processuale", detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere – dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio "per relationem" agli atti della fase di merito, dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca ma solo ad una verifica degli stessi". (Cass. n. 6361 del 2007; in precedenza, ex multis, Cass. sez. un. n. 15781 del 2005).

13. Nella specie dalla sentenza impugnata non risulta che la questione è stata proposta al giudice di appello ed il ricorrente non deduce neanche in quale atto difensivo ed in quale fase processuale ha proposto le dedotte eccezioni.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 800,00, di cui Euro 200,00 per spese, spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *