Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-06-2012, n. 10849 Intermediazione finanziaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Adito a seguito della domanda di nullità e di risoluzione negoziale di alcuni acquisti obbligazionari proposta da S.M. G., il tribunale di Foggia, previa declaratoria di nullità dell’ordine di acquisto del 9.7.2001 di alcuni titoli Parmalat e di risoluzione di ulteriori ordini di acquisto di identici titoli effettuati il 27.7.2001 e il 3.8.2001, condannò la Banca Popolare di Milano a rimborsare all’attrice la somma, rispettivamente, di circa 79 mila Euro e di circa 78 mila Euro.

La corte di appello di Bari, investita del gravame proposto dall’istituto di credito, lo accolse, rigettando, di converso, l’appello incidentale proposta dall’attrice.

La sentenza è stata impugnata da S.M.G. con ricorso per cassazione sorretto da diciotto motivi di doglianza e illustrato da memoria.

Resiste con controricorso, a sua volta illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c., la Banca Popolare di Milano.

Motivi della decisione

Va preliminarmente preso atto della rinuncia (contenuta nella memoria illustrativa) all’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso sollevata dalla contro-ricorrente, atteso che la data del deposito della sentenza d’appello (alla quale va fatto riferimento per l’applicazione della relativa normativa processuale) esclude la necessità della formulazione dei quesiti di diritto.

Il ricorso è infondato.

La sostanziale omogeneità e la intrinseca connessione di alcuni gruppi di motivi ne consente l’esame congiunto.

Con il primo, secondo, terzo, quarto e quinto motivo si denunciano la violazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento all’art. 348 c.p.c., ovvero, in subordine, la violazione dell’art. 75 c.p.c. e art. 2697 c.c..

Le censure – che lamentano, nel loro complesso, un vizio di omessa pronuncia circa la pretesa improcedibilità/inammissibilità dell’appello – sono prive di pregio.

Prima ancora che di non agevole comprensione (incomprensibile apparendo, in particolare, il riferimento, di cui al folio 21 del ricorso, alla omessa pronuncia sulla improcedibilità dell’appello da parte "della corte di appello di Bologna") esse risultano destituite di fondamento.

Quanto al denunciato vizio di omessa pronuncia circa la mancata produzione della sentenza di primo grado e del fascicolo di parte (error in procedendo destinato a risolversi in una ipotesi di nullità della sentenza e del procedimento), esso è tale da consentire (come recentemente statuito, in subiecta materia, dalle sezioni unite di questa corte: Cass. ss.uu. 8077/2012) l’accesso e l’esame diretto, da parte del giudice di legittimità, agli atti del processo.

Emerge così che il deposito della sentenza di primo grado risulta dall’annotazione apposta in calce al fascicolo di parte, in data 19 febbraio 2008, dal preposto cancelliere: onde la infondatezza della doglianza.

Quanto ai restanti motivi, inerenti ad un preteso difetto di rappresentanza della Banca Popolare, essi, prima ancora che inammissibili (non essendo stata la relativa eccezione formulata nel corso del giudizio di appello sino alle conclusioni rassegnate, in parte qua, al folio 85 della relativa comparsa) risultano del tutto infondati, avendo l’odierna resistente tempestivamente versato, nel fascicolo di parte, la documentazione idonea a comprovare l’esistenza del necessario potere rappresentativo ex art. 75 c.p.c., senza che tale documentazione fosse mai stata oggetto di contestazione in prime cure, e senza che, dal tenore del mandato alle liti rilasciato in secondo grado, la corte di appello abbia legittimamente ritenuto, ipso facto, di dover dubitare della riconducibilità delle firme apposte al mandato stesso (rilasciato all’avv. Nanna) alle persone del dott. S.S. e L.M..

Con il sesto motivo, si denuncia error in procedendo, violazione dell’art. 345 (per essere stata erroneamente ritenuta una questione nuova), nullità della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c.. Il motivo – che lamenta l’erronea valutazione in termini di "questione nuova", da parte del giudice di appello, dell’eccezione di nullità della notificazione della comparsa di risposta in rimo grado effettuata via fax dalla Banca popolare – è infondato.

Del tutto correttamente (e del tutto condivisibilmente) la corte barese ha osservato come, in prime cure, la doglianza de qua fosse stata rappresentata dinanzi al tribunale dauno al solo fine di invocare (peraltro erroneamente, giusta sentenza della Corte costituzionale n. 340 del 2007, dichiarativa della illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 13, comma 2 nella parte in cui consentiva di ricondurre a meri vizi di notifica di un atto processuale il grave effetto della ficta confessio, "secondo una regola in contrasto con la tradizione del diritto processuale italiano") l’esistenza di una ficta confessio da parte del convenuto, e non già ad inficiare la validità dell’intero giudizio – eccezione, quest’ultima, formulata soltanto in sede di comparsa conclusionale e perciò solo tardiva.

Il decisum del giudice di appello è dunque conforme a diritto, e si sottrae, pertanto, alla censura in esame – non senza considerare, ancora, che l’atto processuale del quale si lamenta ancor oggi l’invalidità aveva comunque raggiunto i suoi effetti, essendo state puntualmente svolte, da parte del difensore dell’odierna ricorrente, tutte le necessarie difese nel corso del giudizio di primo grado.

Con il settimo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2702 c.c. in relazione agli artt. 214, 215, 216 e 211 c.p.c..

Il motivo – al di là dei non lievi profili di inammissibilità che esso presenta, per non essere stato indicato alcun riferimento alle fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c. astrattamente riconducibili alla violazione lamentata – non ha giuridico fondamento.

Il giudice territoriale ha fatto buongoverno dei principi affermati, in subiecta materia, da questa corte regolatrice (Cass. 18748/2004), a mente dei quali la parte che abbia, anche tacitamente (oltre che, nella specie, reiteratamente e diacronicamente), riconosciuto, prima del giudizio, una scrittura a lei stessa riconducibile, non può successivamente disconoscerla, senza che, ove ciò avvenga (in spregio ad elementari principi di correttezza e buona fede), la controparte sia tenuta a chiederne la verificazione.

A tale principio (che si pone in ideale linea di continuità con il più generale dictum di cui a Cass. 25047 del 2009) il collegio intende dare senz’altro continuità.

Con l’ottavo motivo, si denuncia motivazione apparente circa un punto decisivo della controversia attinente il richiesto annullamento per errore del contratto.

La doglianza è inammissibile, poichè, pur apparentemente volta a censurare un decisivo difetto di motivazione della sentenza impugnata, si risolve, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. La ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, indugia piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale – nella parte in cui questa ha motivatamente ritenuto che, sul punto, non vi fosse alcuna prova nè della falsa rappresentazione della realtà nè della riconoscibilità dell’errore da parte della scaltra investitrice -, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5 non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd.

legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

In particolare, poi, quanto alìinterpretazione adottata dai giudici di merito con riferimento al contenuto della convenzione negoziale per la quale è processo, alla luce di una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice va nuovamente riaffermato che, in tema di ermeneutica contrattuale, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma esclusivamente il rispetto dei canoni normativi di interpretazione (sì come dettati dal legislatore agli artt. 1362 ss.

c.c.) e la coerenza e logicità della motivazione addotta (così, tra le tante, funditus, Cass. n. 2074/2002): l’indagine ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione (vizi entrambi impredicabili, con riguardo alla sentenza oggi impugnata), con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati.

Con il nono e decimo motivo, si denunciano, rispettivamente, nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c.; omessa pronuncia circa una domanda di nullità ritualmente avanzata e, in subordine, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La censura è del tutto infondata.

La corte territoriale (ff. 5-6 dell’impugnata sentenza) ha motivatamente e condivisibilmente escluso ogni profilo di nullità delle vicende negoziali ancor oggi oggetto di giudizio, richiamando, in proposito, i principi di cui a Cass. ss.uu. 26724/2007 (che, come è noto, riconduce la nullità in subiecta materia esclusivamente a fatti integranti violazione di norme inderogabili di validità e non anche di diverse regulae iuris di comportamento), mentre la doglianza in ordine all’indeterminatezza e/o indeterminabilità del prezzo dei titoli è smentita per tabulas (come osserva correttamente la contro ricorrente difesa al folio 22 del controricorso) dall’avere l’oggetto della negoziazione un prezzo di mercato agevolmente ricavabile dai listini di borsa – così dovendosi ritenere integrata, in parte qua, la motivazione della sentenza oggi impugnata.

Con l’undicesimo e dodicesimo motivo, si denunciano, rispettivamente, error in procedendo, nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c.; omessa pronuncia circa una domanda di nullità ritualmente avanzata e, in subordine, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Entrambi i motivi sono privi di pregio.

La domanda di nullità per pretesa "inesistenza o difformità dell’oggetto" conseguente alla violazione dei doveri informativi dell’intermediario è stata correttamente rigettata in sede di merito dal giudice territoriale con puntuale richiamo (come già osservato nel corso dell’esame dei due motivi che prededono) alla sentenza 26724/07 di questa corte regolatrice, non integrando quella violazione alcuna ragione di nullità negoziale.

La sentenza va, pertanto, anche sul punto, integralmente confermata.

Con il tredicesimo e quattordicesimo motivo, si lamenta error in procedendo comportante nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4; violazione degli artt. 112 e 324 c.p.c..

Le doglianze, perfettamente speculari e come tali suscettibili di congiunta valutazione, lamentano – non del tutto comprensibilmente – la pretesa violazione di un giudicato interno formatosi a seguito della mancata impugnazione della sentenza di primo grado con riguardo alla lamentata nullità della negoziazione per vizi inerenti all’oggetto del contratto.

Esse risultano del tutto prive di pregio.

Nell’appellare la sentenza di prime cure, l’istituto di credito oggi resistente aveva correttamente censurato il relativo decisum nella parte in cui aveva ritenuto nullo l’ordine di acquisto dei titoli da parte della S. per la mancata richiesta di verificazione della scrittura privata.

Avendo la corte territoriale riformato tale statuizione, in accoglimento del gravame, non è dato intendere il procedimento formativo del presunto giudicato interno, posto che, come si è avuto modo di ricordare in precedenza, nessuna nullità per assenza di prezzo era stata predicata nè, a più forte ragione, alcuna nullità si era mai verificata, avendo di converso la Banca Popolare provato la piena validità delle convenzioni d’acquisto quanto ai relativi elementi essenziali del prezzo e dell’oggetto.

Con il quindicesimo e sedicesimo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2691 c.c. in tema di onere della prova di eccezioni in senso stretto con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3; motivazione insufficiente circa un punto decisivo della controversia.

I motivi, che lamentano un cattivo uso, da parte della corte territoriale, delle regole dettate in tema di riparto dell’onere probatorio, sono privi di pregio.

La motivazione del giudice di merito, che si svolge alle pagine 7 e ss. dell’impugnata sentenza, appare, difatti, del tutto congrua e sicuramente rispettosa proprio di quei principi di cui si lamenta oggi la violazione, avendo, da un canto, la banca fornito la prova per quanto di sua competenza della insussistenza di una sua responsabilità, e non avendo di converso l’investitrice concretamente dimostrato, sotto il profilo dell’an e del quantum, l’esistenza e l’entità della condotta colpevole generatrice di evento di danno ingiusto (a meno di non voler identificare, in ogni vicenda di investimenti anche ad alto rischio, nell’intermediario finanziario una sorta di assicuratore tout court del rischio stesso, ruolo indennitario al cui riconoscimento, in definitiva, mostra di anelare l’odierna ricorrente).

Con il diciassettesimo e si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2055 e 1294 c.c. nonchè del principio generale circa la solidarietà delle obbligazioni in tema di onere della prova di eccezioni in senso stretto con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3;

motivazione insufficiente circa un punto decisivo della controversia.

Il motivo – che lamenta la erronea qualificazione in termini di sussidiarietà della responsabilità dell’intermediario finanziario e dell’emittente – è privo di pregio, mancando, in radice, l’indispensabile presupposto fattuale idoneo a fondarne la eventuale esattezza, e cioè l’esistenza di una (cor)responsabilità (esclusa tout court dalla corte di merito) della banca oggi ricorrente, onde le considerazioni svolte in sentenza sul tema della sussidiarietà/solidarietà del vincolo di responsabilità intercorrente tra intermediario ed emittente devono ritenersi esplicitate ad abundantiam, senza alcuna reale incidenza sulla ratio decidendi.

Al rigetto del motivo ora esaminato consegue l’assorbimento del successivo diciottesimo motivo, che sviluppa il proprio iter argomentativo sul tema della causalità civile in relazione all'(inesistente) presupposto di una corresponsabilità solidale della banca.

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue – giusta il principio della soccombenza – come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 10.200, di cui Euro 200 per spese generali.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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