Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-06-2012, n. 10848

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Svolgimento del processo

Nel settembre del 1996 il Banco di Sicilia evocò in giudizio, dinanzi al tribunale di Palermo, i coniugi F.M. e D.D. esponendo:

– che la s.a.s. "Dazzo Diego" era sua debitrice della somma di oltre 800 milioni di lire;

– che il credito era garantito da fideiussioni personali dei convenuti;

– che F.M., con il consenso del proprio coniuge, aveva conferito in un fondo patrimoniale due immobili che, per il loro valore, rappresentavano la parte più cospicua dell’intero patrimonio dei condebitori;

– che l’atto di costituzione del predetto patrimonio separato di destinazione era anteriore di pochi giorni alla richiesta di ingiunzione proposta da essa esponente;

– che entrambi i fideiussori erano stati, inoltre, avvisati della chiusura dei rispettivi rapporti bancari ed invitati al ripianamento dell’intera esposizione della società garantita;

– che nell’ottobre del 1994 il tribunale palermitano aveva dichiarato il fallimento della s.a.s. e del D. in proprio – onde il fallimento del co-fideiussore aveva ulteriormente inciso sulla possibilità di recupero del credito.

Il giudice di primo grado dichiarò improcedibile la domanda di revoca dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale opinando che il successivo fallimento in estensione della F. ostasse alla prosecuzione del giudizio dinanzi al tribunale ordinario, ma dovesse di converso confluire nella procedura concorsuale.

La corte di appello di Palermo, investita del gravame proposto dal Banco di Sicilia, previa integrazione del contraddittorio nei confronti di Capitalia s.p.a. (successore del Banco di Sicilia) e di Unìcredito italiano s.p.a. (società con la quale Capitalia si era fusa per incorporazione) lo accolse (dopo aver rigettato in limine l’eccezione degli appellati di difetto di legittimazione attiva del Banco di Sicilia ed aver esclusa qualsiasi forma di vis trahens del fallimento rispetto all’azione esercitata dalla banca), dichiarando la inefficacia relativa dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale.

La sentenza è stata impugnata dai coniugi D. con ricorso per cassazione sorretto da due motivi di doglianza (oltre ad un terzo, in punto di riparto delle spese processuali). Resiste con controricorso la Island Refinancing s.r.l., successore finale medio tempore del Banco di Sicilia.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato nel suo secondo motivo.

Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge con riferimento agli artt. 81, 11, 100 e 115 c.p.c., (art. 360 c.p.c., n. 3).

Il motivo – che ripropone in sede di legittimità la doglianza di rito già rappresentata al giudice di appello in punto di ritenuto difetto di legittimazione attiva del Banco di Sicilia – è inammissibile.

Esso (oltre ad si infrangersi, nel merito, sul corretto impianto motivazionale adottato dalla corte sicilana nella parte in cui ha ritenuto che, nella specie, non fosse in alcun modo predicabile una fattispecie di successione di soggetti – vecchio Banco di Sicilia e Nuovo Banco di Sicilia s.p.a. – nella titolarità del diritto controverso, atteso che tale diritto, all’esito di cessione del 30.12.1999, non aveva costituito oggetto di quella successione a titolo universale – di cui all’atto di fusione del giugno 2002 in Capitalia s.p.a. – e della conseguente successione a titolo particolare di cui all’atto di conferimento del ramo di azienda già facente capo al Banco di Sicilia s.p.a. per atto 21.6.2002, che avevano ad oggetto tutti i diritti non oggetto di cessione anteriore) lamenta, difatti, un vizio di violazione di legge che, nella sua esplicazione contenutistica, anzichè criticare, del provvedimento censurato, l’erroneità della ricognizione della fattispecie astratta contenuta in una disposizione normativa, allega l’erronea ricognizione della fattispecie concreta, impinguendo così nella tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è ammessa, in sede di legittimità, soltanto sotto il profilo del vizio motivazionale (Cass. 9908/2010; 11097/2009; ss.uu. 10313/2006), come emerge dalla lettura comparata della sentenza impugnata e delle censure ad essa mosse dai ricorrenti.

Con il secondo motivo, si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) e violazione di legge con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2901 c.c..

Il motivo deve essere accolto.

Fin dall’inizio del procedimento di merito (e ciò dicasi ai fini della tempestività della eccezione sollevata in punto di legittima configurabilità del requisito dell’eventus damni), i ricorrenti hanno fondatamente rappresentato la questione del valore del residuo patrimonio immobiliare – valore sufficiente a soddisfare integralmente le ragioni creditorie dell’istituto di credito oggi resistente -, questione che ebbe a ricevere puntuale e decisivo conforto nel contenuto dell’elaborato peritale con il quale il CTU accerterà – senza contestazioni, non essendo all’uopo ammissibile l’odierno richiamo, del tutto privo del requisito dell’autosufficienza, alle "due comparse conclusionali dell’appellante" ove si sarebbe evidenziato come "la difesa attrice avesse mosso note critiche alle risultanze della CTU", oggi operato dalla resistente (controricorso, f. 15) – che il valore del patrimonio immobiliare residuo fosse pari a circa 2,5 miliardi di lire, a fronte di un credito di poco superiore agli 800 milioni.

L’onere gravante sul debitore convenuto in revocatoria di dimostrare l’insussistenza di uno degli elementi costituivi dell’actio paullana (l’evento di danno) deve, pertanto, ritenersi compiutamente assolto dagli odierni ricorrenti – onde irredimibile appare l’error iuris in cui incorre la corte di merito, da un canto, nel configurare come in re ipsa il pregiudizio derivante dalla costituzione di un atto a titolo gratuito quale la creazione di un fondo patrimoniale, dall’altro, nel limitarsi a considerare il valore dei beni oggetto di quel conferimento astrattamente qualificandolo in termini di "rilevanza" in quanto "cospicua parte del compendio immobiliare degli appellati" senza peraltro considerarne il residuo valore.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge in relazione all’art. 91 c.p.c..

Il motivo è assorbito nell’accoglimento della doglianza che precede, essendo compito del giudice del rinvio provvederà ad una nuova regolamentazione delle spese del processo alla stregua del generale principio della soccombenza. Il ricorso è pertanto accolto nei limiti di cui alla motivazione che precede.

P.Q.M.

La corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia il procedimento, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte di appello di Palermo in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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