Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-10-2011) 12-12-2011, n. 45973

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Napoli ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di F.G. in ordine ai reati: a) di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c); d) di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, a lui ascritti per avere realizzato un manufatto di mq. 12 in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza il permesso di costruire e senza l’autorizzazione dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo.

La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva invocato l’applicazione della normativa sul condono edilizio e dedotto la prescrizione dei reati.

Sul primo punto la sentenza ha affermato che il condono di cui alla L. n. 326 del 2003 non è applicabile alle nuove costruzioni realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico o ambientale e sul secondo che l’opera abusiva non era ultimata alla data dell’accertamento e che i lavori erano ancora in corso.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.

Motivi della decisione

Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia mancanza o manifesta illogicità della motivazione e la violazione ed errata applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181.

Si deduce che la Corte territoriale, come il giudice di primo grado, non ha tenuto conto delle risultanze delle indagini difensive depositate all’udienza del 7.2.2008, nella quale l’imputato ha chiesto la definizione del processo con le forme del giudizio abbreviato; indagini difensive alla luce delle quali emergeva che le opere eseguite erano consistite in un mero intervento manutentivo, peraltro regolarmente comunicato al Comune.

Si osserva che la avvenuta presentazione dell’istanza di condono, oltre a consentire la commerciabilità dell’immobile per il quale è stata presentata, ne permette la conservazione mediante idonee opere di manutenzione in pendenza della procedura di sanatoria. Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 157 c.p..

Anche con tale motivo di gravame si denuncia la omessa valutazione delle risultanze delle indagini difensive dalle quali era emerso che il manufatto era stato realizzato, al più tardi, nel 2000. Si osserva anche che, ove sussistano incertezze in ordine all’epoca di commissione del reato, il dubbio deve essere risolto nei termini più favorevoli per l’imputato. Il ricorso è manifestamente infondato.

La sentenza impugnata ha rilevato che, trattandosi di manufatto abusivo realizzato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico – ambientale, lo stesso non è suscettibile di sanatoria in applicazione della L. n. 321 del 2003, secondo quanto affermato dall’indirizzo interpretativo assolutamente consolidato di questa Suprema Corte sul punto e citato nella stessa pronuncia. Sulla base di tale rilievo è stato, poi, correttamente affermato che su detto manufatto abusivo è inibito qualsiasi tipo di intervento edilizio.

Peraltro, lo stesso ricorrente in effetti non contesta la prosecuzione dei lavori alla data dell’accertamento anche se qualificati come interventi di manutenzione e quindi l’esistenza della attività abusiva.

L’affermazione sul punto peraltro contrasta con l’accertamento contenuto nella sentenza di appello secondo il quale l’opera abusiva non era completa ed i lavori erano ancora in corso alla data dell’accertamento.

Come rilevato nella sentenza impugnata, pertanto, alla data della pronuncia della Corte territoriale il reato non era prescritto, stanti le sospensioni del decorso della prescrizione puntualmente indicate per rinvii del dibattimento su richiesta del difensore.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., u.c., con le conseguenze di legge, tra cui la preclusione per questa Corte della possibilità di rilevare l’esistenza di cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p..

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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