Cass. civ. Sez. V, Sent., 28-06-2012, n. 10842

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La s.r.l. Trio Pubblicità propose ricorso alla commissione tributaria provinciale di Roma, con esito favorevole, nei confronti di una cartella di pagamento notificata dal comune di Roma a titolo di imposta sulla pubblicità, maggiorata di sanzioni e accessori, relativa all’anno 1998.

Su appello del comune, la commissione tributaria regionale del Lazio ha riformato la decisione, per quanto in effetti rileva considerando che l’ente aveva fornito, in appello, la prova della anteriore regolare notifica dei prodromici avvisi di accertamento e della loro mancata impugnazione.

Ha quindi osservato essere tale elemento assorbente rispetto ai restanti motivi di appello, che in ogni caso ha esaminato respingendoli.

Ha infine disatteso l’eccezione dell’appellata circa l’assunta invalidità della avversa costituzione in giudizio per carenza di rappresentanza processuale, in quanto lo statuto comunale (acquisito in causa) abilitava, nell’art. 34, i dirigenti a promuovere le (e a resistere alle) liti in materia di tributi comunali.

Per la cassazione di questa sentenza la società ha proposto ricorso affidato a quattro motivi.

Il comune di Roma ha replicato con controricorso.

Motivi della decisione

1. – Col primo motivo la ricorrente, deducendo "l’inammissibilità dell’appello per incapacità processuale del proponente", eccepisce la violazione e la falsa applicazione "da parte del comune di Roma" del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11.

Sostiene, all’uopo formulando idoneo quesito di diritto, che l’art. 11 cit., pur nel testo conseguente alla L. n. 88 del 2005, ha carattere di eccezionalità e spiega rilievo solo allorchè l’ente locale rivesta la qualità di convenuto nel giudizio tributario, non anche per le ipotesi in cui esso invece agisca quale appellante. In ogni caso, eccepisce che la rappresentanza in giudizio è dalla norma attribuita unicamente al dirigente dell’ufficio tributi, non al dirigente di altro ufficio, quale quello deputato al servizio affissioni e pubblicità.

2. – Il motivo è infondato.

In base al D.Lgs. n. 546 del 1992, citato art. 11, comma 3, nel testo conseguente al D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. 3-bis, comma 1, convertito con modificazioni nella L. 31 maggio 2005, n. 88 – in vigore dal 1.6.2005, ma applicabile ai processi in corso, ai sensi del comma 2, dello stesso articolo – "l’ente locale, nei cui confronti è proposto il ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio".

Ne risulta, quanto ai giudizi tributari, un ampliamento della portata del principio dalle sezioni unite di questa Corte pure affermato in ordine alla rilevanza, nel nuovo sistema istituzionale degli enti locali di cui al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, dello statuto comunale (ovvero del regolamento comunale, ove lo statuto abbia a rinviare a esso). Il quale statuto (v. appunto sez. un. n. 12868/2005) può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti secondo i rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero a esponenti apicali della struttura burocratica amministrativa del comune (fermo restando che in assenza di una previsione statutaria, spetta invece al sindaco l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza del comune medesimo, ai sensi del D.Lgs. cit., art. 50).

Tanto deriva dalla riconosciuta autonomia degli enti locali anche nella autoregolamentazione del potere di rappresentanza, conseguente alla modifica dell’art. 117 Cost..

in tale contesto la disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, ripetuto art. 11, come novellata nel 2005, si distingue per l’effetto di consentire al dirigente dell’ufficio tributi di rappresentare in giudizio, in ogni caso, le pretese fiscali del comune.

A codesta speciale disciplina è difatti estraneo soltanto il giudizio di cassazione (v. Cass. n. 6727/2007; n. 1915/2007).

Discende che al dirigente compete di per sè la rappresentanza del comune nel processo tributario (cfr. per tutte Cass. n. 14637/2007).

E, diversamente da quanto eccepito nel motivo, il potere di rappresentanza processuale comprende, nei limiti dei gradi di merito, ogni facoltà di mandato, anche per l’instaurazione del giudizio di appello.

Come chiaramente emerge, poi, dal ripetuto testo normativo, la rappresentanza processuale è attribuita al dirigente dell’ufficio tributi ovvero al titolare della posizione organizzativa in cui è collocato l’ufficio preposto.

Tale complessiva formula devesi intendere riferita all’organizzazione interna dell’ente quale emergente dalle relative previsioni statutarie.

Dalla sentenza risulta che l’atto d’appello è stato nella specie redatto, per il comune di Roma, a mezzo della rappresentanza (e della difesa) del dirigente pro tempore dell’unità operativa affissioni e pubblicità.

Avendo una specifica norma contenuta nello statuto del comune di Roma (art. 34) previsto la possibilità di affidare la rappresentanza del comune medesimo ai titolari degli uffici interessati – sempre relativamente ai ricorsi avanti alle commissioni tributarie – legittimamente è stata dalla commissione regionale in tal modo ritenuta la rappresentanza dell’ente nei gradi di merito del presente giudizio (cfr. al riguardo Cass. n. 6807/2009; n. 14637/2007).

3. – Col secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23, 56 e 57, avendo – a suo dire – il comune di Roma proposto eccezioni nuove in appello.

4. – Il motivo è inammissibile in relazione al prospettato quesito di diritto, il quale non chiarisce – nè alla lacuna pare supplire l’esposizione anteriore – quali eccezioni nuove sarebbero state nella specie sollevate in secondo grado. Cosicchè il motivo non soddisfa i requisiti di cui all’art. 366-bis c.p.c., il quesito di diritto avendo omesso l’indicazione degli elementi decisivi della fattispecie concreta, essendosi in definitiva risolto in una interrogazione intesa all’astratta ricognizione della disciplina applicabile in presenza di nuove eccezioni in appello (v. per tutte sez. un. n. 12339/2010).

5. – Col terzo e col quarto motivo sono infine rispettivamente dedotte: (a) la violazione e la falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 9 e 10 e del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 17 e 26; (b) la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12 e della L. n. 212 del 2000, art. 7.

La censura di cui al terzo motivo assume che la cartella impugnata non aveva riportato se l’iscrizione a ruolo fosse avvenuta per accertamenti definitivi o meno; e che il comune di Roma non aveva allegato, nè dimostrato il rispetto dei termini previsti per l’iscrizione detta. Assume ancora la carenza di prove del legittimo espletamento dell’azione di accertamento e la mancata allegazione alla cartella degli atti a essa prodromici.

La censura di cui al quarto motivo aggiunge che la cartella era priva di sottoscrizione e finanche di indicazione del responsabile del procedimento, nonchè della data in cui il ruolo era divenuto esecutivo.

6. – Entrambi i motivi sono inammissibili in relazione agli artt. 366 e 366-bis c.p.c..

Sono infatti del tutto privi di autosufficienza in rapporto alle affermazioni svolte; e i quesiti di diritto, da cui l’esposizione è conclusa, risultano modellati sull’atto amministrativo (la cartella di pagamento), anzichè sulla sentenza della commissione regionale.

Il ricorso è conseguentemente rigettato.

Le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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