T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, Sent., 11-01-2012, n. 11 Silenzio-assenso della Pubblica Amministrazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Sig. N.B., odierno ricorrente, con i ricorsi indicati in epigrafe agisce in qualità di proprietario di una tenuta agricola in località Ribattola nel Comune di Sarteano, nella quale ha costruito una piscina in assenza di titolo, successivamente sanata con concessione edilizia n. 185/98 e successiva D.I.A. n. 11/2001.

Nel maggio 2002, il Corpo Forestale dello Stato effettuava un sopralluogo nella proprietà del Sig. B. ed accertava l’avvenuta realizzazione di una molteplicità di opere edilizie in assenza di titolo abilitativo. In particolare:

– una cucina in muratura all’aperto, completa di lavello, zona cottura con fornelli a gas alimentati da bombola gpl protetta da un pergolato in legno di ml. 6,20 x 2,90 con copertura a cannicci, di altezza pari a ml. 2,80. L’area della cucina all’aperto è pavimentata con lastre in pietra. In adiacenza alla cucina si trova un piccolo barbecue anch’esso in muratura di mattoni;

– n. 1 box posto in prossimità della cucina, con struttura interamente in legno poggiante su platea in cls di dimensioni ml. 3,15 x 2,10 x 2,00 di altezza, copertura sempre in legno. Le pareti di legno sono ulteriormente tamponate con cannicci. Il piccolo manufatto e adibito a servizio igienico in quanto all’interno risultano installati servizi quali wc, lavabo, bidet e doccia;

– n. 1 box posto in prossimità della cucina, con struttura e tamponatura in legno, poggiante su platea di cls, di dimensioni di ml. 3,00 x 2,00 x altezza 2,10, copertura a padiglione in legno e sovrastante ondulina;

– n. 4 box ad uso spogliatoio, interamente in legno e cannicci, con basamento in cls, aventi dimensioni di 1,60 x 1,60 x 1,95 di altezza, copertura a padiglione in legno e sovrastante ondulina;

– n. 1 box ad uso sauna o simili, interamente in legno e cannicci, con basamento in cls, avente dimensione di 3,80 x 3,70 x 2,00 di altezza, copertura a padiglione;

– n. 1 box ad uso attrezzi da giardinaggio, interamente in legno e cannicci, con basamento in cls, avente dimensioni di 2,00 x 1,70 x 2,00 di altezza, copertura a padiglione;

– due vasche ad uso ornamentale da giardino, di forma ellittica, costituite da fondo in cls, dotate di riciclo d’acqua, la prima di dimensioni asse maggiore ml. 5,60 x asse minore ml. 4,30; la seconda di dimensioni asse maggiore ml. 8,6 x asse minore ml.7.

Tutti i manufatti risultavano dotati di impianto elettrico.

Il 7 agosto 2002 il personale dell’Ufficio tecnico comunale e del Servizio di Polizia Municipale effettuava un sopralluogo nella proprietà Bulgari, al fine di verificare l’effettiva consistenza degli abusi denunciati dal Corpo Forestale.

Il 17 settembre 2002 l’Amministrazione comunale redigeva un verbale di constatazione delle suindicate irregolarità edilizie, in quanto erano state realizzate in una zona che gli artt. 67 e 70 del regolamento urbanistico del Comune di Sarteano classificavano come "area a prevalente funzione agricola delle crete" e "bosco", sottoposta a vincolo paesaggistico ed ambientale (ai sensi del D.Lgs. n. 490 del 1999) ed a vincolo idrogeologico (ai sensi del regio D.L. n. 3267 del 1923 e della L.R. n. 39 del 2000).

Il 19 settembre 2002 il Comune di Sarteano comunicava al ricorrente, ai sensi della L. n. 241 del 1990, l’avvio del procedimento finalizzato alla verifica degli abusi commessi.

Con ordinanza n. 90 dell’ 11 novembre 2002, il Responsabile del servizio edilizia privata e urbanistica del Comune, in relazione agli abusi edilizi posti in essere dal ricorrente in area boscata e sottoposta a vincolo idrogeologico, ne ordinava la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi a propria cura e spese entro e non oltre 90 giorni dalla data di notifica dell’ordinanza, con avvertenza che, decorso inutilmente il termine senza che fosse eseguita la demolizione, il bene e l’area di sedime sarebbero stati acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune, al fine di provvedere d’ufficio all’esecuzione dei lavori di demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello stato dei luoghi, ponendo a totale carico del responsabile dell’abuso le spese sostenute e anticipate.

La successiva ordinanza n. 98 del 27 novembre 2002 disponeva la parziale rettifica della precedente ordinanza di demolizione n. 90 del 2002, puntualizzando l’esatta individuazione catastale dell’area di proprietà Bulgari (foglio di mappa n. 66 particella n. 5, anziche 55).

Avverso la suindicata ordinanza di demolizione, il Sig. B. proponeva il ricorso numero 271/2003 R.G..

Il ricorso si fondava sulle seguenti censure:

1) L’ordinanza sarebbe illegittima in quanto richiama l’art. 31 della L.R. n. 52 del 2014 ottobre 1999 nonchè l’art. 7 delle L. 28 febbraio 1985, n. 47 che sarebbero stati abrogati dall’art. 136 del Testo Unico dell’edilizia.

Questa norma infatti sarebbe temporaneamente entrata in vigore dal 1 al 9 giugno 2002 ed avrebbe cosi abrogato tutte le leggi richiamate dall’art. 136 del Testo Unico, tra cui l’art. 7 della L. n. 47 del 1985 nonchè la L.R. n. 52 del 1999, creando un vuoto normativo.

2) Le opere realizzate avrebbero natura pertinenziale: come tali, sarebbero soggette a mera attestazione di conformità, per esse non potrebbe essere ordinata la demolizione ai sensi dell’art. 31 della L.R. n. 52 del 1999, che riguarderebbe esclusivamente le opere eseguite in assenza di concessione edilizia.

3) Il Dirigente sarebbe incompetente ad ordinare la demolizione degli abusi poiché l’art. 31 della L.R. n. 52 del 1999 attribuirebbe espressamente questa competenza al Sindaco.

Il 14 marzo 2003 il Sig. B. presentava al Servizio edilizia privata del Comune domanda per il rilascio di concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell’art. 13 della L. n. 47 del 1985, per la realizzazione della cucina in muratura all’aperto protetta dal pergolato, di n. 8 box in legno e di n. 2 vasche ornamentali.

Nella domanda, il progettista dichiarava espressamente che l’intervento, in relazione al vincolo paesaggistico ambientale di cui al D.Lgs. n. 490 del 1989 risultava essere in area boscata, ai sensi dell’art. 146, comma 1, lett. g), e che risultava inoltre essere soggetto a vincolo idrogeologico.

Il 6 agosto 2003 l’Amministrazione Provinciale di Siena – Uffici Agricoltura Foreste e Bonifiche giudicava "le opere richieste in sanatoria non assimilabili o coerenti con quelle indicate dalla normativa regionale e quindi "non conformi" allo strumento urbanistico" ed esprimeva "un parere negativo relativamente al nulla osta ai fini idrogeologici, ritenendo opportuno il ripristino dell’originario stato dei luoghi".

La Provincia precisava che "con riferimento alle caratteristiche degli interventi e alle alterazioni determinate all’ecosistema forestale i lavori di ripristino si configurano nell’immediata rimozione di tutte le opere realizzate nel mantenimento dell’area in uno stato di conservazione integrale, prevedendo la non esecuzione di alcun intervento per un adeguato numero di anni, al fine di favorire il naturale ripristino della componente arbustiva dell’ecosistema in oggetto".

Ad avviso dell’Amministrazione Provinciale, "nel caso specifico, all’interno del bosco governato a ceduo, a dominanza di cerro e rovella, avente un’età pari a circa 23 anni, oltre all’eliminazione diretta della maggior parte della componente arbustiva, è riscontrabile una consistente alterazione compositiva dello stato erbaceo ridotto da una formazione operativa di bassa diversità biologica, tipica di un parco urbano, e deperimento degli elementi arbustivi residui (con un riferimento particolare ai ginepri, oggetto di evidenti disseccamenti). Ciò ad indicare che la cresciuta pressione antropica all’interno dell’area boscata su cui insistono i manufatti ha determinato, oltre la distruzione, l’alterazione delle specie del sottobosco, la costipazione e la perdita di porosità del terreno, nonchè la diminuzione di residui organici umidificabili, con la contestuale riduzione del potere di regimazione idrogeologica dell’area stessa".

In relazione alla domanda di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 37 della L.R. n. 52 del 1999, il Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di Sarteano esprimeva parere contrario, stante la non conformità delle opere allo strumento urbanistico vigente.

Con questo provvedimento, il Comune di Sarteano dava inoltre atto che con nota del 6 agosto 2003 la Provincia di Siena aveva espresso parere negativo ai fini idrogeologici.

Questi provvedimenti non venivano impugnati dalla proprietà.

Il 10 dicembre 2004 il Sig. B. presentava due nuove domande di condono edilizio protocollate con il medesimo numero (n. 14456), al fine di regolarizzare gli abusi: in particolare, la pratica n. 50 riguardava la realizzazione dei box a servizio della piscina; la pratica n. 51 riguardava invece tutti gli altri interventi (la cucina in muratura all’aperto con pergolato, le due vasche d’acqua ornamentali, l’area pavimentata a servizio della piscina).

All’esito dell’istruttoria, l’Amministrazione, con Provv. del 13 luglio 2006 prot. n. 7940, respingeva le suindicate istanze di condono edilizio presentate il 10 dicembre 2004, in quanto "le opere abusive rientrano fra quelle non ammesse a condono ai sensi dell’art. 33 della L. n. 47 del 1985, richiamato dal comma 27 della L. n. 326 del 2003, trattasi infatti di opere realizzate in zona sottoposta a vincolo idrogeologico e paesaggistico ex art. 142 lett. g del D.Lgs. n. 42 del 2004, vincoli preesistenti alla realizzazione delle opere; tali opere inoltre sono state realizzate in assenza di titolo e non sono conformi agli strumenti urbanistici vigenti, lo stesso dicasi in riferimento alla L.R. n. 53 del 2004, art. 2, 5 comma".

Nel provvedimento, l’Amministrazione precisava che "la presente comunicazione costituisce anche avvio del procedimento amministrativo ai sensi della L. n. 241 del 1990, per l’attivazione degli atti d’ufficio inerenti la rimessa in pristino/demolizione delle opere abusive".

Avverso questo provvedimento veniva proposto il ricorso numero 1604/2006 R.G..

Con la prima censura il ricorrente chiariva che il fondo non sarebbe sottoposto a vincolo paesaggistico ex D.M. 20 marzo 1996; in relazione al vincolo idrogeologico, le opere oggetto di domanda avrebbero natura pertinenziale e pertanto ad esse si doveva applicare la clausola di salvezza prevista dal comma 25 dell’art. 32 delle L. n. 47 del 1985.

In secondo luogo, l’Amministrazione avrebbe erroneamente motivato il proprio diniego anche con riferimento all’art. 2 comma 5 della L.R. n. 53 del 20 ottobre 2004, che non potrebbe introdurre previsioni più rigide rispetto alla normativa statale.

Il 31 gennaio 2005 il Sig. B. presentava all’Amministrazione due domande di accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 1 comma 39 della L. n. 308 del 2004 (prot. n. 1296 e 1297): la prima per i box in legno, la seconda per la cucina in muratura, le vasche ornamentali, l’area pavimentata.

Nella relazione tecnica si chiariva che "i manufatti sono stati realizzati in una zona del territorio vincolata in base alla L. n. 1997 del 1939 in quanto ai sensi del D.L. 27 giugno 1985, n. 312 art. 1, comma 1, lett. g) ricadono su territori coperti da boschi. Ai fini del vigente Regolamento urbanistico, l’area è individuata dalla Tav. 12 – Territorio aperto, come "area a prevalente funzione agricola delle crete" (normata dall’art. 67 del R. U.) e "boschi" (normata dall’art. 70 del R. U.). Oggetto della presente è quindi l’ottenimento della sanatoria paesaggistica delle opere sopra citate eseguite in assenza del titolo abilitativo e per le quali in data 10 dicembre 2004 è stata inoltrata domanda di condono edilizio".

Il Comune emanava un unico provvedimento in relazione alle due domande, con cui esprimeva parere contrario all’istanza di verifica di compatibilità paesaggistica.

Nel provvedimento, l’Amministrazione richiamava il parere del Collegio ambientale emesso il 29 giugno 2006 con cui si chiariva "che le opere edilizie eseguite nell’area in questione non sono paesaggisticamente compatibili in quanto gli interventi sono stati realizzati in area boscata, determinando una profonda alterazione delle caratteristiche dell’area forestale. Infatti le opere edili e le relative sistemazioni esterne, seppure non abbiano determinato l’eliminazione diretta di piante arboree di alto fusto, hanno determinato l’eliminazione del sottobosco costituito dalle piante arboree, riducendo l’originario stato compositivo del suolo trasformandolo in mero prato di tipo urbano o con bassa diversità biologica. Il mantenimento delle opere, pertanto, non è compatibile con la conservazione del bosco. Si prescrive la rimessa in pristino dell’area mediante la demolizione dei manufatti edificati e l’eliminazione delle altre opere di sistemazione esterna ivi realizzate; la messa a riposo dell’area per un adeguato numero di anni tali da consentire il naturale rispristino della compagine arbustiva dell’ecosistema in questione".

Con questo Provv. del 13 luglio 2006 prot. n. 7939, poi sostituito, per meri errori materiali, con Provv. del 17 luglio 2006 prot. n. 8043, si chiariva che "la presente comunicazione costituisce anche avvio del procedimento amministrativo ai sensi della L. n. 241 del 1990 per l’attivazione degli atti d’ufficio inerenti le sanzioni previste dall’art. 167 del d.lgs.n 42/2004".

Avverso la determinazione di diniego n. 7939/06 del 13 luglio 2006, il Sig. B. notificava al Comune di Sarteano un ulteriore ricorso, che però non veniva depositato presso questo Tribunale.

Il 9 agosto 2006, la proprietà Bulgari presentava una nuova domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 167 comma 5 del D.Lgs. n. 42 del 2004 e 27 del D.Lgs. n. 157 del 2006.

Quest’ultima domanda si riferiva a tutti gli interventi realizzati (la cucina all’aperto, le vasche d’acqua ornamentali, l’area pavimentale con lastre pietra, gli 8 box in legno a servizio della piscina).

Con provvedimento prot. n. 358 del 2 aprile 2007, l’Amministrazione comunale dichiarava l’istanza non procedibile in quanto "non ricorrono i presupposti di cui all’art. 167, comma 4, della normativa in oggetto. I lavori che si intende sanare infatti costituiscono in parte (n. 8 box in legno) un aumento di superficie utile (mq. 38,80) e volume (mc. 99,93), pertanto non possono essere sottoposti alla procedura di accertamento di compatibilità paesaggistica, ai sensi del comma 4, lett. a) del suddetto d.lgs.. Diverso è il caso relativo alle opere non valutabili in termini di superficie e volume, quali vasche, pergolati, cucine all’aperto che potrebbero essere oggetto di apposita istanza. Si fa presente che la richiesta non sarebbe altro che la reiterazione, con procedimento ordinario ex art. 167 del D.Lgs. n. 156 del 2006, della istanza presentata in data 31 gennaio 2005 prot. 1296 e 1297, ai sensi dei commi 37 e 39 dell’art. 1 della L. n. 308 del 2004 che costituiva procedimento straordinario (cosi detto condono ambientale), sul quale questo Servizio ha già espresso il proprio parere negativo ritenendo tutte le opere realizzate incompatibili con l’ambiente di area boscata, in data 13 luglio 2006".

Avverso questo provvedimento, il Sig. B. proponeva il ricorso R.G. 1133/2007, fondato sulle seguenti censure:

1) L’istanza non sarebbe apprezzabile come mera riproposizione della domanda presentata in data 31 gennaio 2005 in quanto competente ad esprimere il parere sarebbe, ai sensi dell’art. 167 del D.Lgs. n. 42 del 2004, la Soprintendenza e non più il Collegio Ambientale; sarebbe inoltre decorso il termine espressamente fissato come perentorio dalla stessa norma, per la pronuncia sulla domanda;

2) Il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per eccesso di potere in quanto la stessa Amministrazione descriverebbe i box in legno come opere irreversibilmente a servizio della piscina e dunque, come le altre opere, non valutabili in termini di superficie e di volume. La circostanza renderebbe non discutibile, ai sensi dell’art. 167 comma 4 lett. a) del D.Lgs. n. 42 del 2004, il rilascio del parere.

2. I ricorsi vanno previamente riuniti per evidenti ragioni di carattere soggettivo ed oggettivo.

3. Il ricorso R.G. n. 271/2003, proposto avverso l’ordinanza di demolizione n. 90 dell’11 novembre 2002, così come rettificata con l’ordinanza n. 98 del 27 novembre 2002, è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Il suindicato provvedimento, infatti, ha per oggetto le medesime opere in relazione alle quali sono state formulate, in data 10 dicembre 2004, le istanze di condono respinte con il Provv. n. 7940 del 2006 del 13 luglio 2006 – impugnato con il ricorso R.G. n. 1604/2006 – con il quale l’Amministrazione ha riesaminato il carattere abusivo o meno delle opere delle quali era stata ingiunta la demolizione.

4. Per quanto riguarda il ricorso R.G. n. 1604/06, con il quale è stato impugnato il suindicato provvedimento di diniego di condono n. 7940/06 del 13 luglio 2006, lo stesso risulta infondato.

Con il primo motivo di ricorso, si afferma che il fondo non sarebbe sottoposto a vincolo ai sensi del decreto del Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali del 20 marzo 1996, in quanto il vincolo sarebbe stato annullato con sentenza di questo Tribunale n. 317 del 2 ottobre 1998.

Il rilievo non è condivisibile.

Il vincolo è stato annullato con sentenza successivamente impugnata e riformata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 7668/2004.

Pertanto l’area interessata dagli abusi edilizi è ancora oggi vincolata.

Il ricorrente richiama inoltre l’ art. 32 comma 25 del D.L. n. 269 del 30 settembre 2003 il quale prevede il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria delle opere non conformi alla disciplina vigente ed in particolare delle "opere abusive (…) che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 metri cubi".

Tuttavia, il successivo comma 27 dell’art. 32 dispone che "le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora … d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali o provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici".

L’area interessata è soggetta a vincolo boschivo ed idrogeologico, oltre che paesaggistico: è dunque evidente – così come rilevato dall’Amministrazione resistente nei propri scritti difensivi – che a tali interventi abusivi non poteva applicarsi la clausola di salvezza di cui all’art. 32 comma 25, stante la previsione contenuta al comma 27 dello stesso articolo.

Con il secondo motivo di ricorso, si sostiene che L’Amministrazione avrebbe erroneamente motivato il proprio diniego anche con riferimento all’art. 2 comma 5 della L.R. 20 ottobre 2004, n. 53; il legislatore regionale non potrebbe infatti restringere il campo di applicazione della normativa statale di cui all’art. 32 comma 25 del D.L. n. 269 del 2003.

Anche tale censura è infondata.

Il legislatore regionale, infatti, non ha previsto una disciplina più rigida, in quanto la norma regionale richiamata riproduce integralmente il testo dell’art. 32, comma 27, del D.L. n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 326 del 2003.

5. Il ricorso R.G. n. 1604/06 va, pertanto, respinto.

6. Ugualmente infondato è il ricorso R.G. n. 1133/2007, con il quale è stato impugnato il provvedimento di diniego n. 3518/07 del 2 aprile 2007 del parere di compatibilità paesaggistica ex art. 167, 5 comma, del D.Lgs. n. 156 del 2006 richiesto con istanza depositata in data 9 agosto 2006.

Con il primo motivo, il ricorrente afferma l’illegittimità del diniego espresso dal Comune, in quanto quest’ultimo non avrebbe richiesto il parere della Soprintendenza, ma avrebbe soltanto richiamato il parere negativo del Collegio ambientale. Sarebbe, inoltre, decorso il termine per la conclusione del procedimento e, quindi, su tale richiesta si sarebbe formato il silenzio-assenso.

La censura non ha pregio.

Il Comune ha dichiarato improcedibile la domanda proposta dal Sig. B. in quanto priva dei presupposti di cui all’art. 167, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004.

Ai sensi di tale disposizione, "L’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati".

Ora, tenuto conto che alcuni degli interventi oggetto della domanda hanno comportato la creazione di nuovi superfici e volumi, l’Amministrazione, facendo applicazione della suindicata disposizione, ha dichiarato l’improcedibilità della domanda, così come unitariamente prospettata dal ricorrente, in quanto priva dei presupposti per la sua presentazione.

Né può fondatamente sostenersi che il mancato rispetto dei termini di novanta e centottanta giorni, qualificabili come termini perentori, previsti dall’art. 167, 5 comma, del D.Lgs. n. 42 del 2004, abbia determinato, per effetto della decadenza del potere di provvedere, la maturazione del silenzio assenso in ordine alla richiesta condonabilità paesistica dell’intervento.

A tanto è d’impedimento l’art. 20 della L. n. 241 del 1990.

Quest’ultima disposizione, sul punto in esame, ha ricevuto successivamente conferma dall’art. 3, comma 6 ter, del D.L. 14 marzo 2005 n. 35 nel testo integrato dalla legge di conversione n. 80/2005, che espressamente esclude, con disposizione avente carattere generale, la possibilità del silenzio-assenso in materia di vincolo culturale e paesistico ed ambientale, a cui alcuna deroga può aver apportato il procedimento correlato al rilascio del "condono ambientale" atteso il carattere eccezionale di quest’ultimo (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2010, n. 1763; Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, 20 giugno 2009, n. 448).

Ciò comporta, invero, che la normativa di riferimento del procedimento per accertare la compatibilità paesistica non può essere assoggettata all’interpretazione estensiva propugnata dal ricorrente, pretendendo di superare l’indiscutibile assenza al suo interno di disposizioni recanti la previsione di silenzio-assenso, non essendo certamente equipollente, a tal fine, la sola previsione dell’obbligo di provvedere entro termini prestabiliti, seguita dall’inattività dell’Amministrazione (cfr., Cons. Stato n. 1763/2010 cit.).

Infine, con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente assume che il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per eccesso di potere in quanto la stessa Amministrazione descriverebbe i box in legno come opere irreversibilmente a servizio della piscina, come tali "insuscettibili di valutazione autonoma in termini di aumento di superficie e volume" e le altre opere come non valutabili in termini di superficie e di volume.

Tale affermazione è, in primo luogo, smentita dalla lettura del provvedimento impugnato, dal quale non risulta che l’Amministrazione abbia descritto gli otto box in legno come opere irreversibilmente a servizio della piscina.

Nel provvedimento impugnato, il Comune si limita a precisare che "i lavori costituiscono in parte (n. 8 box in legno) un aumento di superficie utile (mq 38,80) e volume (mc 99.93), pertanto non possono essere sottoposti alla procedura di accertamento di compatibilità paesaggistica, ai sensi del 4 comma lettera a) del suddetto d.lgs.".

Comunque, è da escludere che le opere realizzate possano essere qualificate come pertinenze.

A riguardo, giova ricordare – come emerge dalla esposizione in fatto – che il Sig. B. ha realizzato senza titolo una cucina in muratura all’aperto, un box con wc, lavabo bidet e doccia, un box ad uso sauna, quattro box ad uso spogliatoio, un box ad uso magazzino adiacente alla cucina, un box ad uso attrezzi da giardinaggio, due vasche ornamentali, e che tutti questi interventi hanno la base in calcestruzzo e sono dotati di impianto elettrico.

Si tratta evidentemente di opere nuove rispetto al precedente fabbricato, incidendo in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio, a causa anche dell’uso stabile delle stesse, poiché in materia edilizia rileva l’oggettiva idoneità delle strutture installate ad incidere sullo stato dei luoghi, dovendosi escludere la precarietà ogni volta che l’opera sia destinata a fornire un’utilità prolungata nel tempo (cfr., ex multis, TAR Veneto, sez. II, 18 dicembre 2009, n. 3639).

Le opere in questione, inoltre, non sono funzionali a rendere più agevole il bene principale e non sono coessenziali a quest’ultimo, ma possono al contrario essere utilizzate in modo autonomo e separato, e anche tale profilo è determinante ai fini della non classificabilità delle stesse come pertinenze (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 18 aprile 2001, n. 2325).

Pertanto, stante la loro natura non pertinenziale, le suindicate opere avrebbero dovuto essere assentite con concessione edilizia.

Infine, in relazione alla non valutabilità delle altre opere (cucina, vasche ornamentali) in termini di superficie e di volume, l’Amministrazione ha correttamente ritenuto anche questi interventi come non sanabili, in quanto ha valutato l’intervento considerandolo nel suo complesso: d’altra parte, non avrebbe potuto fare altrimenti, posto che il Sig. B. ha presentato un’unica domanda per tutti gli abusi commessi nell’area vincolata.

7. Il ricorso R.G. n. 1133/07 va, pertanto, respinto.

8. Quanto alle spese di giudizio, le stesse seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza), previa riunione dei ricorsi indicati in epigrafe, dichiara il ricorso n. 271/03 improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, e respinge sia il ricorso n. 1604/06 che il ricorso n. 1133/07.

Condanna il ricorrente a rifondere all’Amministrazione resistente le spese dei giudizi che liquida nella complessiva somma di Euro 6.000,00 (seimila/00), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza venga eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:

Angela Radesi, Presidente

Eleonora Di Santo, Consigliere, Estensore

Gianluca Bellucci, Consigliere

Da Assegnare Magistrato, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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