Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-10-2011) 12-12-2011, n. 45969

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza, resa in data 14.6.2010, la Corte di Appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Patti, sez. dist. di Sant’Agata Militello, con la quale G.R. era stata condannata, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena (sospesa subordinatamente alla demolizione delle opere abusive) di mesi 3, giorni 20 di arresto ed Euro 13.000,00 di ammenda per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) (capo a), D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64 e 71, 65 e 72 (capo b), D.P.R. n. 360 del 2001, artt. 93, 94, 95 (capo c), unificati sotto il vincolo della continuazione, concedeva all’appellante G. il beneficio della non menzione. Riteneva la Corte territoriale, disattendendo i motivi di appello che la concessione in sanatoria, rilasciata dal Comune di Naso nel 2008, non determinasse l’estinzione del reato urbanistico, essendo il provvedimento subordinato a prescrizioni finalizzate a fare conseguire la conformità dell’intervento alle previsioni urbanistiche.

2) Ricorre per cassazione G.R., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, la erronea applicazione della legge – penale ed il travisamento del fatto. Il manufatto realizzato fino al momento dell’ordinanza di sospensione dei lavori era conforme alla disciplina edilizia ed urbanistica, tanto che le prescrizioni contenute nella concessione in sanatoria non prevedevano alcun intervento demolitorio.

Erroneamente, pertanto, i Giudici di merito hanno ritenuto che tale concessione non avesse effetto estintivo.

Con il secondo motivo denuncia l’erronea applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, e l’omessa motivazione. La G., con provvedimento del Tribunale, pur mantenendosi fermo il sequestro preventivo, era stata autorizzata ad eseguire i lavori di cui alle prescrizioni contenute nella concessione m sanatoria. La Corte di Appello, con ordinanza in data 12.3.2010, aveva riservato ogni determinazione, in ordine alla richiesta di dissequestro, al giudizio di merito. Nonostante tale espressa riserva ha, però, omesso di provvedere.

Con il terzo motivo eccepisce l’intervenuta prescrizione dei reati, anche a voler tener conto della data di accertamento del 20.12.2005. 3) Il ricorso è manifestamente infondato.

3.1) Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, prevede, espressamente, che il responsabile dell’abuso o il proprietario possano ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda (cd. "doppia conformità").

I Giudici di merito hanno, ineccepibilmente, rilevato come non sussista tale "condizione", essendo stata la concessione in sanatoria subordinata a specifiche prescrizioni per adeguare l’opera agli strumenti urbanistici. Ha ritenuto, m particolare, il Tribunale la natura "sostanziale" delle prescrizioni, finalizzate palesemente a rendere l’opera, attraverso una serie di lavori edilizi, conforme, sotto il profilo della consistenza volumetrica, agli strumenti urbanistici vigenti. Erano previsti infatti: a) l’interramento della porzione di fabbricato destinata al ricovero macchine ed attrezzi agricoli; b) il riempimento degli spazi indicati come "zona di approfondimento delle fondazioni"; c) la eliminazione della abitabilità del sottotetto; d) la pendenza di copertura non superiore ai 35%; e) la previsione di un’area destinata al parcheggio; f) il rispetto delle distanze minime dai confini del ciglio della strada.

3.2) Quanto al secondo motivo, non c’è dubbio che il permesso in sanatoria, purchè legittimo, valido ed efficace escluda l’applicazione dell’ordine di demolizione o di riduzione in pristino, eliminando esso ogni vulnus; ne discende ulteriormente che tale ordine deve intendersi emesso allo stato degli atti, tanto che anche il giudice dell’esecuzione deve verificare il permanere della incompatibilità degli ordini in questione con atti amministrativi.

E’ altrettanto indubitabile, però, che il rilascio del permesso in sanatoria non determini automaticamente la revoca dell’ordine di demolizione o di riduzione in pristino, dovendo il giudice, comunque, accertare la legittimità sostanziale del titolo sotto il profilo della sua conformità alla legge ed eventualmente disapplicarlo ove siano insussistenti i presupposti per la sua emanazione (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3 n. 144 del 30.1.2003 -P-M-c/o Ciavarella).

A partire dalla sentenza delle sezioni unite di questa Corte del 21.12.1993, ric. Borgia, notrè più dubitabile che il giudice penate, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, debba verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria. Il giudice, quindi, non deve limitarsi a verificare l’esistenza ontologica del provvedimento amministrativo autorizzatorio, ma deve verificare l’integrazione o meno della fattispecie penale "in vista dell’interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela" (nella specie tutela del territorio).

E’ la stessa descrizione normativa del reato che impone al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa, ivi compreso l’atto amministrativo (cfr. Cass. pen. sez. 3 211.1997 – Volpe ed altri). Non sarebbe infatti soggetto soltanto alla legge ( art. 101 Cost.) un giudice penale che arrestasse il proprio esame all’aspetto esistenziale e formale di un atto sostanzialmente contrastante con i presupposti legali (Cass. pen. sez. 3 2.5.1996 n. 4421-Oberto ed altri). Tutti tali principi sono stati ribaditi da Cass. sez. 3 n. 11716 del 29.1.2001.

Con i motivi di appello veniva dedotta l’illegittimità dell’ordine di demolizione non sussistendo il reato urbanistico e veniva evidenziato che, se fossero state eseguite le prescrizioni imposte, sarebbe comunque venuto meno l’ordine di demolizione medesimo.

La Corte territoriale, avendo escluso che la concessione in sanatoria avesse effetto estintivo per i motivi innanzi specificati, ha conseguentemente ritenuto che non potesse essere revocato l’ordine di demolizione.

3.3) Nè sussiste il denunciato difetto di motivazione in relazione all’istanza su cui la Corte si era riservata di provvedere, con ordinanza 12.3.2010, avendo l’istanza medesima ad oggetto il dissequestro dell’opera e non la revoca dell’ordine di demolizione.

Su tale revoca potrà eventualmente provvedere il GE, previo accertamento non solo della avvenuta esecuzione di tutte le prescrizioni, ma della stessa legittimità della concessione in sanatoria.

3.4) Infine i reati non erano certamente prescritti alla data di emissione della sentenza impugnata. I Giudici di merito hanno accertato che i lavori erano ancora in corso alla data dell’accertamento, per cui la cessazione della permanenza doveva ritenersi avvenuta con il sequestro eseguito in data 21.4.2006 a seguito di provvedimento del GIP del 13.4.2006 o, tutt’al più, alla data dell’accertamento del 20.12.2005 (non essendovi prova della esecuzione di ulteriori lavori).

Il termine massimo di prescrizione di anni cinque, secondo la previsione di cui al riformulato art. 157 c.p. con la L. n. 251 del 2005, non era pertanto decorso alla data di emissione (14.6.2010) della sentenza.

3.5) Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in Euro 1.000,00, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

Va solo aggiunto che, stante la inammissibilità del ricorso, è preclusa la declaratoria della prescrizione, maturata dopo la emissione della sentenza impugnata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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