Cass. civ. Sez. V, Sent., 28-06-2012, n. 10832 Contenzioso tributario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 14 marzo 2008 la CTR-Lazio accoglie l’appello proposto dal Comune di Roma, nei confronti della soc. NDP in liquidazione, confermando gli avvisi di accertamento notificati alla contribuente per imposta sulla pubblicità, dovuta per l’anno 1999.

Motiva la decisione ritenendo, in rito, che il dirigente comunale firmatario dell’appello sia a ciò statutariamente legittimato, trattandosi di attribuzione che non può dirsi inderogabilmente devoluta per legge (D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50) solo al Sindaco.

Nel merito, rileva che la contribuente non prova nè di aver pagato il dovuto per gli impianti autorizzati, nè di aver ottenuto la concessione per gli impianti ritenuti abusivi, nè di aver aderito alla c.d. "procedura di riordino", nè di aver comunicato durata e dimensioni delle esposizioni pubblicitarie. Perciò, conclude per la legittimità di quanto preteso dell’ente locale per l’intero anno solare.

Propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, la soc. NDP in liquidazione; l’amministrazione comunale resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1.-Preliminarmente, la ricorrente deposita in udienza documentazione sull’attivazione della procedura di definizione di lite, secondo il regolamento comunale n. 31 del 2009; indi, chiede rinviarsi la causa a nuovo ruolo per le determinazioni dell’amministrazione ai fini della cessazione della materia del contendere. La richiesta non è meritevole di accoglimento.

A mente dell’art. 13 della legge finanziaria 2003 e con riferimento ai tributi propri, i Comuni possono stabilire, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti destinati a disciplinare i tributi stessi, la riduzione dell’ammontare delle imposte e tasse loro dovute, nonchè l’esclusione o la riduzione dei relativi interessi e sanzioni, per le ipotesi in cui, entro un termine appositamente fissato da ciascun ente, i contribuenti adempiano ad obblighi tributari precedentemente in tutto o in parte non adempiuti (comma 1). Le medesime agevolazioni possono essere previste anche per i casi in cui siano già in corso procedure di accertamento o procedimenti contenziosi i n sede giurisdizionale. In tali casi, la richiesta del contribuente di avvalersi delle predette agevolazioni comporta la sospensione, su istanza di parte, del procedimento giurisdizionale, in qualunque stato e grado questo sia eventualmente pendente, sino al termine stabilito dall’ente locale, mentre il completo adempimento degli obblighi tributari, secondo quanto stabilito dall’ente locale, determina l’estinzione del giudizio (comma 2).

Pertanto, la disciplina attuativa del condono è riconosciuta dalla legge come una competenza di carattere organizzatorio degli enti locali, da esercitare attraverso i regolamenti disciplinati in via generale dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 52.

Il Comune di Roma ha provveduto con la delibera citata, assegnando agli interessati il termine del 30 giugno 2009 per attivare la procedura di definizione delle liti pendenti (art. 3, comma 3), anche in tema d’imposta comunale sulla pubblicità (art. 2), e fissando diversificati termini di sospensione (a seconda che si tratti definizione in unica soluzione o rateale), l’ultimo dei quali è scaduto 30 giugno 2010 (art. 5, comma 1, art. 6, commi 2 e 3). La parte che ha presentato l’istanza di definizione, al termine della durata della sospensione e nella ipotesi in cui si sia perfezionata la definizione agevolata, è "…tenuta a presentare …l’atto di rinuncia alla prosecuzione del giudizio debitamente sottoscritto dalla controparte per accettazione con compensazione delle spese del giudizio" (art. 5, comma 3).

La documentazione, da ultimo, versata in atti dalle società non rispetta le modalità di presentazione di nuovi documenti dinanzi a questa Corte.

Infatti, si è ritenuto che, nel corso del giudizio di legittimità, possono essere prodotti documenti diretti a evidenziare la cessazione della materia del contendere per fatti sopravvenuti alla proposizione del ricorso, tali da far venir meno l’interesse alla definizione del procedimento, rientrando tale produzione nell’ambito di applicazione dell’art. 372 c.p.c., comma 2, riguardante la facoltà di deposito dei documenti attinenti all’ammissibilità del ricorso (cfr. C. 21122/08 che ha ammesso il deposito di documenti attestanti l’avvenuta definizione con condono di una violazione amministrativa per affissione abusiva).

Del deposito di nuovi documenti, però, deve essere dato avviso all’altra parte mediante notifica del relativo elenco al fine di garantire il contraddittorio (ult.cit; conf. giurisprudenza costante a partire da SU 2921/1988); la mancanza della notifica è sanata solo dalla presenza dell’avversario che accetti il contraddittorio sulla questione cui si riferisce il documento (conf. giurisprudenza costante a partire da SU 5781/1981).

Invece, nella fattispecie non v’è stata notifica dell’elenco, nè presenza del difensore del Comune in udienza; dunque, la produzione della contribuente è inutilizzabile.

Si aggiungano due considerazioni: in primo luogo, tralasciando ogni valutazione sull’osservanza o meno del principio di riserva di legge statale in materia processuale, si rileva che il termine ultimo di sospensione temporanea dei procedimenti in corso è, comunque, spirato da molto tempo; in secondo luogo, si rileva che tra la documentazione addotta dalla contribuente non v’è la rinuncia al giudizio, con l’accettazione dall’altra parte, richiesta sia dalla delibera comunale (art. 5), sia dal codice di rito (art. 390).

2.-Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo, denunciando violazione di legge (D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11 mod. D.L. n. 44 del 2005, art. 75 c.p.c.), la ricorrente lamenta che il giudice d’appello non abbia dichiarato l’eccepita inammissibilità dell’appello, atteso che il dirigente comunale del Servizio affissioni e pubblicità è privo di potere di rappresentanza processuale dell’ente locale, in primo e secondo grado.

La questione è manifestamente infondata. Questa Corte, in fattispecie analoga, ha ritenuto ammissibile l’appello proposto dal dirigente del servizio affissioni e pubblicità del Comune di Roma, enunciando il seguente e condivisibile principio di diritto:

"In tema di contenzioso tributario, il D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. 3 bis, comma 1, conv. con modificazioni nella L. 31 maggio 2005, n. 8, in vigore dal 1 giugno 2005, sostituendo il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 11, comma 3, sul contenzioso tributario, dispone che l’ente locale, nei cui confronti è preposto il ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, o, in mancanza di tale figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa comprendente l’ufficio tributi; mentre il comma 2 dell’art.3 bis citato estende ai processi in corso la suddetta disposizione, relativa alla legittimazione processuale dei dirigenti locali" (C. 14637/07 e 4783/11).

Peraltro, questa Sezione sempre in analoga fattispecie (C. 1915/07, parr. 4, 4.1, 4.2), osserva in via generale che lo Statuto del Comune di Roma (appr. con Delib. Conc. 17 luglio 2000, n. 122, mod. Delib.

19 gennaio 2001, n. 22), prevede, all’art. 24, comma 1, che "Il Sindaco è l’organo responsabile dell’amministrazione del Comune e rappresenta l’Ente"; quindi, all’art. 34, comma 4, stabilisce che "I Dirigenti promuovono e resistono alle liti anche in materia di tributi comunali ed hanno il potere di conciliare e transigere".

Sulla base di quest’ultima norma statutaria, il regolamento attuativo (appr. Delib. G.M. 25 febbraio 2000, n. 130), nel dettare la "disciplina interna del contenzioso dinanzi alle commissioni tributarie", dispone, all’art. 3, che "i dirigenti hanno il potere di decisione autonoma sulla scelta di resistere, intervenire e agire nei giudizi dinanzi alle commissioni tributarie, valutando tutti gli aspetti della controversia in fatto e in diritto, e il potere di rappresentanza diretta del Comune sottoscrivendo gli atti processuali".

Tale potere di rappresentanza processuale dei dirigenti deve intendersi, dunque, assolutamente pacifico riguardo ai giudizi davanti alle commissioni tributarie.

3.-Con il secondo motivo, denunciando violazione di legge (D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23, 56 e 57), la ricorrente interroga questa Corte chiedendo: "se nel rito tributario la parte resistente possa articolare successivamente alla propria costituzione in giudizio in 1^ grado, avvenuta con comparsa assolutamente generica ed inconferente rispetto ai motivi di ricorso proposti dal contribuente, le proprie difese proponendo anche eccezioni non rilevabili d’ufficio ovvero debbano tali attività ritenersi precluse ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23, 32, 56 e 57".

Il mezzo è inammissibile per non idonea formulazione del quesito di diritto. Il quesito di diritto imposto dall’art. 366-bis c.p.c., costituisce, infatti, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata e quindi non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità. Deriva da quanto precede che la parte deve evidenziare sia il nesso tra la fattispecie e il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia il principio, differente da quello posto alla base del provvedimento impugnato, la cui auspicata applicazione potrebbe condurre a una decisione di segno diverso (C. 21184/10). Altrimenti, detti enunciati, mancando di riferimento alla fattispecie concreta (SU 7433/09), non sono tali da circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte (SU 7258/07). Il quesito, comèè noto, deve invece comprendere l’indicazione sia della "regula iuris" adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che la parte ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo (SU 6420/08). La mancanza, evidente nella specie, anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (C. 24339/08). In altre parole, il quesito, contrariamente all’odierna formulazione, deve investire in pieno la "ratio decidendi" della sentenza impugnata e proporre un’alternativa di segno opposto (C. 4044/09), altrimenti risolvendosi in una tautologia o in un interrogativo circolare (SU 28536/08). In conclusione, il quesito di diritto formulato è generico e non è direttamente pertinente rispetto alla fattispecie, risolvendosi in enunciazioni di carattere generale e astratto, prive di qualunque indicazione sul tipo di controversia e sulla riconducibilità alla fattispecie (C. 25242/11), il tutto senza enucleare i momenti di conflitto rispetto a esse del concreto operato dei giudici di merito (C. 80/2011).

3bis.-Nè può rilevare il fatto che la parte resistente possa aver controdedotto al mezzo, giacchè l’espressa previsione a pena di inammissibilità dei requisiti richiesti dall’art. 366-bis c.p.c., palesa non solo che l’interesse tutelato dalla norma non è disponibile ed è tutelato dalla rilevabilità d’ufficio, ma esclude anche che possa assumere alcun rilievo, in funzione di superamento del vizio, l’atteggiamento della controparte (C. 16002/07).

4.-Con il terzo motivo, denunciando violazione di legge (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, in relazione al D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 1, 5, 7, 8, 9, 14, 16 e agli artt. 3 e 53 Cost.), la ricorrente contesta la sentenza d’appello laddove afferma che l’imposta doveva essere conteggiata su base annuale. Lamenta che la commissione regionale abbia trascurato che la contribuente eseguiva affissioni per conto terzi di durata inferiore a tre mesi e doveva la relativa imposta mensile solo per i periodi di utilizzazione dell’affissione.

Sicchè, in difetto di prova certa da parte del Comune circa l’utilizzo ulteriore degli impianti, l’ente locale non poteva richiedere alcunchè.

La censura non è fondata. Il D.Lgs. n. 507 del 1993, all’art. 12, comma 3, nel disciplinare la "pubblicità effettuata mediante affissioni dirette, anche per conto altrui, di manifesti e simili su apposite strutture", non contemplava all’epoca (1999) alcuna eccezione alla disposizione generale dell’art. 9, per cui "l’imposta è dovuta … per anno solare"; ciò perchè essa prescriveva che l’imposta fosse calcolata "nella misura e con le modalità previste dal comma 1", recante le tariffe differenziate per metro quadro di superficie occupata e relative alle diverse classi di comuni, senza riferimento alcuno, "quoad tempus", a periodi inferiori all’anno solare (corif. C. 1915/07, in motiv. Par. 6.2.1).

Dunque, la modifica del suddetto comma 3, introdotta dalla legge finanziaria 2001, art. 145, comma 56, in virtù della quale è fatto riferimento anche al comma 2 (esposizioni pubblicitarie di durata non superiore a tre mesi), non è applicabile al caso di specie "ratione temporis", trattandosi di norma innovativa, non avente efficacia retroattiva in quanto essa non interpreta, ma modifica positivamente, attraverso il richiamo al comma 2 del citato art. 12, il precedente sistema di calcolo dell’imposta in questione.

Per conseguenza, si è ritenuto nella giurisprudenza di legittimità, che la Delib. consiliare n. 42 del 2001 con cui si dava attuazione nel Comune di Roma – ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 3 – alla suddetta disposizione innovativa, non poteva, al pari di quella costituente la fonte primaria, avere efficacia retroattiva (v.

ult.cit. par. 6.2.2; cfr. C. 2826/08 e 18143/09).

5.-Con il quarto motivo, denunciando "erroneo computo della superficie dell’impianto oggetto d’imposta", la ricorrente interroga questa Corte chiedendo: "se ai fini del calcolo dell’imposta sulla pubblicità debbano considerarsi nel computo del tributo anche quelle parti del mezzo pubblicitario che non sono destinate a veicolare alcun messaggio pubblicitario quali pali, cornici e quant’altro come le riproduzioni pittoriche degli edifici sui quali si espongono 1 teli pubblicitari".

Il mezzo è inammissibile, risultando completamente omessa la necessaria individuazione del vizio denunciato, tra quelli previsti dall’art. 360 c.p.c. (C. 3722/12).

Esso, inoltre, difetta di autosufficienza, poichè non consente di verificare se la questione, non trattata nella sentenza d’appello, sia stata ritualmente proposta nei gradi di merito.

Infine, senza denunciare eventuale "error in procedendo" ex art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente si dilunga sul merito della questione, peraltro mal posta, stante la non idonea formulazione del quesito di diritto, valendo le stesse considerazioni svolte sul secondo motivo (cfr. sopra sub nn. 3 e 3bis).

6.-Con il quinto motivo, denunciando violazione di legge (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8), la ricorrente contesta l’applicazione di soprattasse e interessi.

Il mezzo è inammissibile poichè, in difetto di autosufficienza, non consente di verificare se la questione, non trattata nella sentenza d’appello, sia stata ritualmente proposta nei gradi di merito.

La questione è, peraltro, mal posta, stante la non idonea formulazione del quesito di diritto (rie. pag. 16), valendo le stesse considerazioni svolte sul secondo motivo.

7.-Conseguentemente il ricorso deve essere rigettato. Il consolidarsi di gran parte della giurisprudenza di legittimità, sui temi controversi, in epoca successiva all’introduzione del giudizio di merito fa stimar equa la compensazione delle spese del presente grado tra le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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