Cass. civ. Sez. V, Sent., 28-06-2012, n. 10821

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 89/36/07, depositata il 12.6.2007, la CTR del Lazio ha accolto l’appello del Comune di Roma nei confronti della MG Adverting S.r.l. avverso la sentenza della CTP di Roma che aveva annullato svariati avvisi d’accertamento, relativi all’imposta sulla pubblicità, per l’anno 2002. I giudici d’appello, per quanto qui interessa, hanno considerato che: 1) l’autorizzazione alla proposizione del gravame, da parte del dirigente del servizio Affissioni e Pubblicità, non era necessaria; 2) la Società non aveva prodotto documentazione relativa alla presentazione della dichiarazione prescritta dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8, nè idonea prova relativa all’utilizzo degli impianti per un periodo inferiore a tre mesi; 3) l’oggetto dell’imposta andava riconosciuto, in base all’interpretazione sistematica dell’intero D.Lgs. n. 503 del 1993, nella disponibilità degli impianti e non nella loro effettiva utilizzazione; 4) l’imposta andava calcolata sulla base della dichiarazione iniziale ed ultrattiva del contribuente, salve le variazioni successive da lui dichiarate o la verifica da parte dell’ufficio.

La Società MG Adverting S.r.l. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, in base ad otto motivi. Il Comune di Roma non ha depositato controricorso. Depositata la relazione ex art. 380 bis c.p.c., la causa è stata rinviata a nuovo ruolo, per consentire la definizione della conciliazione giudiziale. La Società ha, infine, depositato memoria ex art. 378 c.p.c., con allegata documentazione.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente, va rilevata l’inammissibilità del deposito dei documenti allegati alla memoria: non solo, infatti, non risultano osservate le forme prescritte dall’art. 372 c.p.c., comma 2 (ed il Comune non è intervenuto in udienza, cfr., in proposito, Cass. SU n. 450 del 2000, n. 529 del 2003; n. 14657del 2009), ma i documenti non valgono, neppure in tesi, a dimostrare la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso per l’intervenuto perfezionamento della procedura di definizione agevolata, trattandosi delle domande di definizione di lite pendente e di alcuni versamenti, sui quali l’Ufficio non ha tuttavia deliberato, come riferisce la stessa ricorrente; nè tale carenza può esser supplita in questa sede, dovendo la veridicità dei dati in esse assunti e la correttezza dei versamenti esser valutate, in base alla Delib. CC Roma n. 31 del 2009, art. 7, dai "competenti Uffici dell’Amministrazione Comunale" e dovendo il buon esito della procedura constare, giusta il disposto del precedente art. 5, da un atto di rinuncia alla prosecuzione del giudizio, debitamente sottoscritto dalla controparte, per accettazione della richiesta di compensazione delle spese, e, cioè, mediante la presentazione di un atto proveniente dalle parti a ciò legittimate.

2. Col primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 11 e 12, nonchè vizio di motivazione, sottoponendo il seguente quesito: "E’ inammissibile per carenza di potere del dirigente del Comune di Roma del Servizio Affissioni e Pubblicità nel rappresentare l’ente locale la costituzione in giudizio per conto del Comune e la proposizione dell’appello?". 2.1. Il motivo è infondato. Il D.L. n. 44 del 2005, art. 3 bis, comma 1, convertito con modificazioni nella L. n. 88 del 2005, in vigore dal 1.6.2005, ha sostituito il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 3, disponendo che l’ente locale, nei cui confronti è proposto il ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi (o, in mancanza di tale figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa comprendente l’ufficio tributi). Il citato art. 3 bis, estende, poi, col comma 2, ai processi in corso la suddetta disposizione, relativa alla legittimazione processuale dei dirigenti locali. Deve, peraltro, rilevarsi che già lo Statuto del Comune di Roma, (approvato con Delib. Consiliare 17 luglio 2000, n. 122 e successivamente integrato con Delib. 19 gennaio 2001, n. 22), atto normativo di rango paraprimario o sub primario (Cass. SU n. 12868 del 2005), dopo aver previsto, all’art. 24, comma 1, che "Il Sindaco è l’organo responsabile dell’amministrazione del Comune e rappresenta l’Ente", ha riconosciuto la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, stabilendo, appunto, all’art. 34, comma 4, che "I Dirigenti promuovono e resistono alle liti anche in materia di tributi comunali ed hanno il potere di conciliare e transigere".

3. Col secondo motivo, la ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, per non esser stata depositata, presso la CTP, la ricevuta di presentazione del gravame. A conclusione, la ricorrente formula il seguente quesito: "E’ inammissibile per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, l’appello proposto in carenza di deposito della ricevuta di presentazione dell’atto di gravame avanti al Giudice di primo grado?". 3.1. Il motivo è inammissibile, per difetto di autosufficienza, non avendo la ricorrente specificato, in seno al ricorso, che l’appello non era stato notificato a mezzo dell’Ufficiale giudiziario, e cioè il presupposto dell’adempimento asseritamente pretermesso. Al riguardo, va precisato che il potere – dovere della Corte di Cassazione di esaminare direttamente gli atti di causa quando sia denunciato, come nella specie, un error in procedendo, presuppone comunque, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il "fatto processuale" di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Cass. n. 1170 del 2004), in ossequio al principio di autosufficienza secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere tutti gli elementi atti a consentire una cognizione chiara e completa dei fatti di causa, oltre che delle vicende processuali (Cass. n. 2831 del 2009).

4. Col terzo motivo, deducendo "difetto e contraddittorietà di motivazione – violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 8 e 12, la ricorrente evidenzia di aver "dimesso in atti le dichiarazioni di pubblicità inerenti agli impianti di sua proprietà", e, pertanto, da una parte, non poteva trovare applicazione il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8, relativa al diverso caso dell’assenza della dichiarazione, e, dall’altra, l’imposta avrebbe dovuto esser computata a seconda dei periodi di utilizzazione degli impianti D.Lgs. 507 del 1993, ex art. 12, comma 2, vertendosi in ipotesi di affissioni dirette per conto terzi di durata inferiore ai tre mesi. In conclusione, la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: "Sono illegittimi gli atti d’accertamento che richiedono il pagamento dell’imposta di pubblicità annuale per impianto poster adibiti ad affissione di durata inferiore ai tre mesi rientranti nella tipologia di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, e soggetti al pagamento dell’imposta su base mensile a seconda della loro utilizzazione in difetto di contestazione e di prova dell’utilizzazione degli stessi per periodi diversi da quelli dichiarati dal contribuente?" 5. Con il quarto motivo, deducendo vizio di motivazione e violazione dell’art. 2697 c.c., la ricorrente afferma che, nel ritenere carente la prova circa le ragioni addotte per contrastare la pretesa impositiva relativa all’intero anno solare, l’impugnata sentenza ha omesso di rilevare che l’onere di tale prova gravava, invece, sull’Amministrazione, che, peraltro, non aveva riportato alcuna motivazione nè aveva indicato i presupposti di fatto e di diritto sui quali gli avvisi di accertamento si fondavano. In conclusione, la ricorrente formula il seguente quesito:

"Il Comune quale attore sostanziale è tenuto a dare prova del fondamento della propria pretesa di pagamento avanzata con gli avvisi di accertamento evidenziando i presupposti dell’emissione degli atti di recupero e comprovando l’utilizzazione degli impianti per l’intero anno solare o, comunque, in periodi differenti rispetto a quelli dichiarati dal contribuente?" 6. I motivi, che, per la loro connessione, possono esser congiuntamente esaminati, vanno rigettati.

6.1. La CTR ha affermato che "non risulta riversato agli atti alcun documento che comprovi la presentazione della dichiarazione". A fronte di tale accertamento, la ricorrente non specifica affatto quali dichiarazioni avrebbe prodotto, nè, ancora, ne riproduce il contenuto, in tesi riferito a periodi inferiori al trimestre, come avrebbe dovuto in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, e per consentire alla Corte di valutare la decisività dei documenti non esaminati, tenuto conto che il vizio di motivazione per omesso esame di materiale probatorio può comportare la cassazione della sentenza solo nel caso in cui abbia determinato l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, solo quando la prova non valutata (o non ammessa) sia idonea a dimostrare circostanze tali da privare di fondamento la ratio decidendi della sentenza (Cass. n. 11457 del 2007). 6.2. Non constando, dunque, esser state presentate le postulate dichiarazioni di pubblicità, la violazione dei principi legali in tema di ripartizione dell’onere della prova è, in conseguenza, insussistente, avendo l’impugnata sentenza correttamente ritenuto l’imposta dovuta per anno solare, in base al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8, comma 4, secondo cui la pubblicità nel caso, qui ricorrente, di cui all’art. 12, "si presume effettuata in ogni caso con decorrenza dal primo gennaio dell’anno in cui è stata accertata", ed al principio generale dell’annualità dell’imposta, sancito dal successivo art. 9. 6.3. Erroneo è il riferimento ai periodi dell’utilizzazione, avendo questa Corte, da tempo, chiarito (cfr.

funditus Cass. n. 6446 del 2004, ed inoltre, cfr. Cass. n. 109 del 2005; n. 21049 del 2007; 4783 del 2011) che l’oggetto del tributo è costituito dal "mezzo disponibile" e non dal "mezzo disponibile effettivamente utilizzato per la diffusione di messaggi pubblicitari", e, tanto meno, dall’attività di diffusione di tali messaggi, come pare opinare la ricorrente.

7. Col quinto motivo, la ricorrente deduce "difetto e contraddittorietà di motivazione – violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 7, 10 e 12, evidenziando che la CTR ha "apoditticamente e immotivatamente affermato che oggetto dell’imposta è la disponibilità del cartello e non la diffusione del messaggio per sostenere la correttezza del richiesto pagamento annuale motivandolo su questioni di opportunità e libertà economica". In conclusione, sottopone alla Corte il seguente quesito:

"Ingiungere il pagamento dell’imposta di pubblicità indipendentemente dall’esposizione del messaggio e dall’utilizzazione dell’impianto limita la libertà economica della ditta proprietaria dell’impianto stesso con aggravio dei costi di impresa?" 7.1. Il motivo è inammissibile: con esso si prospetta, come chiarito dal quesito che lo conclude, la questione relativa alla violazione della libertà economica che non è affatto trattata nell’impugnata sentenza, che individua correttamente l’oggetto del tributo (qui specificato al punto 6.3) e svolge, ad abundantiam considerazioni che non refluiscono su tale oggetto e che, comunque, non involgono il profilo della libertà di iniziativa economica del proprietario dell’impianto pubblicitario. 7.2. Il dedotto vizio motivazionale è, del pari, inammissibile perchè relativo a valutazioni in diritto e pure privo del momento di sintesi, in violazione dell’art. 366-bis c.p.c..

8. Col sesto motivo, deducendo difetto e contraddittorietà di motivazione – e violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 7, la ricorrente afferma che la sentenza non tiene in considerazione che "proprio nelle dichiarazioni di pubblicità allegate in atti, la società aveva indicato la superficie di mq. 17, e ad essa doveva attenersi l’Amministrazione"; formulando il seguente quesito: "E’ illegittimo l’accertamento che commisura l’imposta alla intera superficie dell’impianto e non tiene conto, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 7, della superficie effettivamente adibita alla pubblicità e come indicata dal contribuente in sede di dichiarazione di pubblicità tassando anche gli elementi strutturali del cartello". 8.1. Il motivo è inammissibile. Il presupposto da cui esso muove è, infatti, costituito dalla presentazione di dichiarazioni aventi specifici contenuti, conformi, al netto delle "cornici" all’effettiva superficie delle figure geometriche in cui erano circoscritti i diversi mezzi pubblicitari. Ma, sulla presentazione delle dichiarazioni, come si è detto al punto 6.1., il ricorso difetta di autosufficienza, difetto che va, a fortiori, rilevato sul contenuto delle dichiarazioni stesse, nè la ricorrente allega di aver dedotto altri elementi probatori a sostegno dell’esistenza e delle dimensioni della supposta cornice che il giudice del merito avrebbe erroneamente omesso di valutare. Del resto, siffatto accertamento sarebbe stato censurabile, solo, sotto il profilo della congruità della motivazione (Cass. n. 1161 del 2008), ed il quesito svolto a conclusione del motivo non contiene; il momento di sintesi, in violazione dell’art. 366 bis c.p.c., ed ulteriore profilo d’inammissibilità. 8.2. La denunciata violazione di legge risulta, in conseguenza, priva di rilevanza.

9. Col settimo motivo, la ricorrente deduce difetto e contraddittorietà di motivazione ed omessa pronuncia sulla "duplicazione degli avvisi di accertamento opposti col ricorso RGR 936/04", avendo affermato di esser proprietaria di "un solo impianto sito in loco". 10. Con l’ottavo motivo, la ricorrente deduce, nuovamente, difetto e contraddittorietà di motivazione ed omessa pronuncia sull’eccezione, da lei sollevata, "di difetto di motivazione degli avvisi per carenza degli elementi essenziali". 11.

I motivi, che, per comodità espositive, vanno congiuntamente esaminati, sono inammissibili perchè entrambi privi sia del quesito di diritto che del momento di sintesi, ed inoltre, per il difetto di autosufficienza, non avendo la ricorrente provveduto a trascrivere la parte rilevante degli atti processuali relativi alle predette questioni.

Il ricorso va, in conclusione, rigettato. Non va emessa statuizione sulle spese del presente giudizio di legittimità, in assenza di attività difensiva da parte del controricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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