Cass. civ. Sez. V, Sent., 28-06-2012, n. 10819 Imposta di pubblicità e affissioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 144/32/06, depositata il 16.11.2006, la CTR del Lazio ha rigettato l’appello della MG Adverting S.r.l. nei confronti del Comune di Roma, avverso diversi avvisi d’accertamento relativi ad imposta sulla pubblicità per l’anno 2001. I giudici d’appello, per quanto ancora interessa, hanno disatteso l’eccezione di decadenza sollevata dalla contribuente, ed hanno ritenuto che il Comune aveva dato prova delle ragioni della pretesa impositiva e determinato correttamente l’imposta, in base al principio generale dell’annualità, tenendo conto della superficie utilizzata, della classificazione delle strade e delle somme già versate, non avendo la concessionaria provato l’avvenuta utilizzazione temporanea dell’impianto.

La Società MG Adverting S.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza con sette motivi, successivamente illustrati da memoria. Il Comune di Roma ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. La produzione documentale depositata dalla ricorrente alla pubblica udienza è inammissibile: non solo non risultano osservate le forme di cui all’art. 372 c.p.c., comma 2 (ed il Comune non è intervenuto in udienza, cfr., in proposito, Cass. SU n. 450 del 2000, n. 529 del 2003; n. 14657del 2009), ma il documento non attiene, neppure in astratto, all’ammissibilità del ricorso, trattandosi, invero, di una circolare del Dipartimento Regolazione e Gestione Affissioni e Pubblicità del Comune di Roma, che detta adempimenti e tempi per completare la procedura di definizione agevolata delle liti, di cui alla Delib. CC n. 31 del 2009, per i contribuenti che avevano tempestivamente presentato istanza di "adesione generica".

2. Col primo motivo, denunciando vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 8 e 10, la ricorrente si duole che la sentenza ha rigettato l’eccezione di decadenza, da una parte, senza valutare che si trattava della presentazione di una nuova dichiarazione, e non della conferma di una precedente, sicchè non operava il principio secondo cui la dichiarazione conserva validità per gli anni successivi, e, dall’altra, confondendo i termini fissati per il pagamento dell’imposta con quelli relativi alla presentazione della dichiarazione di pubblicità. In conclusione, la ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito: "Il Comune è decaduto dal potere di richiedere somme a titolo d’imposta di pubblicità del 2001 oltre il termine biennale di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 10 (coincidente con il 31 dicembre del secondo anno successivo alla dichiarazione di pubblicità che va presentata entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’effettuazione della pubblicità) e che, quindi gli avvisi di accertamento notificati in data 23.1.2003 sono nulli in quanto tardivamente notificati oltre il termine ultimo del 31.12.20022". 2.1. Il motivo è inammissibile. Anzitutto, la circostanza secondo cui sarebbe stata presentata una dichiarazione "nuova contenente l’elenco degli impianti utilizzati nel gennaio del 2001" costituisce un fatto nuovo, che non può esser dedotto in questa sede (nell’atto introduttivo del giudizio e nell’appello, riassunti in seno al ricorso, si postula l’intervenuta decadenza per il decorso del termine biennale dalla data in cui la dichiarazione "doveva esser presentata"). Inoltre, il quesito di diritto è contraddittorio rispetto al contenuto della censura, facendosi in esso riferimento alla data in cui la dichiarazione "va presentata" – id est alla data in cui la dichiarazione avrebbe dovuto esser presentata – e non a quella in cui la presentazione sarebbe di fatto avvenuta, data che, peraltro, non risulta neppure specificata, in violazione del principio di autosufficienza, secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere tutti gli elementi atti a consentire una cognizione chiara e completa dei fatti di causa, oltre che delle vicende processuali (cfr. Cass. n. 2831 del 2009). Va, ad abundantiam, rilevato che un utile rilievo della decadenza implica per il contribuente la dimostrazione che la pubblicità sia stata intrapresa, in assenza di dichiarazione, oltre due anni prima della notifica dell’accertamento: il termine biennale inizia, infatti, il suo decorso al momento del sorgere dell’obbligo della dichiarazione, che il del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8, comma 1, fissa appena "prima di iniziare la pubblicità", senza che possa invocarsi, ai fini in esame, il quarto comma del medesimo art. 8 – secondo il quale, in ipotesi di omessa dichiarazione, la pubblicità si presume effettuata in ogni caso "con decorrenza dal primo gennaio dell’anno in cui è stata accertata"- che attiene, esclusivamente, alla misura del tributo che il contribuente è tenuto a versare (Cass. n. 14483 del 2003; 5486 del 2008; n. 15449 del 2010). 2.2. Il dedotto vizio di motivazione non è corredato del momento di sintesi, in violazione dell’art. 366-bis c.p.c., che trova applicazione anche quando, come nella specie, siano formulate più doglianze nell’ambito di un unico motivo, dovendo, in tal caso, ciascuna di esse concludersi con il quesito o il momento di sintesi che la rappresenta (cfr. Cass. n. SU n. 7770 del 2009).

3. Col secondo motivo, deducendo difetto di motivazione e violazione dell’art 2697 c.c., la ricorrente afferma che, nel ritenere carente la prova circa le ragioni addotte per contrastare la pretesa impositiva relativa all’intero anno solare, l’impugnata sentenza ha omesso di rilevare che l’onere della relativa prova gravava, invece, sull’Amministrazione, che, peraltro, non aveva riportato alcuna motivazione nè aveva indicato i presupposti di fatto e di diritto sui quali gli avvisi di accertamento si fondavano. In conclusione, la ricorrente formula i seguenti quesiti: "Il Comune quale attore sostanziale è tenuto a comprovare la propria pretesa di pagamento evidenziando i presupposti dell’emissione degli atti di recupero e tale omissione rende nulli gli atti di accertamento per carenza di prova? La carenza di motivazione degli avvisi di accertamento li rende nulli per violazione delle disposizioni di cui alla L. n. 241 del 1990 e dello Statuto dei diritti del contribuente?" 3.1. Anche questo motivo va rigettato. In relazione alla prima censura del composito motivo, va osservato che l’impugnata sentenza non ha affatto ribaltato il principio legale sulla ripartizione dell’onere della prova, ma, al contrario, ha confermato la statuizione di rigetto dell’impugnazione della contribuente proprio in applicazione del principio posto dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8, comma 4, secondo cui, in ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione, la pubblicità ordinaria, di cui al precedente art. 12 "si presume effettuata in ogni caso con decorrenza dal primo gennaio dell’anno in cui è stata accertata". L’apprezzamento dei dati fattuali relativi al mancato superamento di tale presunzione, oggetto teorico del dedotto vizio di motivazione, risulta censurato in modo inammissibile, non solo perchè non è stato formulato il relativo momento di sintesi, ma anche perchè i dedotti profili della carenza e della contraddittorietà della motivazione, solamente enunciati, sono rimasti privi di ogni ulteriore esposizione. 3.2. La seconda doglianza è inammissibile. L’impugnata sentenza ha affermato che "gli accertamenti portano … tutti gli elementi utili alla comprensione e valutazione del processo logico giuridico utilizzato per giungere alla determinazione dell’imposta richiesta" mentre la ricorrente, che fa le mostre di non avvedersi di tale accertamento dei giudici del merito, da per assodata l’inesistenza della motivazione degli atti, contrapponendo un’inammissibile diversa interpretazione degli atti stessi, e formulando, per di più, un quesito c.d. circolare (cfr. Cass. SU n. 28536 del 2008); senza dire che il ricorso non riporta, trascrivendolo, il contenuto degli avvisi impugnati, asseritamente carenti di motivazione, in violazione del principio di autosufficienza.

4. Col terzo motivo, la ricorrente eccepisce il difetto di motivazione in cui è incorsa l’impugnata sentenza nel non aver tenuto conto del giudicato formatosi con la sentenza n. 399 del 1999 -con la quale la CTP aveva accolto il suo ricorso per la mancata prova della pretesa tributaria da parte del Comune-formulando il seguente quesito: "E’ nulla e/o illegittima la sentenza che non si attiene al giudicato esterno formatosi sulla compilazione e motivazione degli avvisi di accertamento emessi in materia di imposta di pubblicità e sull’onere probatorio del Comune circa la dimostrazione degli elementi della sua pretesa?". 4.1. Il motivo è inammissibile: la ricorrente non ha precisato quando si sarebbe avuta la formazione del giudicato, di cui la sentenza non parla e di cui non viene trascritto il contenuto, nè quando avrebbe sollevato la relativa questione in sede di merito. Poichè tutto ciò non è stato specificato nel ricorso per cassazione, il motivo è privo di autosufficienza, dovendo, comunque, rilevarsi che il principio (cfr.

Cass. SU n. 13916 del 2006) secondo cui l’efficacia del giudicato si estende oltre il periodo di imposta che ne costituisce lo specifico oggetto vale solo per quanto attiene le qualificazioni giuridiche o altri elementi preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria, e non anche in relazione a fatti (come, appunto, modalità di compilazione e motivazione dei singoli avvisi d’accertamento) non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo.

5. Col quarto motivo (indicato come quinto), la ricorrente, deducendo vizio di motivazione e violazione di legge, lamenta che la sentenza ha errato nel ritenere legittimi i criteri di applicazione dell’imposta, invece che computarla a seconda dei periodi di utilizzazione degli impianti D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 12, comma 2. Sotto altro profilo la ricorrente deduce che la CTR non si è pronunciata sulla violazione del principio di legalità e del favor rei, sancito dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, questione da lei sollevata in seno all’appello. A conclusione del motivo, la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: "sono illegittimi gli atti d’accertamento che richiedono il pagamento dell’imposta di pubblicità annuale per impianti poster adibiti ad affissione di durata inferiore ai tre mesi rientranti nella tipologia di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, comma 2, e soggetti al pagamento dell’imposta su base mensile a seconda della loro utilizzazione?".

5.1. Anche questo motivo va rigettato. 5.2 In relazione alla violazione di legge, va osservato che non constando, secondo quanto sopra esposto al punto 2.1, esser stata presentata la dichiarazione di pubblicità cui la contribuente era tenuta prima di iniziarla, l’impugnata sentenza ha correttamente ritenuto dovuta l’imposta "per anno solare", dovendo richiamarsi al riguardo le considerazioni svolte al punto 3.1. Erroneo è il riferimento ai periodi dell’utilizzazione, avendo questa Corte, da tempo, chiarito (cfr.

funditus Cass. n. 6446 del 2004, ed inoltre, cfr. Cass. n. 109 del 2005; n. 21049 del 2007; 4783 del 2011) che l’oggetto del tributo è costituito dal "mezzo disponibile" e non dal "mezzo disponibile effettivamente utilizzato per la diffusione di messaggi pubblicitari", e, tanto meno, dall’attività di diffusione di tali messaggi, come pare opinare la ricorrente. 5.3. Il dedotto vizio motivazionale è inammissibile perchè relativo a profili di diritto e pure privo di momento di sintesi, 5.4. Del pari inammissibile, perchè attinente a questioni nuove e sprovvista del quesito di diritto, è la prospettata violazione del principio del favor rei, di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3.

6. Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia difetto e contraddittorietà della motivazione per non esser stati affatto considerati, ed in qualche caso erroneamente considerati, i pagamenti effettuati. In conclusione, la ricorrente sottopone il seguente quesito: "E’ nulla e/o illegittima la sentenza che non si pronuncia non motiva e non tiene conto delle prove documentali dimesse in atti e delle eccezioni di pagamento avanzate?". 6.1. Il motivo è inammissibile: la ricorrente non specifica affatto quali documenti sarebbero stati erroneamente non valutati dal giudice del merito, nè riferisce quando li avrebbe prodotti, nè, ancora, ne riproduce il contenuto, come avrebbe dovuto in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, e per consentire alla Corte di valutare la decisività della prova non esaminata, tenuto conto che il vizio di motivazione per omesso esame di prove può comportare la cassazione della sentenza solo nel caso in cui abbia determinato l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, solo quando la prova non valutata (o non ammessa) sia idonea a dimostrare circostanze tali da privare di fondamento la ratio decidendi (Cass. n. 11457 del 2007).

7. Col sesto motivo, la ricorrente deduce "difetto e contraddittorietà di motivazione e violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto", per non avere la sentenza pronunciato in merito all’eccezione di nullità degli atti impugnati sollevata in relazione alla superficie tassata, che avrebbe dovuto esser commisurata, a norma del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 7, con riferimento alla superficie complessiva adibita alla pubblicità, senza il computo della "cornice". A conclusione, la ricorrente sottopone il seguente quesito: "E’ illegittimo l’accertamento che commisura l’imposta all’intera superficie dell’impianto e non tiene conto anche degli elementi strutturali del cartello?". 7.1. Il motivo è inammissibile.

Posto che con esso si deduce un’omessa pronuncia, e cioè un difetto di attività del giudice di secondo grado, il vizio avrebbe dovuto esser fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio di motivazione ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo "error in procedendo" e della violazione dell’art. 112 c.p.c. (cfr. Cass. n. 11844 del 2006; n. 24856 del 2006; n. 12952 del 2007, ord. n. 11142 del 2011).

7.2. Inoltre, il motivo difetta di autosufficienza, non avendo la ricorrente provveduto a trascrivere la parte rilevante degli atti processuali relativi alla predetta questione.

8. Con il settimo motivo, si denuncia "difetto e contraddittorietà di motivazione", non avendo i giudici d’appello pronunciato sui motivi di censura coi quali aveva lamentato l’erronea applicazione delle soprattasse comminate. In conclusione la ricorrente sottopone il seguente quesito: "E’ nulla ed illegittima la sentenza che non si pronuncia sui motivi di censura esposti dalla parte appellante e non valuta che le sanzioni comminate con gli avvisi d’accertamento sono illegittime stante l’intervenuta presentazione della dichiarazione di pubblicità e il pagamento dell’imposta di pubblicità?" 8.1. Anche questo motivo è inammissibile, sia per le considerazioni svolte sub 7.1., in quanto prospetta come vizio di motivazione una denuncia di omessa pronuncia, sia per la novità della questione, che non risulta trattata nell’impugnata sentenza, sia per il difetto di autosufficienza, non essendo riportato il contenuto degli atti relativi alla questione.

Il ricorso va, in conclusione rigettato. La Corte ravvisa giusti motivi, in considerazione della natura della lite e della peculiarità della fattispecie, per compensare, tra le parti, le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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