Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-10-2011) 12-12-2011, n. 45949

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 30.06.2010 la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Varese 30.06.2009, dichiarava non doversi procedere nei confronti di G.T. per essere estinto per prescrizione il reato di lesioni personali in danno di La.Si. a lui ascritto; lo assolveva dal delitto di violenza sessuale in danno di L.G.N. e confermava la condanna alla pena della reclusione inflittagli nel giudizio di primo grado che rideterminava in 4 anni per il delitto di cui all’art. 609 bis cod. pen. in danno di La.Si. che aveva costretto, con violenza colpendola alla testa con una bottiglia, a subire atti sessuali.

La corte territoriale confermava l’affermazione di responsabilità ritenendo credibile la persona offesa le cui dichiarazioni erano intrinsecamente attendibili per coerenza, precisione, persistenza e riscontrate da apporti esterni ed escludeva che talune contraddizioni inerenti a circostanze estranee al nucleo principale della vicenda, segnalate dalla difesa, potessero inficiare il racconto d’accusa.

In particolare, il fatto era avvenuto di notte all’interno di un pub non aperto al pubblico ove, con l’amica L., la La. era stata condotta da tre giovani, incontrati casualmente in un autogrill, per continuare a bere e a sentire musica.

Le ragazze avevano separatamente consumato rapporti sessuali con uno dei tre che verso le sei del mattino si era allontanato.

Subito dopo entrambe avevano manifestato l’intenzione di andar via, ma G., riconosciuto dopo i fatti in fotografia, lo aveva impedito colpendo la La. in testa con una bottiglia di birra e l’aveva costretta a spogliarsi e a subire un rapporto sessuale.

Proponeva personalmente ricorso per cassazione l’imputato denunciando contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla ritenuta attendibilità della persona offesa perchè la ricostruzione dei fatti dalla stessa fatta in dibattimento era imprecisa, non lineare, non coerente col contenuto della denuncia e inficiata da troppi "non ricordo" e, ancora, divergente da quella fatta dalla L..

Le contraddizioni attenevano ad accadimenti che avevano preceduto l’arrivo al pub e a taluni particolari della vicenda (lo svestimento prima del fatto; il numero dei rapporti subiti; l’uso del posacenere come strumento di minaccia; il numero delle birre ingerite nella serata dalla La.; la violenza che avrebbe subito la L., poi ritrattata), mentre nulla era emerso circa sul costringimento della donna che invece era stata consenziente al rapporto sessuale come emergeva dal certificato del Pronto Soccorso che era negativo per lesioni agli organi genitali.

Il ricorrente, poi, ipotizzava un possibile movente calunniatorio costituito dal disappunto delle ragazze per non essere state assunte come baliste del pub ed escludeva che fossero tali i riscontri enumerati dalla corte distrettuale.

Sosteneva ancora il ricorrente:

– che difettava l’elemento psicologico del reato per non avere egli percepito il dissenso della donna alla congiunzione carnale;

– che ricorrevano le condizioni per la concessione dell’attenuante di cui all’art. 609 bis cod. pen., u.c. per la mancanza di una coercizione fisica, di un dolo pieno e di lesioni a livello genitale.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge.

L’obbligo generale della motivazione, imposto per tutte le sentenze dall’art. 426 c.p.p., richiede la sommaria esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata e va rapportato al caso in esame, alle questioni sollevate dalle parti e a quelle rilevabili o rilevate dal giudice.

Tale obbligo è assolto quando il giudice esponga le ragioni del proprio convincimento a seguito di un’approfondita disamina logica giuridica di tutti gli elementi di rilevante importanza sottoposti al suo vaglio, sicchè, nel giudizio d’appello, occorre che la corte di merito esponga compiutamente i motivi d’appello e, sia pure per implicito, le ragioni per le quali rigetti le doglianze.

Il giudice d’appello è, quindi, libero, nella formazione del suo convincimento, d’attribuire alle acquisizioni probatorie il significato e il peso che egli ritenga giusti e rilevanti ai fini della decisione, con il solo obbligo di spiegare, con motivazione priva di vizi logici o giuridici, le ragioni del suo convincimento.

Inoltre, quando "le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza d’appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo" Cassazione Sezione 1^ n. 8868/2000, Sangiorgi, RV. 216906.

Tanto premesso, va osservato che in tema di reati sessuali, poichè la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione dell’attendibilità del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale ossia di merito, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria cfr.

Cassazione Sezione 3 41282/2006, Agnelli, RV. 235578.

Nel caso in esame, la corte territoriale ha ritenuto che gli elementi probatori acquisiti avessero spessore tale da giustificare l’affermazione di responsabilità dell’imputato richiamando le argomentazioni logiche dei giudici del primo giudizio, riferite alla globalità delle prove obiettive raccolte, non inficiate dalle censure difensive segnalate nell’atto d’appello.

Con argomentazioni incensurabili l’attendibilità della persona offesa è stata positivamente vagliata tenendo conto della sostanziale coerenza delle sue dichiarazioni sul nucleo essenziale della vicenda; dei riferimenti oggettivi e soggettivi; dall’assenza di seri e comprovati motivi di astio o di ritorsione nei confronti dell’imputato che non era il gestore del pub in relazione al quale sarebbe stato prospettato un rapporto di lavoro.

L’accusa ha trovato conferma nelle dichiarazioni della L.;

nell’atteggiamento assunto nell’immediatezza dei fatti dalla parte lesa che, sconvolta, ha informato dell’accaduto diversi suoi conoscenti e ha denunciato la mattina successiva i fatti; nelle univoche risultanze delle conversazioni intercettate, di chiaro contenuto ammissivo come diffusamente motivato nella sentenza di primo grado, sia sull’autovettura del giovane che era andato via dal pub sia nel Palazzo di giustizia; nel certificato del Pronto soccorso attestante le lesioni subite per il colpo di bottiglia alla testa a riprova della violenza e dell’attività di costrizione commessa dall’imputato per congiungersi con la vittima dissenziente, donde l’inconsistenza del rilievo sull’elemento psicologico del reato.

Il ricorso, quindi, articola soltanto censure in fatto che distorcono la sostanza del provvedimento impugnato che possiede, in quanto correlato a quello di primo grado, un valido apparato argomentativo del tutto rispondente alle utilizzate acquisizioni processuali.

A fronte di tale obiettiva ricostruzione dei fatti il ricorrente non ha proposto, quindi, seri elementi di contrapposizione, ma ha accampato giudizi d’inverosimiglianza e genetiche censure inammissibili in sede di legittimità.

Nell’ambito degli atti sessuali, che, per il loro inquadramento nella categoria dei delitti contro la persona e più specificamente in quelli contro la libertà individuale, assumono oggettivo connotato di gravità, sono previsti dall’art. 609 bis, comma 3 e dall’art. 609 quater cod. pen., comma 4 casi di minore gravità alla cui individuazione provvede, volta per volta, il giudice di merito, quando sia possibile ritenere, alla stregua del corretto esame dei dati processuali rilevanti e con adeguata motivazione, che la libertà della vittima sia stata offesa in modo non grave, sicchè è rispettata l’esigenza della graduazione della pena, nel rispetto del fine rieducativo cui la pena stessa deve tendere, con riferimento all’entità delle violazioni commesse.

Rilevato che la citata diminuente è stata introdotta al fine di svincolare la valutazione della gravità del fatto dai limiti della materialità della condotta posta in essere, così com’era in precedenza, elevandola a un giudizio più ampio che deve tenere conto di tutte le componenti del caso, va ribadito che "in tema di abusi sessuali, ai fini dell’accertamento detto diminuente del fatto di minore gravità prevista dal’art. 609 bis c.p., comma 3 deve farsi riferimento, oltre che alla materialità del fatto, a tutte le modalità che hanno caratterizzato la condotta criminosa, nonchè al danno arrecato alla parte lesa, anche e soprattutto in considerazione dell’età della stessa o di altre condizioni psichiche in cui versi" Cassazione Sezione 3 n. 972/2000, RV. 215954; conforme Sezione 3 n. 11558/1999, RV. 215077; Sezione 3, n. 47730/2003, El Kabouri, RV. 226865.

Più recentemente questa Corte ha affermato che "gli elementi soggettivi di cui all’art. 133 c.p., comma 2, non rilevano ai fini detta configurabilità dell’Ipotesi di minore gravità del ratio di violenza sessuale, non rispendendo la mitigazione detta pena all’esigenza di adeguamento alla colpevolezza del reo e alle circostanze attinenti alla sua persona ma alla minore lesività del fatto, da rapportare al grado di violazione del bene giuridico della libertà sessuale della vittima" Sezione 3 n. 27272/2010 RV. 247931.

Nelle specie, i giudici di merito hanno correttamente esercitato il loro potere discrezionale negando la diminuente con una motivazione che è congrua poichè hanno indicato gli elementi ritenuti rilevanti e decisivi ai fini sopraindicati l’estrema gravità del fatto commesso dall’imputato del tutto privo del rispetto dovuto alla persona umana, con ciò implicitamente motivando sul grave trauma cagionato alla parte lesa, come costatato dalle persone alle quali ella ha confidato, nell’immediatezza, l’abuso, rimanendo implicitamente superati e disattesi tutti gli altri.

Per l’inammissibilità del ricorso grava sul ricorrente l’onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma che è equo determinare in Euro 1.000.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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