Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-10-2011) 12-12-2011, n. 45985

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro, adito ex art. 309 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza in data 10 gennaio 2011 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con la quale era stata applicata a C.V. la misura della custodia cautelare in carcere in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 (capo 24).

2. Osservava il Tribunale che la misura era stata applicata nell’ambito di un procedimento riguardante un gruppo organizzato, operante nella provincia di Vibo Valentia, dedito al traffico di sostanze stupefacenti incentrato sulla figura di N.A., coinvolto nell’ambito di altro procedimento in una vicenda di usura;

e che le indagini si erano sviluppate attraverso servizi di audio- riprese (che in particolare permettevano di individuare in un capannone ubicato in (OMISSIS), in uso ai fratelli P. e S.B. la base logistica del sodalizio, utilizzata dagli affiliati ad esso per l’occultamente di partite di droga e per la successiva attività di confezionamento), nonchè attraverso intercettazioni di conversazione tra i sodali, progressivamente identificati (evidenzianti chiaramente il loro coinvolgimento nell’illecito traffico, inequivocabilmente riguardante partite di droga), servizi di osservazione di polizia giudiziaria e dichiarazioni testimoniali degli acquirenti, talvolta trovati in possesso di quantitativi di stupefacenti, i quali avevano spesso effettuato individuazioni fotografiche dei cedenti.

3. Con riferimento alla specifica posizione di C.V., il Tribunale, rimandando a una più analitica indicazione degli elementi indiziari alla ordinanza applicativa della misura, rilevava che la partecipazione dell’indagato al sodalizio derivava dalla sua accertata attività di collaborazione con il boss S.P., con il quale aveva continui rapporti per lo smercio delle sostanze stupefacenti. Egli inoltre era solito incontrarsi frequentemente sia con il S. sia con gli altri sodali presso il capannone in Contrada (OMISSIS), ove si riforniva delle sostanze stupefacenti da smerciare sulla piazza, e aveva assidui rapporti con M. A., esponente di spicco del sodalizio, cui indirizzava, in temporanea mancanza di disponibilità di dette sostanze, i tossicodipendenti che a lui si rivolgevano.

Sussistevano poi esigenze cautelari, tali da imporre l’adozione della più grave misura custodiale, in relazione al concreto pericolo di reiterazione criminosa, desumibile dalla gravità dei fatti e dagli stretti collegamenti con ambienti criminali dediti stabilmente al traffico di stupefacenti.

4. Ricorre per cassazione l’indagato, con atto sottoscritto dal difensore avv. Giuseppe Gianzi, il quale deduce i seguenti motivi.

4.1. Violazione dell’art. 273 cod. proc. pen., in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, e vizio di motivazione in punto di sussistenza di una organizzazione criminosa della quale facesse parte l’indagato, avendo il Tribunale svolto al riguardo considerazioni del tutto generiche, senza alcuna specificazione dei ruoli, dei compiti e delle concrete attività svolte dal medesimo, indicato genericamente come pusher e collaboratore del capo S.P..

4.2. Violazione delle medesime norme e vizio di motivazione con riferimento agli elementi indiziari considerati dal Tribunale: la frequentazione dei fratelli S. era in realtà dovuta al fatto del legame parentale e della vicinanza della casa di S.B. alla panetteria gestita dall’indagato; e ugualmente doveva dirsi per la familiarità dimostrata con gli stessi; quanto all’allegato rapporto con M.A., le indagini difensive avevano dimostrato il contrario; e quando all’uso del termine "pitta" in una conversazione intercettata, con esso il C., che faceva il panettiere, non alludeva a sostanze stupefacenti, ma a una forma di pane tipica della regione.

4.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di esigenze cautelari, non avendo il Tribunale alcuna concreta circostanza dalla quale desumere che lo stato di libertà dell’indagato determinasse un concreto pericolo di reiterazione criminosa.

Motivi della decisione

1. Osserva la Corte che il ricorso, al limite dell’ammissibilità, è infondato.

2. Contrariamente a quanto dedotto, la condotta partecipativa al sodalizio svolta dal C. è stata correttamente desunta dalla continua attività di contatto svolta dal medesimo, avendo a base il capannone in Contrada (OMISSIS), con i soggetti acquirenti di sostanze stupefacenti, svolta in connessione con i vertici del sodalizio e in particolare con il capo S.P., risultando così adeguatamente delineato lo specifico ruolo svolto dall’indagato nell’ambito dell’associazione criminosa.

La deduzione difensiva circa la natura non illecita dei rapporti intrattenuti dal C. sia con i fratelli S. sia con l’altro sodale M.A., si fonda su apprezzamenti di fatto, non esaminabili in sede di legittimità.

Le esigenze cautelari appaiono ragionevolmente fondate sulla continuità e gravità dei fatti accertati e sullo stabile collegamento dell’indagato con ambienti criminali dediti al traffico degli stupefacenti.

3. Al rigetto del ricorso consegue a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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