Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 29-09-2011) 12-12-2011, n. 45980 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Cosenza che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato P.M. e B.A. responsabili dei reati loro ascritti, condannandoli alla pena rispettivamente di anni sei e mesi sei di reclusione ed Euro 30.000 di multa e anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 12.000 di multa.

Ad entrambi gli imputati era stato contestato di aver concorso nella detenzione illecita di grammi 636,85 di cocaina, dai quali erano ricavabili circa 556 dosi, e, al solo P., di aver ceduto a R.F. grammi 0,96 di cocaina, pari a circa 2 dosi.

I Giudici di appello esponevano che il P., durante un servizio di osservazione, era stato visto dalle forze dell’ordine cedere al R. una sostanza, poi risultata essere cocaina.

L’osservazione della P.G. consentiva di accertare i successivi movimenti del P.: questi rientrato in casa, ne usciva con un borsone e si dirigeva a piedi verso l’abitazione del B., nella quale si introduceva. Dopo pochi minuti, i militari avevano visto i due imputati uscire insieme, il P. privo del borsone poc’anzi portato con sè. Gli operanti effettuava quindi un controllo nella abitazione del B., dove reperivano in un armadio chiuso a chiave una borsa contenente 11 confezioni di cocaina e materiale vario per il confezionamento di dosi (bilancino, forbici, pellicola trasparente, nastro adesivo) ed in una cassapanca, avvolte in un verbale di perquisizione veicolare dell’autovettura intestata al P., banconote in taglio prevalente di 50 Euro, pari ad Euro 2.700.

In sede di appello, il P. aveva chiesto il riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata recidiva, nonchè l’applicazione di un trattamento sanzionatorio complessivamente più mite, mentre il B. aveva dedotto di essere estraneo alla condotta contestatagli, dovendosi il suo comportamento al più qualificare come favoreggiamento, chiedendo in subordine il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup. ed, in ogni caso, la revoca della confisca della somma rinvenuta nella sua abitazione.

I Giudici dell’appello, quanto al P., affermavano che la marcata pericolosità sociale dimostrata dall’imputato, già portatore di precedenti specifici in epoca prossima ai fatti, non consentiva di escludere la contestata recidiva e conseguentemente di ritenere la prevalenza delle concesse attenuanti generiche;

confermavano inoltre la determinazione della pena inflittagli, in ragione della sua personalità, della gravita dei fatti e dell’intensità del dolo.

Relativamente al gravame del B., la Corte di appello rilevava che l’imputato aveva ammesso in sede di interrogatorio di essersi prestato a custodire per pochi giorni una borsa del P., che si sentiva pressato dalle forze dell’ordine, avendo solo "intuito" che contenesse droga.

Riteneva altresì inverosimile che tra di loro vi fosse un rapporto di semplice conoscenza, come sostenuto dall’imputato, e che il bagaglio fosse stato lasciato al B., senza comunicargli le necessarie cautele per la custodia dell’importante contenuto di droga, considerata anche la circostanza che entrambi gli imputati erano stati visti uscire insieme dall’abitazione del B., subito dopo il deposito della borsa. La sentenza impugnata valutava inoltre prive di fondamento tanto la prospettata riqualificazione del fatto nelle fattispecie di favoreggiamento, tanto la richiesta di riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma 5. cit..

Quanto infine alla somma di denaro, la Corte di merito riteneva che il rinvenimento della stessa nella stessa stanza dove era custodita la cocaina, il frazionamento del denaro, il fatto che le banconote fossero avvolte in un verbale intestato al P., la mancanza di redditi del B. (da anni privo di occupazione), fossero tutti elementi che dimostrassero il collegamento diretto tra il denaro e l’attività illecita posta in essere dal P., risultando inconferenti gli elementi indicati dalla difesa (ovvero che il P. non avesse fatto cenno al danaro in sede di interrogatorio e che le indagini difensive avevano dimostrato piccoli introiti ottenuti dall’imputato per lavoretti svolti a favore di terzi).

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorrono entrambi gli imputati con atti distinti.

P. lamenta:

– con il primo motivo: la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine al diniego della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contesta recidiva. Secondo il ricorrente, risulterebbe assolutamente inidonea la motivazione per la sua genericità ed illogicità.

– con il secondo motivo: il vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena, fondata su un parametro sommario ed inconsistente, quale i precedenti penali riportati dall’imputato, mentre non risulterebbero valutati elementi favorevoli (la giovane età, la condotta carceraria ed il leale comportamento processuale).

B. deduce:

con il primo motivo: la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla esclusione dell’assorbimento della condotta di detenzione dello stupefacente contestata al B. in quella di cessione contestata al coimputato, stante l’unicità del contesto temporale e la funzionalità delle stesse rispetto ad un unitario progetto delittuoso. Tale assorbimento avrebbe comportato che la responsabilità concorsuale del ricorrente andasse ricercata nel contributo di quest’ultimo all’attività di spaccio svolta dal P.. In ogni caso, la responsabilità del B. a titolo concorsuale è stata ritenuta con una motivazione del tutto carente, contraddittoria e manifestamente illogica, omettendo di considerare che i Carabinieri stavano conducendo un’indagine mirata nei confronti del solo P.; che solo costui fu colto nell’attività di spaccio; che sempre quest’ultimo si era assunto ogni esclusiva responsabilità in ordine allo stupefacente sequestrato presso il B.; che due testimoni avevano riferito il tenore e le abitudini di vita del ricorrente.

– con il secondo motivo: la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata qualificazione della condotta contestata al ricorrente nel reato di favoreggiamento, posto che la stessa era unicamente finalizzata a consentire al P. a sfuggire alle indagini e far ritrovare il corpo del reato. Errerebbe la Corte nel ritenere l’aiuto prestato dal B. "in corso d’opera", poichè il P. aveva già commesso il reato di cessione di cocaina quando si era recato dal B.. Risulterebbe contraddittoria la motivazione con riferimento alla ritenuta attendibilità del P. circa la consapevolezza del ricorrente sull’esatto contenuto della borsa trovata presso la sua abitazione, posto che la stessa è priva di riscontri ed è stata valutata in maniera frazionata, rispetto alle dichiarazioni auto-accusatorie dello stesso P..

– con il terzo motivo: la erronea applicazione dell’art. 73, comma 5, T.U. stup., in quanto il fatto doveva essere complessivamente valutato come lieve, considerata la limitatezza ed episodicità.

– con il quarto motivo: il vizio di motivazione e la violazione di legge in ordine alla statuizione della confisca della somma, mancando una correlazione diretta con il reato e travisando le dichiarazioni rese dai testi ascoltati dalla difesa.

Motivi della decisione

1. Entrambi i ricorsi sono da ritenersi inammissibili.

2. Con riferimento al ricorso del P., va rammentato che di recente le Sezioni unite di questa Corte hanno riaffermato l’opzione ermeneutica da tempo condivisa dalla giurisprudenza di legittimità, nel senso che gli effetti della recidiva disciplinata dall’art. 99 cod. pen., commi 1, 2, 3 e 4 non sono svincolati dalle determinazioni assunte dal giudice in relazione al riconoscimento dell’aggravante, ma sono a questo strettamente collegati, così che anch’essi vengono meno quando la circostanza non concorra a determinare l’aumento di pena (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibe, Rv. 247838).

E’ quindi compito del giudice, quando la contestazione concerna una delle ipotesi contemplate dall’art. 99 cod. pen., primi quattro commi, quello di verificare "in concreto" se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosità, tenendo conto della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistente fra loro, dell’eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali.

All’esito di tale verifica al giudice è consentito negare la rilevanza aggravatrice della recidiva ed escludere la circostanza, non irrogando il relativo aumento della sanzione. Qualora la verifica effettuata dal giudice si concluda nel senso del concreto rilievo della ricaduta sotto il profilo sintomatico di una "più accentuata colpevolezza e maggiore pericolosità del reo", la circostanza aggravante opera necessariamente e determina tutte le conseguenze di legge sul trattamento sanzionatorio e sugli ulteriori effetti commisurativi e dunque, nell’ipotesi di recidiva reiterata e per quanto qui rileva in relazione all’oggetto del ricorso in esame, il divieto imposto dall’art. 69 c.p., comma 4 di prevalenza delle circostanze attenuanti nel giudizio di bilanciamento fra gli elementi accidentali eterogenei eventualmente presenti.

Orbene, la Corte di merito nel caso in esame ha fatto buon governo dei suddetti principi, avendo "ritenuto", sulla base dei parametri di cui si è detto, ed "applicato" la recidiva contestata al P., così determinando l’effetto di paralizzare, con il giudizio di equivalenza, l’effetto alleviatore delle circostanze attenuanti generiche.

Quanto alla verifica della significanza della ricaduta, il relativo giudizio non mancante nella motivazione della sentenza impugnata, posto che il giudice si è espresso inequivocabilmente per la evidente gravita del fatto (ben 556,9 dosi di cocaina), capace di suscitare allarme sociale, e per la personalità del P. incline, per i recenti precedenti, alla violazione del precetto penale. Tale giudizio trova conforto in logiche e concrete considerazioni in punto di fatto, non ulteriormente censurabili in questa sede.

Le doglianze proposte in punto di trattamento sanzionatorio sono anch’esse palesemente inammissibili, perchè da un lato pretendono, in sostanza, che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall’ordinamento ai fini della commisurazione della pena; dall’altro, si diffondono in rilievi generici (in quanto privi della necessaria autosufficienza) in rapporto alla motivazione offerta dai giudici a quibus.

La Corte distrettuale ha nel caso di specie assolto l’adempimento motivazionale, in maniera adeguata ed esente da vizi logici e giuridici circa la dosimetria della pena, ritenuta congrua e proporzionata, indicando specificamente quali tra i criteri, oggettivi o soggettivi, enunciati dall’art. 133 cod. pen. siano stati ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio, analizzando espressamente i dati evidenziati dalla difesa.

3. Venendo al ricorso di B., se ne deve constatare l’inammissibilità.

Del tutto priva di pregio giuridico è la tesi sostenuta nel primo motivo di annullamento.

Come già questa Corte ha avuto modo di osservare, il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 costituisce norma a più fattispecie tra loro alternative, con la duplice conseguenza: da un lato, della configurabilità del reato allorchè il soggetto abbia posto in essere anche una sola delle condotte ivi previste; e, dall’altro dell’esclusione del concorso formale di reati quando un unico fatto concreto integri contestualmente più azioni tipiche alternative, nel qual caso le condotte illecite minori perdono la loro individualità e vengono assorbite nell’ipotesi più grave. Tuttavia, per assunto pacifico, perchè ciò si verifichi occorre la presenza di queste circostanze: a) che si tratti dello stesso oggetto materiale; b) che le attività illecite minori siano compiute dallo stesso soggetto che ha commesso quelle maggiori o dagli stessi soggetti che ne rispondono a titolo di concorso; che le condotte siano contestuali e cioè si verifichi il susseguirsi di vari atti, sorretti da un unico fine, senza apprezzabili soluzioni di continuità (per tutte, v., tra le tante, Sez. 4, n. 36523 del 26/06/2008, Baire, Rv. 242014).

Qualora, invece, le differenti azioni tipiche siano distinte sul piano ontologico, cronologico e psicologico, esse costituiscono più violazioni della stessa disposizione di legge e quindi distinti reati; unificabili eventualmente per la continuazione, se commessi dallo stesso soggetto o dagli stessi soggetti in concorso, in presenza del disegno criminoso unitario.

Orbene, nel caso in esame proprio il fatto che le condotte non avevano ad oggetto lo stesso oggetto materiale e non sono maturate in un unico contesto depone per l’esatta contestazione di entrambe le condotte, pur unificate sotto il vincolo della continuazione.

Conseguentemente correttamente è stato contestato al B. il reato di detenzione di cui al capo A) e non la pregressa cessione di cocaina, esclusivamente riferita al coimputato P..

Ne deriva altresì la palese inconferenza della tesi subordinata, prospettata dalla difesa, secondo cui la condotta tenuta dall’imputato configurerebbe al più il reato di favoreggiamento. Il reato di favoreggiamento, infatti, in base all’espressa previsione dell’art. 378 cod. pen. postula che il favoreggiatore non abbia concorso nel reato presupposto (Sez. 6, n. 37170 del 15/04/2008, Cona, Rv. 241209); sicchè tale ipotesi delittuosa non è configurabile nella fattispecie in esame, nella quale i giudici di merito hanno accertato che l’imputato, con la sua condotta, ha concorso nell’illecita detenzione dello stupefacente.

Quanto all’accertato concorso del ricorrente nel reato sub A), le censure mosse dal ricorrente in ordine all’affermazione della sua responsabilità si rivelano inammissibili nella misura in cui dissimulano il tentativo, non consentito in sede di legittimità, di ottenere una diversa e più favorevole valutazione del materiale processuale, ponendo in luce aspetti della vicenda che non sono stati affatto trascurati dal giudice di merito, ma bensì considerati non significativi al fine di poter escludere la responsabilità del prevenuto.

La Corte di merito ha fatto corretta applicazione del pacifico principio, ripetutamente espresso da questa Corte, secondo cui la distinzione tra l’ipotesi della convivenza non punibile ed il concorso nel delitto va ravvisata nel fatto che mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso è richiesto un contributo che può manifestarsi anche in forme che agevolino la detenzione, l’occultamento ed il controllo della droga, assicurando all’altro concorrente una certa sicurezza o comunque garantendogli, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare (tra le tante, Sez. 6, n. 14606 del 18/02/2010, lemma, Rv. 247127).

La sentenza impugnata ha ritenuto, sulla base di precisi elementi indiziari (tra le quali, in particolare, le stesse ammissioni del ricorrente fatte nell’interrogatorio), la consapevolezza del B. di contribuire, attraverso la custodia del prezioso carico nella propria abitazione, di agevolare la detenzione del coimputato, consentendo l’occultamento della droga e assicurando all’altro concorrente una relativa sicurezza. In siffatta condotta sono invero ravvisabili entrambi gli elementi del concorso nel reato, sia quello soggettivo, consistente nella consapevolezza di apportare un contributo causale alla detenzione della droga, sia quello oggettivo della connessione tra condotta ed evento.

Inammissibili, nella misura in cui sollecitano una diversa valutazione delle risultanze processuali, si rivelano parimente le censure relative al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. La Corte di merito ha evidenziato che il quantitativo considerevole di droga sequestrata impediva di definire come "lieve" il fatto addebitato al B..

Questa Corte ha ripetutamente affermato, anche recentemente a Sezioni unite, che la circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, cit. può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911).

Non meritano migliore sorte le doglianze relative alla statuizione della confisca della somma di danaro, nella parte in cui, pur presentate come doglianze volte a censurare il vizio della motivazione, prospettano una inammissibile richiesta di rivalutazione del merito delle emergenze processuali. La Corte di merito ha, con motivazione adeguata e priva di vizi logico-giuridici – e pertanto incensurabile in sede di legittimità – indicato gli elementi posti a fondamento della sua decisione, dimostrativi del collegamento diretto tra il denaro rinvenuto presso l’abitazione del B. e l’attività illecita svolta dal P. (quali il frazionamento del danaro, la loro custodia all’interno di un verbale intestato al P., la contestuale presenza dello stupefacente, l’entità della somma rispetto al reddito del B.), confutando analiticamente gli argomenti prospettati dalla difesa in sede di gravame.

4. All’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e ciascuno di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000.

P.Q.M.

Dichiara i ricorsi inammissibili e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 1.000 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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