Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 29-09-2011) 12-12-2011, n. 45979

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, che aveva dichiarato N.G. e R.G. responsabili del reato di concorso nella detenzione illecita di grammi 433 di marijuana e grammi 2 di cocaina, condannandoli alle pene ritenute di giustizia.

Esponevano in fatto i Giudici dell’appello che il 23 maggio 2009 una pattuglia dei Carabinieri di Torre Annunziata aveva notato un ragazzo, in atteggiamento di vedetta che, alla loro vista, si era allontanato dileguandosi in via (OMISSIS). I Carabinieri avevano deciso quindi di effettuare un controllo al civico n. (OMISSIS) della suddetta via (OMISSIS) al pianerottolo del secondo piano dell’immobile si erano imbattuti in una persona, di seguito identificata in N.G., che stava scendendo le scale provenienti dal lastrico solare, posizionato al piano superiore.

A seguito di ispezione del suddetto terrazzo, i militari avevano rinvenuto lo stupefacente di cui al capo di imputazione – la marijuana, custodita in sacchetti di plastica, e la cocaina, divisa in dieci bustine di cellophane -, occultato all’interno di una cuccia per cani, nonchè oggetti idonei al confezionamento di dosi di stupefacente (nastro adesivo, cucitrice, bilancino, bustine di cellophane).

I Carabinieri avevano sottoposto a controllo anche l’appartamento posto al secondo piano del palazzo, abitato dal N. e dalla convivente R.G., nel quale erano riusciti ad entrare solo dopo aver ripetutamente bussato alla porta. Nell’appartamento, i militari avevano percepito un intenso odore di marijuana e avevano visto la R. disfarsi di un involucro di plastica di grosse dimensioni, che veniva lanciato dalla finestra e raccolto da un ragazzino che si era dileguato, dopo aver fatto un cenno di intesa alla donna.

In prime cure, il Tribunale aveva ricondotto lo stupefacente in sequestro agli imputati, evidenziando che: il palazzo era abitato soltanto da una signora anziana al primo piano e dagli imputati, che occupavano un alloggio al secondo piano, direttamente sottoposto al terrazzo; nell’appartamento degli imputati era stato percepito dai militari un forte odore di marijuana; l’imputato N. aveva avuto il tempo di occultare la droga sul terrazzo; e la R. era stata vista disfarsi repentinamente all’arrivo degli operanti di un involucro, gettandolo dalla finestra.

In sede di appello, gli imputati avevano dedotto una errata ricostruzione degli eventi, contestando in particolare che quanto rinvenuto sul terrazzo fosse a loro riconducibile.

La Corte di appello rigettava gli appelli, rilevando, quanto al N., che il terrazzo era appena sovrastante l’abitazione degli imputati e che la vedetta notata dagli operanti sulla strada aveva lanciato un segnale che aveva consentito all’imputato di recarsi sul terrazzo, percorrendo la rampa di appena 15 gradini, e di tornare sul pianerottolo pressochè contemporaneamente agli operanti.

Circa l’esatto posizionamento del N. all’arrivo dei Carabinieri, la Corte territoriale affermava che, benchè costui non fosse stato visto scendere la rampa che conduceva al terrazzo, era emerso dalla deposizione del m.llo P. che era stato sorpreso con le spalle a tale rampa, nella posizione di chi scende le scale.

I Giudici di merito escludevano che altri avessero potuto occultare lo stupefacente, sul rilievo che il N. era stata l’unica persona trovata sul pianerottolo e che era impensabile che la droga potesse essere lasciata incustodita da altri in un luogo dove poteva essere facilmente reperita (i Carabinieri avevano scoperto lo stupefacente dopo pochi minuti). A ciò doveva aggiungersi l’insostenibile versione fornita in udienza dall’imputato, che lungi dallo spiegare la sua presenza sul pianerottolo, aveva sostenuto che al momento dell’arrivo dei Carabinieri stava dormendo.

La Corte di merito riteneva altresì infondate le critiche difensive mosse dalla R. in ordine al ritenuto concorso nella detenzione dello stupefacente collocato sul terrazzo, posto che era risultato provato che gli operanti avevano avvertito un intenso odore di marijuana nell’appartamento occupato dalla predetta e che l’imputata aveva esitato prima di aprire la porta ai Carabinieri. Il quadro probatorio risultava rafforzato anche dal comportamento della donna, che era stata vista chiaramente disfarsi di un pacco di un certo peso e non certo un mozzicone, come dalla stessa affermato.

I Giudici dell’appello ritenevano infine corretta l’esclusione dell’attenuante di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup., in considerazione della quantità dello stupefacente, delle modalità della condotta e del possesso di oggetti per la preparazione ed il confezionamento di dosi. Sulla base della gravita del fatto, desunta dalle suddette emergenze, e del comportamento processuale di entrambi gli imputati, la Corte giudicava costoro non meritevoli delle attenuanti generiche e altresì congrua la pena inflitta in primo grado, alla luce dei dettami dell’art. 133 cod. pen., considerato in particolare l’allarme sociale suscitato dal fatto contestato.

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorrono per cassazione entrambi gli imputati con atti distinti.

Nell’interesse del N., il difensore di fiducia deduce il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), poichè la Corte di merito avrebbe motivato il proprio convincimento sulla base di congetture, non valutando correttamente i dati oggettivi emergenti dalla istruttoria dibattimentale e non fornendo risposta adeguata alle censure ed ai rilevi difensivi. I giudici avrebbero attribuito all’imputato il possesso dello stupefacente rinvenuto nella cuccia, sulla base di considerazioni illogiche e contrastanti con le risultanze processuali. L’imputato non sarebbe stato trovato in casa della R., nè risulterebbe dimostrato che scendesse le scale dal piano superiore (e a tal fine allega i verbali dibattimentali), ma venne trovato sul pianerottolo della abitazione della convivente.

Pertanto, la conclusione che era stato il ricorrente a posizionare la droga nella cuccia all’arrivo delle forze di polizia risulterebbe del tutto illogica. Inoltre, la circostanza che la R. si sarebbe disfatta di un involucro, gettandolo dalla finestra ad un ragazzo, smentirebbe, secondo il ricorrente, l’assunto che lo stupefacente fu occultato dal N.. Risulterebbe ignorato altresì il fatto che il palazzo in questione era abitato da altre persone e che il terrazzo dove era stato rinvenuto lo stupefacente era facilmente accessibile anche dagli edifici confinanti.

Con due atti distinti, i difensori di fiducia di R. denunciano l’illogicità della motivazione e la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen..

Si sostiene che l’attribuzione all’imputata della responsabilità per la detenzione della sostanza rinvenuta sul lastrico solare risulterebbe fondata su mere congetture e presunzioni del tutto sganciate da elementi fattuali. Non risulterebbe accertato il contenuto dell’involucro che la donna avrebbe gettato dalla finestra, nè nella casa furono trovati segni dell’attività di spaccio, se non il forte odore di marijuana. Eppure la Corte sarebbe pervenuta all’affermazione che l’involucro contenesse verosimilmente un ingente quantitativo di marijuana.

Si lamenta altresì il vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, in ordine alla quale non risulterebbe fornita dalla sentenza impugnata alcuna spiegazione logica e plausibile, e la carenza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, del quale nei motivi di appello si censurava la gravosità.

Motivi della decisione

1. I ricorsi sono da ritenersi entrambi inammissibili.

2. Quanto al ragionamento seguito dai Giudici di merito per individuare la responsabilità degli imputati, entrambi i ricorrenti tendono in realtà con le loro censure a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto ed all’apprezzamento del materiale probatorio, rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito e adeguatamente valutati, sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello, le cui decisioni si integrano fra di loro a formare un complesso sistema motivazionale, connotato da completezza di esposizione del risultato probatorio e di complessiva coerenza. La Corte di legittimità non può essere chiamata a condividere il ragionamento giustificativo della decisione impugnata, potendo solo verificare se sia, come nel caso in esame, sorretto da validi elementi dimostrativi e non abbia trascurato elementi in astratto decisivi, sia compatibile con il senso comune e, data come valida la premessa in fatto, sia logico. In altri termini, se sia esauriente e plausibile.

La Corte di appello ha rilevato, con adeguata spiegazione, i dati di fatto che sostenevano la sua decisione – come in narrativa esposto in sintesi e nei suoi punti più salienti. Il ragionamento probatorio si rivela articolato, con rigore argomentativo dapprima sulle ragioni, per le quali i fatti non potessero essere ricostruiti nel senso indicato dagli imputati e poi sulle risposte ai punti critici della ricostruzione operata dal giudice di primo grado.

Quanto in particolare al dato che il ricorrente N. sostiene essere stato travisato dalla Corte di merito – ovvero che l’imputato stesse scendendo le scale al momento in cui fu trovato dai Carabinieri sul pianerottolo antistante la sua abitazione -, è sufficiente osservare, come già riportato in premessa, che la sentenza impugnata ha correttamente rappresentato il contenuto della testimonianza del m.llo P., che si era limitato ad affermare di aver sorpreso il N. sul pianerottolo con le spalle alla rampa che conduceva al terrazzo. Da tale circostanza, la Corte ha poi tratto il convincimento – per nulla illogico – che, stante il posizionamento dell’imputato, costui stesse scendendo le scale.

Pertanto, siamo fuori dall’ipotesi del vizio del cd. travisamento della prova, di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come novellato dalla L. n. 46 del 2006, art. 8, al quale è estraneo ogni discorso confutativo sul "significato della prova". Gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono infatti interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e che, pertanto, restano inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio.

Con riferimento alla richiamata deposizione del tenente P., il ricorso di N. appare generico, perchè privo della richiesta autosufficienza.

Contrariamente all’assunto del ricorrente N., la circostanza che il luogo in cui era stato occultato lo stupefacente fosse accessibile da estranei non risulta affatto ignorata dalla Corte di merito nella ricostruzione della vicenda (cfr. pag. 5 della sentenza di appello). La Corte distrettuale ha infatti ritenuto inverosimile – proprio per la sua facile accessibilità – che la cuccia del cane fosse stata utilizzata da alcuno estraneo al palazzo come stabile luogo di custodia del prezioso carico.

Quanto alle doglianze della R., oltre a quanto già osservato, va aggiunto che esse appaiono manifestamente infondate nella parte in cui si appuntano sul contenuto dell’involucro gettato dall’imputata alla vista dei Carabinieri. Il ricorso sembra non tenere in debito conto la motivazione della sentenza impugnata, che non ha affatto affermato che il pacco contenesse stupefacente, ma ha soltanto valutato come elemento significativo nella ricostruzione della vicenda l’oggettivo comportamento della donna, così come obiettivamente osservato dagli operanti.

3. Manifestamente infondate sono altresì le censure di R. sul trattamento sanzionatorio.

La sentenza impugnata ha motivatamente ritenuto l’imputata non meritevole delle circostanze attenuanti generiche, con valutazione di fatto non sindacabile in questa sede di legittimità, facendo riferimento sia alle circostanze sintomatiche della gravita del fatto – già valorizzate per escludere l’attenuante di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup., ovvero l’oggetto del reato (un consistente quantitativo di stupefacente), le modalità della condotta (utilizzazione di vedette) ed il possesso di oggetti per la preparazione ed il confezionamento di dosi, denotanti un’attività continuativa di spaccio e la capacità di rifornirsi agevolmente di stupefacente, con inevitabili collegamenti con ambienti criminali – sia al comportamento processuale tenuto dalla imputata.

Tali elementi, indicati dall’art. 133 cod. pen. quali parametri per la determinazione della misura della pena, sono stato altresì richiamati dalla Corte di appello per ritenere congrua la pena inflitta in prime cure. E’ principio più volte affermato da questa Corte, al quale questo Collegio aderisce, il giudice del merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione: tale valutazione, infatti, rientra nella sua discrezionalità e non postula una analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, Gasparri, Rv. 239754).

4. All’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e ciascuno al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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