Cass. civ. Sez. V, Sent., 28-06-2012, n. 10807 Accertamento Aliquota Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato all’AGENZIA delle ENTRATE, P. A. – premesso che il giorno "8 luglio 2008" l’Ufficio, in riferimento all’atto del "28 dicembre 2006" con cui egli aveva acquistato dalla "Lemayr di Pellegrini & Lemayr s.n.c. un’ unità immobiliare sita in Bolzano" nel quale (atto) era "indicato che… il trasferimento ha per oggetto una casa di abitazione non di lusso", aveva notificato a lui, "ed inspiegabilmente non alla parte venditrice", un "avviso" di "revoca dell’aliquota agevolata del 4% prevista per l’acquisto di case di abitazione non di lusso, di cui alla Tabella A, parte seconda, n. 21 allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, per violazione… dell’art. 1, nota 2 bis, della Tariffa parte prima allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, unità con superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (D.M. 2 agosto 1969 abitazioni di lusso)", con "liquidazione" dell’"imposta sul valore aggiunto nella misura ordinaria" -, in forza di quattro motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 17/01/10 della Commissione Tributaria di Secondo Grado di Bolzano (depositata il 2 febbraio 2010) che aveva accolto solo per quanto riguarda le "sanzioni" il suo appello avverso la decisione (46/01/09) della Commissione Tributaria di primo grado di quel capoluogo la quale aveva rigettato il ricorso.

Corte Suprema di Cassazione R..G. n. 21893/10 – 3/22 – L’Agenzia instava per il rigetto dell’impugnazione e spiegava ricorso incidentale per un solo motivo.

Il ricorrente controdeduceva eccependo l’inammissibilità del gravame per carenza di sottoscrizione dell’atto che lo conteneva.

Motivi della decisione

p.1. La sentenza impugnata.

La Commissione Tributaria di secondo grado ha accolto l’appello del contribuente sol quanto alle "sanzioni" (dichiarandole "non dovute") osservando:

– nell’"avviso di liquidazione… è stato chiaramente enunciato il motivo della revoca dell’agevolazione…, identificato nel superamento del limite di superficie di mq. 240 dell’immobile…, oltre il quale ai sensi del D.M. 2 giugno (recte: agosto) 1969…

un’abitazione non può essere considerata non di lusso e fruire del trattamento agevolato";

– "l’insussistenza (originaria o sopravvenuta) delle condizioni agevolative impone il ripristino della corretta tassazione dell’atto" per cui "la riliquidazione dell’imposta va operata in ogni caso e quindi anche al di fuori delle ipotesi di dichiarazione mendace… ";

– "tale operazione interpretativa, ammissibile in relazione al debito di imposta, non lo è per il trattamento sanzionatorio, ostandovi il principio… per cui una condotta è sanzionatile solo se corrisponde pienamente al fatto tipico per il quale la sanzione è apprestata":

"s’impone, pertanto,… l’annullamento dell’avviso di liquidazione nella parte in cui ha irrogato la sanzione amministrativa" in quanto va "escluso… che l’acquirente debba attestare che l’immobile acquistato non costituisce abitazione di lusso" (di tal che "l’accertamento del contrario non può comportare sanzione alcuna");

– "non vale opporre che a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 11, comma 1, è il cedente il soggetto passivo dell’IVA in quanto per il principio della rivalsa l’imposta va addebitata al cessionario", "tanto più nel caso di un regime agevolato, del quale beneficia non certo il venditore, ma il compratore";

– dall’"accertamento tecnico eseguito dall’Agenzia del Territorio…

è emerso che la p.e. 4862 (casa di abitazione composta da due piani fuori terra e un piano interrato) ha una superficie utile complessiva di mq. 277,15 di cui mq. 100,20 al piano terra, mq. 75,50 al primo piano e mq. 101,45 al piano interrato (con più vani adibiti a sale hobby, come tali indicate sia nel progetto che nelle planimetrie depositate al catasto urbano)": "riferendosi la norma alla superficie utile, ossia in concreto fruibile, non rileva… che l’area del piano interrato che ha concorso al superamento del limite dei 240 mq. non sia abitabile in senso stretto"; "oltretutto, detti locali rientrerebbero comunque nei parametri stabiliti dal regolamento edilizio… per le abitazioni";

– "nessuna rilevanza, infine, può annettersi al fatto che il fabbricato… sia stato realizzato in zona di verde agricolo e trasformato l’abitazione convenzionata" ("la cui cubatura doveva…

essere destinata alla costruzione di soli alloggi non aventi caratteristiche delle abitazioni di lusso") e che "ad eguale condizione sia stata subordinata la concessione edilizia" perchè "evidentemente tali prescrizioni, alla stregua dell’accertamento dell’Agenzia del Territorio, sono rimaste inosservate".

p.2. Il ricorso del contribuente.

Questi censura la decisione per quattro motivi:

(1) "violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 11, e del D.P.R. n. 131 n. 1986, art. 1, nota 2 bis, comma 1, lett. a), b), c) e comma 4, in relazione al punto n. 21 della Tariffa, parte seconda, allegata al D.P.R. n. 633 del 1572" sostenendo la "soggettività passiva" in ordine al "recupero dell’agevolazione applicata… sulla transazione immobiliare" della venditrice e non di esso acquirente;

(2) "violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1, e D.P.R. n. 633 del 1912, art. 56, comma 5", per "intrinseca insufficienza della motivazione del provvedimento impositivo… in quanto… inidonea a palesare le ragioni che, in fatto ed in diritto, aveva condotto al disconoscimento dell’agevolazione";

(3) "violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1, e D.P.R. n. 633 del 1912, art. 56, comma 5, in relazione al D.P.R. 1972 (adde: n. 633) art. 11", assumendo che la "erronea applicazione, da parte dell’ente impositore, di una normativa diversa da quella pertinente" ("il comma 4 della nota 2 bis all’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986… volta ad individuare il soggetto passivo dell’imposta") "determinava… che la pretesa impositiva fosse…

illegittima per infondatezza sostanziale" e "comportava, congiuntamente, l’invalidità del provvedimento amministrativo per difetto di motivazione";

(4) "violazione e falsa applicazione del combinato disposto del punto 21 della Tariffa, parte seconda, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, del D.M. 2 agosto 1969, e dell’art. 24 del Regolamento Edilizio del Comune di Bolzano" ("approvato… con delibera n. 117 del… 2006") propugnando che "ai fini della determinazione della superficie utile a classificare un immobile quale abitazione di lusso" deve essere "considerata solo la superficie che poteva essere considerata "abitabile" sulla base della vigente normativa urbanistica".

p.3. Il ricorso incidentale dell’Agenzia.

L’ente, a sua volta, denunzia (invocando "la sentenza n. 7163/2007" di questa Corte) "violazione dell’art. 1, comma 4, nota 2 bis della parte prima della tabella allegata, D.P.R. n. 131 del 1986, e Tabella 2, punto 21 del D.P.R. n. 633 del 1972" assumendo che la "sanzione" prevista per le "dichiarazioni mendaci" deve essere "applicata non soltanto quando le dichiarazioni mendaci abbiano avuto ad oggetto i tre specifici elementi di cui alle… lettere a), b) o c) ma ogniqualvolta si tratti di dichiarazioni mendaci che per avere affermato che il bene era non di lusso, abbiano direttamente condotto alla sottoposizione dell’atto ad un’ aliquota inferiore a quella applicabile".

p.4. Le ragioni della decisione.

p.4.1 Sul ricorso principale.

Il gravame del contribuente – corretta e/o integrata, con le osservazioni che seguono, la motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 384 c.p.c. – è infondato.

A. Sul primo (e, per i conseguenti riflessi) sull’afferente profilo del terzo motivo ("l’Ufficio… avrebbe dovuto… notificare l’atto impositivo all’impresa… cedente") va ribadito che (Cass., trib., 29 dicembre 2010 n. 26259, non considerata nelle memorie depositate) l’oggettiva inapplicabilità ad una "casa… di lusso" dell’"agevolazione" (nel caso, giusta il n. 21 della "parte seconda" della "tabella A" allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dell’"aliquota del 4%") non costituisce ostacolo all’applicazione del disposto finale di detta norma secondo cui "in caso di dichiarazione mendace nell’atto di acquisto, ovvero di rivendita nel quinquennio dalla data dell’atto, si applicano le disposizioni indicate" nella "nota 2 – bis) all’art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131", in particolare, quindi, della disposizione dettata dal comma 4 di detta "nota 2 bis)" la quale, "in caso di dichiarazione mendace", dispone specificamente che "se si tratta di cessioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, I’ ufficio dell’Agenzia delle entrate presso cui sono stati registrati i relativi atti deve recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, nonchè irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30 per cento della differenza medesima…".

La peculiare disposizione, invero, al pari della analoga (contenuta nel medesimo comma 4 della nota 2 bis) in ipotesi di non spettanza delle agevolazioni dell’imposta di registro chieste per la identica "finalità" (agevolare l’acquisto della c.d. "prima casa"), regola tutte le ipotesi di accertata non spettanza del beneficio fiscale (sia che si tratti di Imposta sul Valore Aggiunto che di imposta di registro) perchè per "dichiarazione mendace" deve intendersi ogni e qualsiasi richiesta di fruizione del beneficio in difetto delle condizioni, soggettive ed oggettìve, previste dalla legge.

In particolare (anche quanto all’IVA) va evidenziato che l’applicazione dell’aliquota ridotta non costituisce affatto un obbligo del venditore (nè, tanto meno, dell’Ufficio) ma (solo) un diritto soggettivo dell’acquirente, la cui fruizione è subordinata soltanto alla manifestazione (espressa nell’atto di acquisto) della sua volontà di fruire di quella riduzione: tale richiesta, pertanto, suppone necessariamente la "dichiarazione" dell’acquirente (contribuente) della sussistenza di tutte le condizioni contemplate dalle specifiche norme per godere dell’agevolazione.

La presenza della "dichiarazione", come noto, consente all’Ufficio solo di riscuotere le imposte di registro nella misura prevista dal beneficio (salvo il successivo esercizio del potere di negarne la spettanza): parimenti, in ipotesi di "cessioni soggette all’imposta sul valore aggiunto", la medesima "dichiarazione" impone al venditore di applicare l’aliquota ridotta non avendo egli (in assolta carenza di specifico disposto normativo) nessun potere giuridico nè di contrastare l’afferente manifestazione di volontà dell’acquirente di volersi avvalere del beneficio fiscale nè, comunque, di verificare la sussistenza delle condizioni di legge per il riconoscimento del beneficio stesso.

La "dichiarazione" dell’acquirente di voler fruire del beneficio fiscale, invero, istituisce un rapporto giuridico diretto ed esclusivo tra l’acquirente stesso e l’amministrazione finanziaria in ordine al quale non assume nessun rilievo il regime giuridico proprio dell’imposta per cui, in ipotesi di soggezione dell’atto all’IVA, la soggettività passiva esclusiva del venditore non rileva perchè tale qualità impone al venditore medesimo unicamente di assoggettare l’operazione economica al regime agevolato richiesto (potestativamente) dall’acquirente.

Proprio in considerazione di tanto il comma 4 della richiamata nota 2 bis) impone ("deve") all’"ufficio dell’Agenzia delle entrate presso cui sono stati registrati i relativi atti" di "recuperare nei confronti degli acquirenti" (non dei venditori, avendo questi esaurito il rispettivo rapporto tributario assoggettando l’atto all’aliquota ridotta conseguente alla richiesta dell’acquirente) (1) "la differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata" e (2) di "irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30 per cento della differenza medesima".

Dalla innanzi evidenziata carenza, in capo alla venditrice, di qualsiasi potere giuridico di impedire la manifestazione di volontà dell’acquirente di voler beneficiare dell’aliquota d’imposta agevolata discende l’irrilevanza delle osservazioni del ricorrente secondo cui (a) "il non aver costruito il fabbricato secondo i dettami del D.M. 2 agosto 1969 … non è riconducibile ad un comportamento doloso dell’acquirente ma costituisce la violazione di un obbligo a cui era… tenuto il venditore-impresa costruttrice" e (b) "l’acquirente era ben certo che l’immobile non fosse di lusso in quanto costruito… in regime di edilizia convenzionata,… che escludeva in nuce la possibilità di erigere abitazioni di lusso" atteso che quella "violazione" e il "regime" richiamato, ov’anche sussistenti, non influiscono in alcun modo sul rapporto tributario perchè questo trova la sua unica fonte nel negozio traslativo del bene (considerato nella sua consistenza oggettiva), che ne costituisce l’unico presupposto normativo.

B. La censura svolta nella seconda doglianza (come nel connesso profilo del successivo motivo di ricorso) – fondata sulla assunta "intrinseca insufficienza della motivazione del provvedimento impositivo… in quanto… inidonea a palesare le ragioni che, in fatto ed in diritto, aveva condotto al disconoscimento dell’agevolazione" – è, in primo luogo, inammissibile perchè in nessun punto della decisione impugnata si riscontra (nè il ricorrente la evidenzia) una effettiva "violazione e falsa applicazione", da parte del giudice di appello, delle norme invocate dal contribuente ("L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5") atteso che il genus di vizio denunziato (art. 360 c.p.c., n. 3) "consiste" (Cass., 3^, 27 settembre 2011 n. 19748, che, definito "assolutamente pacifico" il principio, richiama "in termini, ad esempio, Cass. 20 aprile 2011, n. 9117; Cass. 12 aprile 2011, n. 8410; Cass. 31 marzo 2011, n. 7459; Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonchè Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione;

Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime") unicamente "nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di cassazione)"; "viceversa, la allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esalta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione" ("lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa"): la inidoneità (per "insufficienza") della "motivazione del provvedimento impositivo", (unica ragione) addotta dal ricorrente a fondamento della doglianza, inerisce univocamente soltanto al contenuto concreto ("disconoscimento dell’agevolazione") dell’atto qui impugnato e, quindi, all’evidenza, involge non già la "ricognizione della fattispecie astratta" sottesa alla decisione impugnata sul punto ma unicamente la contestazione della "ricostruzione della fattispecie concreta" (per la ritenuta idoneità e sufficienza della motivazione).

Il motivo, peraltro e comunque, è privo di fondamento anche perchè, come già precisato da questa Corte (Cass., trib., 18 dicembre 2009 n. 26671, tra le ultime, in consonanza con "Cass. n. 26458 del 2008;

Cass. n. 27653 del 2005; Cass. n. 13094 del 2002") "la verifica dell’osservanza dell’obbligo dell’Ufficio finanziario di indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche del proprio atto va riscontrata non in astratto, ma alla luce delle finalità che tale obbligo è chiamato ad assolvere ravvisabili, da un lato, nel mettere a conoscenza il contribuente dell’an e del quantum della pretesa fiscale, anche per consentirgli eventualmente di difendersi in modo adeguato, e, dall’altro, di delimitare le ragioni dell’Ufficio nella successiva ed eventuale fase contenziosa": nel caso, considerate le "finalità" proprie del concreto atto impositivo, è agevole constatare l’assoluta, oggettiva irrilevanza degli elementi fattuali ("a guanto ammontasse la superficie stimata dell’immobile";

"indicazione di quale parte dell’immobile era stata rilevante ai fini della determinazione della categoria lusso e quale… ne fosse stata esclusa") dei quali il ricorrente lamenta l’omessa "esplicitazione nella parte motiva del provvedimento" (affermando che "gli aspetti.., evidenziati dovevano necessariamente essere oggetto di apposita esplicitazione nella parte motiva del provvedimento") atteso che (1) la "superficie stimata dell’immobile" (rilevante ai fini del sorgere della pretesa impositiva) è stata compiutamente indicata (come riferisce lo stesso ricorrente) nella frase dell’atto impositivo "unità con superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (D.M. 2 agosto 1989) abitazioni di lusso" e (2) non è stata "esclusa" nessuna "parte dell’immobile".

La indicazione della "fonte di prova" della "qualificazione… che aveva condotto al disconoscimento del trattamento agevolato" – peraltro (nel caso) in re ipsa (discendendo quella "qualificazione" dal mero dato numerico della superficie dell’"abitazione") -, infine, non costituisce elemento necessario della motivazione dell’atto impositivo perchè la "prova" del fondamento della pretesa fiscale contenuta in detto atto attiene soltanto all’eventuale fase contenziosa di impugnazione.

C. Il fatto (quarto ed ultimo motivo di ricorso) secondo cui "l’altezza del piano interrato, pari a m. 2,60, non poteva considerarsi sufficiente per il rispetto di quanto statuito dall’art. 24" del "regolamento edilizio del Comune di Bolzano approvato… con delibera n. 117 del 5 dicembre 2006" "nei piani destinati ad uso abitazione, le stanze devono avere… c) altezza minima tra pavimento e soffitto metri 2,70 fino al terzo piano e metri 2,60 per i piani superiori, metri 2,20 per le cantine", infine, è del tutto irrilevante.

C.1. In via preliminare – considerato che "le norme relative ad agevolazioni o benefici in genere in materia fiscale non sono passibili di interpretazione analogica, sicchè essi non possono essere riconosciuti nelle ipotesi in cui non siano espressamente previsti" (Cass., trib., 26 ottobre 2011 n. 22279, la quale richiama, ex permultis, "Cass. … n. 26106 del 30/11/2005") – va evidenziato che "la definizione del procedimento che attiene alla verifica dell’abitabilità" (quindi pure il risultato, anche presumibilmente negativo, della stessa) "resta estranea al rapporto tributario" perchè (Cass., trib., 15 aprile 2005 n. 7905, pure per la quale resta "estranea alla sfera attinente al rapporto tributario tutto quanto afferisce alla effettività abitabilità del bene stesso, ovvero alle sue caratteristiche igienico-sanitarie") quella "definizione" è rilevante solo nel caso in cui la norma tributaria inserisca, tra "i requisiti postulati per l’applicazione" di un’imposta, "l’uso effettivo del fabbricato": in aderenza, questa Corte ha già specificamente statuito l’"irrilevanza del rilascio del certificato di abitabilità ai fini dell’imposizione ICI" (Cass., trib., 5 marzo 2009 n. 5372 ord., che ricorda "già Cass. nn. 7905 del 2005 e 24924 del 2008").

C.2. L’art. 5 (come rettificato in Gazz. Uff., 26 settembre 1969 n. 245) del D.M. 2 agosto 1969 (espressamente richiamato nell’atto impositivo), come noto, qualifica "abitazioni di lusso" le "case composte di uno o più piani costituenti unico alloggio padronale aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 200 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) ed aventi come pertinenza un’ area scoperta della superficie di oltre sei volte l’area coperta".

A fini ermeneutici assume rilevanza interpretativa il riferimento (oggetto di specifico richiamo ricetti-zio) alla "superficie utile" dell’"alloggio padronale" : deve considerarsi, infatti, "superficie" computabile tutta quella che fa parte della "casa" (sia composta di "uno o più piani", purchè costituenti "unico alloggio"), quindi dell’intero complesso costruttivo (con esclusione, ovviamente, di "balconi,… terrazze,… cantine,… soffitte,… scale e posto macchine"), quante volte sia "utile" a costituire ("costituenti") "unico alloggio padronale": l’utilità evocata dalla norma – nella quale manca qualsiasi riferimento, quand’anche indiretto od implicito, ma sempre inequivoco, alla "abitabilità" in senso giuridico – implica la idoneità, esclusivamente fattuale, di una determinata "superficie" chiusa da muri (perciò "case") a integrare un "alloggio padronale", ovverosia a consentire l’espletamento al suo interno di tutte le funzioni (di ogni genere) proprie della vita del "padrone" (non svolgendo l’aggettivo "padronale" una funzione pleonastica ma evidentemente qualificativa) dell’"alloggio": nel caso il giudice del merito ha (ormai) irreversibilmente accertato (non essendo il punto oggetto di nessuna censura) – affermando di averlo desunto dal "progetto" e dalle "planimetrie depositate al catasto urbano" – che il "piano interrato" (della complessiva superficie di "mg. 101,45", corrispondente a quella del "piano terra") del quale si discute è costituito da "più vani adibiti a sale hobby", quindi funzionalmente dichiarate come destinate all’espletamento di attività significative di funzionalità proprie degli esseri umani che ivi trovano "alloggio".

C.3. La peculiare fattispecie, peraltro, consente ed impone una ulteriore, decisiva considerazione.

Il ricorrente espone:

(1) dalla "perizia tecnica elaborata dall’Agenzia del Territorio" emerge che "locali siti al piano interrato… hanno una altezza utile di m. 2,60";

(2) l’"art. 24 del regolamento Edilizio del Comune di Bolzano…

afferma che "nei piani destinati ad uso abitazione le stanze devono avere… c) altezza minima tra pavimento e soffitto metri 2,70 fino al terzo piano e metri 2,60 per ìpiani superiori, metri 2,20 per le cantine".

Da tali proposizioni si ricava che, nel caso, l’"altezza utile" dei "locali siti al piano interrato" è inferiore a quella "minima tra pavimento e soffitto" richiesta dal "regolamento Edilizio del Comune di Bolzano" per soli 10 (dieci) centimetri ("m. 2,60" invece di "m.

2,70").: questa sola, piccolissima differenza, secondo il contribuente, dovrebbe costituire scriminante sufficiente ad escludere la computabilità della superficie dei "locali siti al piano interrato" da quella complessiva ai fini della qualificazione come non "di lusso" dell’immobile di cui quei locali fanno parte e, conseguentemente, della spettanza del beneficio fiscale (aliquota ridotta).

Dal complessivo ordinamento tributario vigente, infatti, questa Corte (cfr. Cass., trib., 2 novembre 2011 n. 22716, tra le recentissime), "pur in assenza di esplicita enunciazione", ha enucleato la nozione di "abuso del diritto", specificando che un "abuso" del genere è ravvisabile in tutte "quelle pratiche che, pur formalmente rispettose del diritto interno o comunitario, siano mirate principalmente ad ottenere benefici fiscali contrastanti con la ratio delle norme che introducono il tributo": siffatta nozione, per la sua generalità e per il fondamento costituzionale (art. 53 Cost.) che la sorregge, naturalmente, è applicabile e deve essere applicata anche al trattamento fiscale degli immobili sì che deve ritenersi costituire, appunto, " abuso del diritto" (comunque a fini fiscali, se non pure a fini edilizi) la pratica costruttiva di sostanziale aggiramento delle disposizioni, anche dei regolamenti comunali, sulla cubatura degli immobili quante volte l’utilizzo di questo specifico elemento non sia dettato da ragioni costruttive e/o economiche (o, comunque, da qualsivoglia valida ragione diversa da quella fiscali) ma assuma soltanto rilievo fiscale per la sua idoneità ad aggirare la "ratio" delle afferenti norme, determinando una indebita minore tassazione.

C.4. Vanamente, infine, il ricorrente invoca (elevandolo a principio generale) la regola juris secondo cui (Cass., trib., 23 luglio 2010 n. 17450 (ord.), che ribadisce quando "affermato da questa Corte (Sentenza n. 6466 del 18/12/1985)") "la potenzialità abitativa delle soffitte – in considerazione della quale le soffitte stesse diventano espressione della superficie dell’appartamento – va valutata alla luce delle caratteristiche tecniche cui devono corrispondere i vani per essere considerati abitabili secondo la normativa statale e locale vigente" : la stessa, infatti, vale solo per le "soffitte" perchè queste (insieme con "balconi,… terrazze,… cantine,.., scale e posto macchine") sono altrimenti (ovverosia se non abitabili) escluse dal calcolo della superficie per espressa previsione dell’art. 5 D.M. detto.

p.4.2 Sul ricorso incidentale.

Il gravame dell’Agenzia è inammissibile perchè, come rilevato dalla controparte, effettivamente il controricorso dell’ente è materialmente privo, anche nell’originale depositato, della sottoscrizione del difensore : la "sottoscrizione dell’originale di uno degli atti di cui all’art. 125 c.p.c." (tra cui, expressis verbis, anche il "controricorso"), "ad opera del procuratore", infatti, per la "prevalente" (tale definita da Cass., 6^, 20 gennaio 2011, n. 1275 (ord.), che ricorda "Cass. 6 febbraio 2004 n. 2255, 20 marzo 2001 n. 4116, 18 giugno 1999 n. 6111, 10 gennaio 1998 n. 146, 6febbraio 1994 n. 2691" nonchè "Cass. 6 aprile 2006 n. 8042, 22 novembre 2004 n. 22055" e (si assume) contra, solo "Cass. 20 aprile 2007 n. 9490") "giurisprudenza di questa Corte" (che va confermata per carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria, anche in considerazione della mancanza, qui, di ogni qualsiasi diverso segno grafico autografo riconducibile al difensore), è "elemento indispensabile per la formazione fenomenica dell’atto stesso, sicchè il suo difetto determina l’inesistenza di questo e non già la sua nullità".

p.5. Delle spese processuali.

Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità non avendo l’Agenzia svolto altra attività difensiva oltre quella, rivelatasi giuridicamente inesistente, connessa al solo controricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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