Cass. civ. Sez. V, Sent., 28-06-2012, n. 10798 Esenzioni Imposta reddito persone giuridiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In seguito a PVC redatto in data 26.10.204 dalla Guardia di Finanza l’Ufficio di Albano Laziale della Agenzia delle Entrate notificava a Fontana di Papa Vini d’Italia soc. coop. a r.l. avviso di accertamento per l’anno di imposta 2000 contestando: 1 – la omessa tenuta delle scritture ausiliarie non riprodotte su supporto cartaceo nel termine della dichiarazione annuale; 2-la decadenza dal beneficio della esenzione IRPEG accordato dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 10 alle società cooperative, per mancata osservanza dei requisiti mutualistici; 3-l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con conseguente recupero dell’IVA evasa.

La Commissione tributaria provinciale di Roma con sentenza n. 17/2008 accoglieva parzialmente il ricorso della società contribuente ritenendo spettante la esenzione IRPEG e confermando per il resto l’avviso di accertamento.

La pronuncia di prime cure è stata confermata in grado di appello dalla Commissione tributaria della regione Lazio che con sentenza 12.11.2009 n. 589 ha rigettato l’appello proposto dall’Ufficio finanziario rilevando che dalla accurata disamina delle risultanze del verbale di ispezione del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale in data 7.5.2003 al quale faceva riferimento il PVC della Guardia di Finanza, nell’attività svolta dalla società cooperativa non era dato riscontrare violazioni ai principi mutualistici.

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate deducendo un unico motivo con il quale censura la sentenza per insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Ha resistito con controricorso la società cooperativa. La Agenzia delle Entrate ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. La sentenza di appello ha escluso che la società cooperativa sia incorsa nella violazione dei principi mutualistici – con conseguente decadenza dal beneficio delle esenzione IRPEG – rilevando che:

– la mancanza nell’art. 22 dello Statuto di una clausola reiterativa della disposizione della L. 31 gennaio 1992, n. 59, art. 2, comma 4 (che impone alle cooperative l’obbligo di destinare una quota pari al 3% degli utili annuali ai "fondi mutualistici" per la promozione e lo sviluppo della cooperazione" istituti dalle associazioni di rappresentanza nazionale alle quali aderiscono) non era sanzionata con la decadenza dal beneficio in quanto non sussisteva alcun obbligo normativo di inserimento di tale clausola nello statuto, prevedendo della medesima L. n. 59 del 1992, art. 2, comma 5 e del D.Lgs.c.p.s.

14 dicembre 1947, n. 1577, art. 26 il diverso obbligo di devoluzione ai predetti fondi del patrimonio residuo delle cooperative in liquidazione. Inoltre risultava accertato che la Cooperativa aveva regolarmente versato il contributo obbligatorio negli esercizi in cui aveva conseguito utili di bilancio – l’errore di calcolo del contributo obbligatorio (essendo stato determinato il 3% degli utili soltanto dopo l’assegnazione dei dividendi al capitale versato), non determinava la perdita di benefici fiscali, tenuto conto che "le somme accantonate al fondo di riserva debbano necessariamente essere devolute ai fondi stessi" la contestata violazione dell’art. 2426 c.c. e del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 76 TUIR (per non essere state valutate le rimanenze delle merci derivanti dai conferimenti di prodotto da parte soci, nel minor valore tra il costo di acquisto e quello di realizzo) non assumeva carattere dirimente in quanto – alla stregua del disposto del D.L. 2 dicembre 1983, n. 746, art. 7 ter conv. in L. 27 febbraio 1984, n. 17 per cui gli aiuti erogati dall’AIMA in quanto "interventi a sostegno della produzione agricola" sono sottratti alla applicazione dell’IVA – i contributi ricevuti in conto esercizio dalla Cooperativa dovevano considerarsi "integrativi" del costo del prodotto conferito dai soci e quindi legittimamente erano stati aggiunti nella determinazione del costo della materia prima (id est delle uve conferite dai soci).

2. Con l’unico motivo di ricorso la Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per insufficiente motivazione in ordine all’esame ed alla valutazione del metodo contabile seguito dalla Cooperativa – come rilevato nel PVC della G.di F. – mediante il quale le rimanenze dei prodotti conferiti dai soci (nella specie uve) venivano valutate, anzichè nel minore valore della materia prima tra il costo di acquisto (o di produzione) e quello di realizzo desumibile dall’andamento di mercato (art. 2426, comma 1, n. 9), nel maggior valore – corrispondente a quello del prodotto finito per la vendita – comprensivo anche dei contributi in conto esercizio od altri proventi conseguiti dalla società. In tal modo la Cooperativa non evidenziava utili di bilancio (come emergeva dall’esame del quinquennio antecedente quello di verifica in cui risultavano dichiarati utili solo nell’esercizio 2002), da un lato sottraendosi alla contribuzione obbligatoria prevista dalla L. n. 59 del 1992, art. 2, comma 4;

dall’altro distribuendo occultamente utili ai soci, mediante determinazione di un avanzo di gestione da suddividere tra i soci al netto degli acconti da questi ricevuti, in violazione dei limiti imposti dal D.Lgs.c.p.s. n. 1577 del 1947, art. 26.

La tesi della ricorrente fa perno sulla argomentazione, desunta dal verbale ispettivo del Ministero del Lavoro secondo cui nelle cooperative di trasformazione solo per ragioni fiscali il conferimento di prodotto da parte del socio è stato assimilato ad una cessione di beni, giacchè deve ritenersi che tra socio e Cooperativa si instaura un rapporto negoziale differente dalla compravendita e riconducibile piuttosto nello schema della commissione, con la conseguenza che non acquistando la Cooperativa il prodotto conferito, la stessa non può iscrivere nello stato patrimoniale alla voce "rimanenze" il prodotto invenduto, in quanto così operando viene ad aumentare il valore del ricavo netto distribuito ai soci, acquistando di fatto il prodotto conferito.

3. La società resistente eccepisce la inammissibilità del ricorso in quanto volto esclusivamente a prospettare una diversa e soggettiva valutazione delle risultanze istruttorie antitetica a quella compiuta dai Giudici di merito.

Quanto al merito, rileva la correttezza del sistema contabile adottato con il quale i contributi in conto esercizio sono stati sommati ai ricavi, concorrendo a formare il prezzo delle uve conferite.

4. Il motivo è inammissibile.

Costituisce affermazione costante di questa Corte che nella denuncia dei vizi c.d. motivazionali ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) il requisito di autosufficienza del ricorso posto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4) onere alla parte ricorrente:

– della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto (cfr. Corte cass. 1 sez. 17.5.2006 n. 11501):

– della "precisa indicazione di carenze o di lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa censurato, ovvero la specificazione delle illogicità, consistenti nell’attribuire agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi. Onde è che risulta inidoneo allo scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito alla opinione che di essi abbia la parte e, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità della valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento. Diversamente si risolverebbe il motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate, ed in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice di merito" (cfr. Corte cass. sez. lav. 23.5.2007 n. 12052; id. 1 sez. 7.3.2007 n. 5274; id.

3 sez. 5.3.2007 n. 5066; id. sez. lav. 23.12.2009 n. 27162).

Nella specie la Agenzia delle Entrate si è limitata nel ricorso a riprodurre testualmente i passi del PVC della Guardia di Finanza e del verbale ispettivo Ministero del Lavoro e delle Previdenza sociale, senza formulare tuttavia alcuna specifica critica ad individuati passi motivazionali della sentenza, ed in particolare all’argomento logico, adottato dai Giudici di appello, secondo cui, essendo erogati i contribuiti AIMA in funzione di integrazione della produzione (e dunque di sostegno economico ai produttori agricoli di uva), i relativi importi vanno a costituire una componente del costo di produzione (dovendo in conseguenza determinarsi il valore della materia prima conferita dai soci includendo nel costo anche i predetti contributi).

Ne segue che la mera richiesta di riesame delle risultanze raccolte nel PVC redatto all’esito della verifica eseguita dalla Guardia di Finanza, si risolve in una inammissibile richiesta di diversa valutazione dei fatti rispetto a compiuta – con argomentazione scevra da errori o vizi logici, e dunque insindacabile in sede di legittimità – dai Giudici di merito.

Il motivo di ricorso, formulato "per relationem" al contenuto degli atti amministrativi predetti, sembrerebbe, peraltro, incentrarsi interamente nella asserita erronea appostazione in bilancio dei contributi in conto esercizio ricevuti dalla società cooperativa (da iscrivere all’attivo del conto economico voce A5 dell’art. 2425 c.c.), contestandosi il metodo di valutazione dei prodotti conferiti dai soci ai sensi dell’art. 2426 c.c., e del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 76 nel testo vigente ratione temporis (non è tuttavia chiaro se in riferimento alla voce del passivo costo delle materie prime – art. 2425 c.c. voce B6 – o delle variazioni delle rimanenze di materie prime – art. 2425 c.c. voce B11).

Se tale dovesse intendersi la censura mossa alla sentenza impugnata, il motivo di ricorso incorrerebbe in palese sanzione di inammissibilità per errata individuazione del parametro di legittimità violato essendo stata ripetutamente affermata da questa Corte la ontologica incompatibilità tra i due vizi di legittimità – errore di fatto; violazione di norma di diritto – in considerazione del diverso oggetto della attività del Giudice cui si riferisce la critica, dovendo distinguersi la attività interpretativa della fattispecie normativa astratta, dalla attività valutativa della fattispecie concreta emergente dalle risultanze probatorie (cfe.

Corte cass. 1 sez. 11.8.2004 n. 15499; id. sez. lav. 16.7.2010 n. 16698 "In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa": vedi Corte cass. 2 sez. 29.4.2002 n. 6224, id. 3 sez. 18.5.2005 n. 10385, id. 5 sez. 21.4.2011 n. 9185 sulla inammissibilità del ricorso con cui si denuncia violazione di norma di diritto deducendo nella esposizione del motivo argomenti a fondamento del vizio motivazionale della sentenza; id. 3 sez. 7.5.2007 n. 10295 sulla antinomia tra "error in iudicando" e vizio di motivazione).

5. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna della Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso e condanna la Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano in Euro 5.000,00 per onorari, Euro 100,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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