T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 12-01-2012, n. 83Sospensione dei lavori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società Hines Italia SGR s.p.a., gestore del fondo comune di investimento immobiliare speculativo riservato a investitori qualificati "Porta Nuova Garibaldi" espone di aver acquisito dalla società Caprera s.r.l. – che con atto dell’1 luglio 2009 ha conferito e trasferito quel bene – un complesso immobiliare sito in Comune di Milano, nell’area conosciuta con il nome "Porta Nuova Garibaldi" un compendio edificabile oggetto di sviluppo immobiliare secondo le linee guida definite dalla Convenzione attuativa del Piano Integrato d’Intervento (in seguito P.I.I.) denominato "Garibaldi Repubblica".

Il relativo progetto prevede lo sviluppo di 86.869 m.q. di s.p.l. di cui 49,081 mq. a destinazione direzionale o compatibile, 8.066 mq. a destinazione residenziale, 9722 mq. a destinazione espositiva, nonché le realizzazione delle opere di urbanizzazione necessarie a dotare l’ambito delle nuove infrastrutture e di adeguare quelle esistenti.

Si tratta quindi, di un intervento che parte ricorrente definisce decisivo per lo sviluppo urbanistico di Milano, in quanto diretto a riqualificare una vasta area collocata nel centro produttivo e commerciale della città, a ridosso del centro cittadino.

Pertanto, l’organizzazione del cantiere è molto articolata e richiede la compresenza di iniziative imprenditoriali differenziate, tale per cui l’organizzazione degli spazi di progettazione ha richiesto un notevole impegno e un notevole coordinamento.

L’unicità dell’intervento ha quindi richiesto la predisposizione di un cantiere ad esso proporzionato, ossia idoneo ad assicurare la perfetta realizzazione delle opere con le necessarie garanzie di sicurezza, il minor impatto ambientale e l’ottimizzazione di tutte le risorse umane e materiali a disposizione, ivi compresi corpi provvisori di fabbrica idonei a consentire, ai tanti addetti, di concentrare le attività di progettazione, coordinamento, verifica e controllo all’interno del cantiere.

Per realizzare tutto ciò il soggetto attuatore aveva la necessità di disporre di una vasta area nella quale ubicare non un cantiere tradizionale ma un vero e proprio villaggio temporaneo costituito da installazioni, manufatti e quant’altro destinato ad accogliere l’elevato numero di addetti e il ricovero dei materiali, a eseguire le opportune attività di coordinamento e simulazione di prove, nonché un impianto provvisorio di produzione di calcestruzzi ad elevatissima prestazione.

A tal fine all’interno del vasto compendio oggetto di P.I.I. veniva individuata un’area di proprietà comunale di circa mq. 14300, sita in via Melchiorre Gioia, che pur se ricompressa nel P.I.I. non era oggetto di interventi nell’immediato, in quanto destinata alla realizzazione di un giardino urbano, previa bonifica da parte degli attuatori,

L’area anzidetta è stata quindi concessa in locazione dal Comune di Milano alla società Caprera s.r.l. , (cui è subentrato il Fondo Porta Nuova Garibaldi, gestito dalla Hines Italia in forza di contratto stipulato il 24.12.2008) ai sensi dell’art. 27 co. 19 della L. n. 448 del 2001 che consente agli enti locali di concedere in locazione aree destinate alla realizzazione di infrastrutture o all’esercizio di attività dirette a perseguire finalità di pubblico interesse o sociale , con contratti di locazione a tempo determinato, nelle more dell’attuazione delle previsioni del piano regolatore e anche in deroga alle destinazioni previste dal piano.

Il contratto anzidetto prevedeva quindi:

-che l’uso dell’area fosse finalizzato all’attività temporanea di cantiere;

– un canone annuo pari a Euro 184.756,00 oltre ad ISTAT;

– la scadenza alla data del 30 settembre 2012 o alla data precedente nel caso in cui fossero venute meno le esigenze di cantiere;

– l’obbligo della riconsegna dell’area alla scadenza del termine di locazione, libera e sgombra da persone e cose e senza alcun onere di risarcimento o indennizzo a carico del Comune.

A garanzia dell’obbligo di ripristino previsto dal contratto, il locatario, in sede di stipula, ha fornito al Comune una fideiussione assicurativa a prima richiesta per la rimozione delle installazioni provvisorie di cantiere pari a Euro 786.135,50 "corrispondente al valore di rimozione e ripristino, come attestato dal computo metrico estimativo presentato" .

Nella determina dirigenziale n. 64/2008 era allegato quindi il progetto del c.d. villaggio di cantiere ossia una dettagliata relazione descrittiva corredata da specifica documentazione che dava conto delle installazioni da realizzare nonché delle fasi successive previste: in particolare, all’interno di tale relazione che – si sostiene- integrava sia il contratto che la determina comunale a contrarre, venivano identificati oltre ai baraccamenti, alla centrale di betonaggio, alle utilities, alla viabilità e ai parcheggi anche due corpi di fabbrica attigui, di natura temporanea e destinati ad uffici, ambedue di circa 686 mq. (uno per la committenza e uno per il team di direzione dei lavori e della sicurezza dei cantieri).

In tale quadro è stato progressivamente realizzato il villaggio di cantiere e attualmente (al momento della proposizione del ricorso) era in corso di realizzazione il secondo manufatto di cantiere per la cui posa è stata realizzata una base in cemento poggiata sul terreno e alcuni sostegni per assicurarne la sicurezza statica.

Ciò premesso, la società ricorrente riferisce di avere ricevuto, del tutto inattesa, la lettera datata 16 dicembre 2010, con cui il Comune chiedeva spiegazioni sulla costruzione in cemento del manufatto in corso d’opera , ponendone in dubbio la legittimità perché priva del carattere di provvisorietà prevista dal contratto di locazione.

Con lettera del 22 novembre 2011 Hines respingeva le contestazioni confermando: il rispetto del progetto del villaggio di cantiere, la provvisorietà della struttura, la rimovibilità del manufatto e la temporaneità dell’opera , nonché richiamando le garanzie prestate per il ripristino delle aree.

Senonchè, si assume che senza neppure esaminare la lettera di Hines, il Comune, con provvedimento dirigenziale di pari data, ha ordinato la sospensione dell’esecuzione della struttura di cantiere qualificandola come "fabbricato in cemento armato di un piano fuori terra su area di proprietà comunale" asserendo, inoltre, che le opere "eccederebbero e differirebbero dalle tavole allegate, in particolare dagli allegati 1.2 e 8 della relazione al Villaggio di Cantiere, dalla tavola di identificazione Zone A e B e dal disposto dell’art. 6.",

Avverso tale provvedimento è quindi insorta la società Hines Italia Sgr S.p.A., che ne chiede l’annullamento, con vittoria di spese, deducendo i seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del D.P.R. n. 380 del 2001; eccesso di potere per carenza di presupposti, difetto di istruttoria e contraddittorietà.

Si sostiene che il provvedimento impugnato muove dall’erroneo presupposto che il manufatto in corso di realizzazione sia difforme da quanto previsto nel contratto di locazione provvisoria dell’area di cantiere; che tuttavia non è chiaro nel provvedimento quali siano le suddette difformità né quale fatto materiale abbia giustificato l’ordine di sospensione emesso con la determina dirigenziale del 22 novembre 2010; che l’opera in corso, realizzata su progetto approvato dal Comune, non determina mutamenti irreversibili del suolo ed anzi è facilmente amovibile come le altre strutture del cantiere; che l’amministrazione non ha, infatti, previsto, nel contratto di locazione, vincoli di sorta quanto alle tecniche costruttive da utilizzare per l’installazione del c.d. Villaggio di Cantiere; che la sospensione dei lavori è contraddittoria e immotivata atteso che il manufatto rispetta quanto previsto dal contratto e dalle norme di legge.

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del D.P.R. n. 380 del 2001; dell’art. 33 della L.R. n. 12 del 2005; eccesso di potere per carenza di presupposti, difetto di istruttoria e contraddittorietà.

Si sostiene che il provvedimento è fondato sul falso presupposto che l’utilizzo , sia pure in minima parte, del cemento armato sarebbe tale da rendere il manufatto stabile e quindi non classificabile come struttura provvisoria di cantiere; che la natura provvisoria di un manufatto deve ricollegarsi ad un uso precario e temporaneo, per fini cronologicamente delineati, e non alla sua consistenza o alla tecnica costruttiva utilizzata; che, nella specie, non sussistono ostacoli alla rimozione della struttura sotto il profilo tecnico, attesa l’esiguità, l’assenza di fondazioni interrate e gli altri aspetti tecnici ivi riportati; che infine, gravano sulla parte ricorrente obblighi di rimozione, alla scadenza del contratto di locazione, di tutte le strutture e di rilascio dell’area inedificata nonchè bonificata per la realizzazione di un giardino pubblico quale dotazione infrastrutturale del progetto.

3) violazione e falsa applicazione dell’art. 7 e 10 della L. n. 241 del 1990; eccesso di potere per carenza di ed erroneità della motivazione e difetto di istruttoria.

Si sostiene che nella specie vi è stata una evidente carenza istruttoria dovuta alla violazione delle norme sulla partecipazione al procedimento amministrativo; che l’amministrazione pur avendo informalmente avvertito Hines dell’intenzione di bloccare i lavori non ha atteso l’atto partecipativo sollecitato ex art. 10, vanificandone ogni significato, come si desume dalla parte motiva del provvedimento impugnato.

Con ordinanza n. 1431 del 17.12.2010 il T.A.R. ha sospeso l’efficacia del provvedimento comunale impugnato rilevando, tra l’altro, che "modalità tecniche di esecuzione e materiali costruttivi impiegati nella specie non appaiono incompatibili con la temporaneità della costruzione, la cui natura provvisoria discende dal suo essere strettamente funzionale alle esigenze di cantiere e destinata alla rimozione al termine dei lavori giusta le dettagliate previsioni del contratto di locazione (transitoria), la cui osservanza è garantita in parte qua dalla fideiussione assicurativa, volta a garantire l’integrale smantellamento nei tempi dovuti, rilasciata a favore del Comune per un importo (Euro 786.135.30) corrispondente al valore delle operazioni di rimozione e ripristino".

Nelle memorie scambiate tempestivamente e in sede di discussione orale le parti hanno insistito sulle rispettive posizioni e nelle rassegnate conclusioni.

All’udienza pubblica del 17.11.2011, previa audizione dei difensori delle parti la causa è stata introitata per la decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va respinto per le ragioni che seguono.

1.1. Come premesso in fatto, l’ordine di sospensione e demolizione impugnato ha ad oggetto un edificio di grandi dimensioni (paragonabili a quelle di una palestra) e di corrispondente impatto urbanistico, realizzato dalla ricorrente in mancanza di permesso di costruire, d.i.a., o altro titolo abilitativo, perchè ritenuta opera precaria di cantiere, autorizzata in quanto tale, con il contratto di locazione dell’area di sedime, stipulato con l’amministrazione comunale, che di detta area è proprietaria.

Tale imponente edificio, per contro, secondo l’amministrazione resistente, non è né conforme alle previsioni del citato contratto di locazione né tale da poter essere autorizzato in quanto incompatibile con le previsioni del piano regolatore generale vigente, atteso che per le caratteristiche fisiche e strutturali di stabilità, dimensione e consistenza il manufatto non può essere assimilato, sotto alcun profilo e nel suo complesso, ai comuni manufatti di cantiere, aventi per destinazione funzionale e strutturale una intrinseca natura precaria.

Motivo per il quale il manufatto in questione è stato considerato radicalmente abusivo, sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale, e ordinata la sospensione dei lavori, oggi conclusi in seguito al provvedimento cautelare del TAR che, valutata, in quella sede, positivamente la richiesta di concessione della misura cautelare, ha sospeso a sua volta il blocco dei lavori e il conseguente ordine di demolizione.

2. Ciò premesso, con il primo motivo parte ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato muoverebbe dall’erroneo presupposto che il manufatto in corso di realizzazione sia difforme da quanto previsto nel contratto di locazione provvisoria dell’area di cantiere e relativi allegati, assumendo che non solo il provvedimento omette di di indicare in cosa consistano le suddette difformità ma altresì che esso non menzioni quale fatto materiale o determinazione sopravvenuta alla disciplina contrattuale giustifichi l’ordine di sospensione dei lavori assunto con la determina dirigenziale del 22 novembre 2010.

Il motivo è infondato.

2.1. In realtà ritiene il collegio che sia sufficiente leggere l’ordinanza impugnata per comprendere chiaramente le ragioni del provvedimento, che si sostanziano nell’intervenuto accertamento, a seguito del sopralluogo effettuato da un tecnico comunale in data 22 ottobre 2010, dell’esecuzione di opere edilizie non autorizzate consistenti in un "fabbricato in cemento armato di un piano fuori terra su area di proprietà comunale" "che eccedono il carattere di struttura provvisoria di cantiere e in totale difformità da quanto stabilito nel contratto di locazione e dalle tavole allegate, in particolare dagli allegati 1, 2 e 8 della relazione al Villaggio di Cantiere, dalla tavola di identificazione Zone A e B e dal disposto dell’art. 6.",

2.2. Il motivo, quindi, per come prospettato, è infondato perché, corrette o meno che si ritengano le valutazioni in diritto circa la natura (precaria) delle opere e le difformità che parte ricorrente contesta con altri motivi di ricorso, i presupposti di fatto e la motivazione del provvedimento sussistono e sono chiaramente evidenziati nel provvedimento.

E questo porta ex se al rigetto del motivo, anche nella parte in cui la ricorrente contesta l’omessa indicazione delle difformità rispetto a quanto autorizzato nel contratto di locazione dell’area, posto che la difformità rilevata sussiste e riguarda, come la stessa ricorrente ha chiaramente percepito, il carattere di struttura provvisoria di cantiere attribuita al manufatto dalla società ricorrente, laddove per l’amministrazione si tratta di un fabbricato in calcestruzzo e cemento armato totalmente difforme dalle opere precarie di cantiere previste negli allegati al contratto di locazione dell’area e che normalmente, e solo in quanto diversamente strutturate, non sono soggette ad alcuna autorizzazione edilizia.

2.3. Sul punto, peraltro, è opportuno chiarire, anche per motivare la diversa valutazione che il Collegio ritiene di operare sulla natura, sulla consistenza e sul carattere (difforme o meno rispetto alle opere di cantiere autorizzate) del manufatto in questione, rispetto alla decisione cautelare, che una cosa è il contratto di locazione delle aree di cantiere con la relativa disciplina negoziale, nel quale sono previste e stabilite le condizioni d’uso dell’area stessa, (tra cui quella di realizzare solo le opere precarie di cantiere ivi descritte e di restituire l’area al Comune nello status quo ante) ed altra cosa le eventuali autorizzazioni necessarie per realizzare qualsiasi manufatto (precario o meno che sia nelle intenzioni di chi lo realizza e di chi ne consente la realizzazione) che in base alle norme edilizie richiede il previo rilascio di un titolo edilizio, in funzione della natura dell’intervento e della trasformazione del territorio che ad esso inerisce.

Ne consegue che anche se nel contratto – il cui schema è stato previamente approvato dall’amministrazione – fosse stato prevista la realizzazione di opere strutturalmente imponenti ancorché definite precarie (temporalmente e funzionalmente) non per questo la ricorrente avrebbe potuto intraprenderle senza munirsi del titolo occorrente, non essendo possibile realizzare manufatti soggetti a titolo edilizio, in forza del benestare, comunque espresso, dell’amministrazione in una sede impropria e inconferente qual’è quella negoziale (nella specie la locazione dell’area destinata alle strutture di cantiere).

Neanche l’amministrazione può infatti ritenersi sottratta (e sottrarsi) all’applicazione delle norme urbanistico-edilizie sulle aree che le appartengono, e quindi, se anche fosse dimostrato che le opere per cui è causa fossero state implicitamente autorizzate con il contratto di locazione più volte menzionato (e beninteso con la determina che la locazione autorizza) non per questo la stessa amministrazione potrebbe esimersi dal sanzionarle se risulti, come è risultato, che le stesse non dispongono del titolo autorizzativo ex lege richiesto.

2.4. In realtà il Collegio osserva che non è neppure corretto assumere, come assume parte ricorrente, che l’amministrazione comunale, nel contratto di locazione dell’area, ha assentito la realizzazione delle opere di cantiere in concreto realizzate (opere da destinare agli uffici tecnici e gestionali o comunque alle strutture e al personale addetto alla progettazione delle imponenti opere di cui al P.I.I. "Garibaldi Repubblica"), perché al punto 3.3. della "Relazione circa il dimensionamento installazione impianti logistici di cantiere" (pag. 5,) se ne rinviene la seguente descrizione : Area Uffici tecnici e gestionali Operatori (impresa Generale e subappaltatori principali) "I baraccamenti sono costituiti da una serie di costruzioni in pannelli metallici prefabbricati, opportunamente coibentati, montati su un ossatura metallica spiccata da una piattaforma in calcestruzzo".

Si tratta, infatti, di opere che, per come descritte, non hanno niente in comune con il manufatto realizzato dalla ricorrente, peraltro a distanza di oltre due anni dalla stipula del contratto di locazione provvisoria delle aree e a lavori di progetto in gran parte conclusi; manufatto che, come evidenziano le foto dimesse in giudizio, consiste in una imponente costruzione in cemento armato di consistenza tale (mq. 693 di superficie coperta per ciascuno dei due piani) da incidere sull’assetto del territorio determinando una evidente trasformazione edilizia e urbanistica dell’area in precedenza libera e da restituire alla destinazione pubblica prevista dal PRG in uno con la cessazione della locazione e della destinazione funzionale a cantiere dell’area stessa.

Il che riduce in maniera determinante l’elemento della c.d. precarietà delle opere, posto che tale elemento (riferito alla volontà delle parti ma non al carattere delle opere) non può conciliarsi con la dimensione, la consistenza e la qualità durevole del manufatto realizzato dalla ditta ricorrente, che viceversa, per essere ascritte a tale categoria (derogatoria del regime edilizio) devono essere anche oggettivamente precarie e quindi rimuovibili agevolmente e in forza di veri e propri interventi di demolizione.

In ogni caso, ciò che nella specie rileva in senso decisivo ai fini della reiezione del motivo è, a giudizio del Collegio, la completa difformità di quanto realizzato dalla ditta ricorrente dal modello (i prefabbricati di cantiere, definiti baraccamenti e come tali descritti nella relazione allegata al contratto di locazione) che ne giustificherebbe, come pretende la stessa ricorrente, la realizzazione senza alcun previo rilascio di titolo edilizio.

2.5. Né le conclusioni espresse sul punto che precede mutano con riferimento al diverso fabbricato "destinato agli uffici di cantiere della committente, della direzione lavori e del coordinatore della sicurezza" che sarebbe, per la ricorrente, il reale oggetto del provvedimento impugnato, perché, non solo la citata "Relazione", non riporta altre prescrizioni in merito ai materiali per la realizzazione di altre e diverse (da quelle di cui al punto 3.3. dell’allegato sopramenzionato) strutture temporanee di cantiere, ma, quand’anche così fosse, non c’è dubbio che, come già rilevato nel precedente paragrafo, il tipo di costruzione di cantiere realizzato in cemento armato e poggiato (secondo la definizione dei ricorrenti) su una piattaforma in calcestruzzo necessariamente fissa al suolo, ancorché qualificata funzionalmente precaria, avrebbe comunque richiesto il rilascio di un titolo edilizio riferito e giustificato dalla natura dell’intervento di trasformazione edilizia, dall’impatto urbanistico, nonché dalla verifica in ordine alla sicurezza ed alla agibilità della struttura (in quanto comunque destinata, per un periodo certamente non breve, all’utilizzo, per fini residenziali, di progettisti e maestranze).

Il primo motivo va quindi respinto.

3. Parimenti infondato e in parte già implicitamente esaminato con il primo motivo è il secondo, con il quale la ricorrente censura il carattere di struttura di cantiere non precaria, con cui l’amministrazione ha giustificato l’adozione del provvedimento di sospensione dei lavori e il connesso e conseguente ordine di demolizione.

3.1. Infatti, anche a prescindere dalla circostanza, di per sé facilmente riscontrabile, che la costruzione realizzata dalla ricorrente non ha nulla a che vedere con le opere descritte nel contratto (vedi jnfra paragrafo 2.4), l’orientamento giurisprudenziale richiamato dalla ricorrente (segnatamente TAR Umbria 25 giugno 2007 n. 540 e TAR Liguria 11 marzo 2003 n. 281) per sostenere la natura temporanea della costruzione – secondo il quale anche il manufatto che, per la natura dei materiali costruttivi impiegati, appare strutturalmente precario/amovibile (es. roulotte) va assimilato all’opera edilizia se utilizzato stabilmente e non rimosso per un lungo periodo di tempo, è, come oppone la difesa dell’amministrazione comunale, inconferente se non controproducente .

E ciò, in particolare, laddove si pretende di dedurre (a contrario) che un edificio dotato di tutti gli elementi propri della stabilità (notevoli dimensioni, struttura portante in cemento armato, ecc.) possa essere considerato "precario", alla sola condizione che ne sia contrattualmente prevista, come nella specie, la futura rimozione.

3.2. In realtà è evidente che, proprio alla stregua di tale orientamento, deve considerarsi, a fortiori, stabile e non precario un manufatto in cemento armato, ancorato al suolo, che non è suscettibile di immediata e comunque agevole e pronta rimozione ma che richieda un intervento di demolizione, peraltro complesso e sinanco incongruente con il tempo di prevista permanenza in loco del manufatto (da rimuovere entro il mese di settembre 2012 o, prima ancora, in funzione della eventuale anticipata rimozione del cantiere o della sorte del contratto di locazione dell’area di insistenza).

3.3. Un edificio precario, destinato ad uffici di cantiere, può essere, infatti, sottratto, eccezionalmente, al regime edilizio e urbanistico delle nuove costruzioni, solo in considerazione della sua temporaneità e precarietà strutturale; temporaneità e precarietà che devono trovare, tuttavia, oggettivo riscontro nelle caratteristiche costruttive dell’edificio posto che diversamente anche i manufatti provvisori, la cui durata è limitata e prestabilita, devono ritenersi soggetti, in base alle norme del regolamento edilizio comunale (art. 76), al rilascio di un titolo abilitativo di durata annuale.

Titolo che, nella specie, non è stato richiesto e che, come già rilevato al paragrafo 2.5, non avrebbe potuto essere rilasciato per un fabbricato così imponente e strutturato come quello per cui è causa, non potendo essere considerata, a giudizio del Collegio, opera provvisoria di cantiere una costruzione che per dimensioni, consistenza strutturale e qualità dei materiali comporti la creazione di nuova (consistente) volumetria, di nuova s.l.p. ,di capacità residenziale e di un conseguente incremento di c.d carico urbanistico destinato a persistere sino alla sua rimozione.

Una cosa è, infatti, all’evidenza, come anche rileva la difesa dell’amministrazione comunale, un prefabbricato o una serie di prefabbricati realizzati con l’uso di materiali e tecniche costruttive "leggere", ossia prive di elementi tipici delle costruzioni stabili, e rimuovibili con operazioni di semplice smontaggio ed altra cosa è una struttura come quella di cui è causa, che può (recte potrà) essere rimossa solo mediante un intervento demolitorio; intervento che per il suo impatto (nella specie esattamente speculare all’imponenza del manufatto realizzato) normalmente richiede un’autorizzazione subordinata alla presentazione del progetto di demolizione, l’esatta individuazione del volume che verrà rimosso, il progetto di sistemazione dell’area a demolizione avvenuta nonché una relazione dettagliata dei materiali presenti, con particolare riferimento a quelli tossico-nocivi e alle eventuali, previste modalità di smaltimento..

3.4. Né, va soggiunto, esistono, da quanto sostiene parte ricorrente, norme di fonte statale, regionale o comunale che consentono, che i manufatti di cantiere, diversi dai prefabbricati leggeri, possano essere realizzati in assenza di titolo abilitativo; tale non potendo considerarsi neppure l’art. 33 comma 2 lett. e) della L.R. n. 12 del 2005, che infatti con la formula "strutture temporanee di cantiere" si riferiva (essendo stato quel comma medio tempore abrogato con la L.R. n. 3 del 2011) ai tipici prefabbricati di cantiere, per i quali non si richiede neppure oggi, come ha ammesso la difesa dell’amministrazione intimata, la ricordata autorizzazione ex art. 76 Regolamento Edilizio.

Il motivo è dunque, in conclusione, infondato e va respinto.

4.. Non merita, infine, accoglimento il terzo ed ultimo motivo di ricorso, con il quale la parte ricorrente deduce la violazione dell’ art. 10 della L. n. 241 del 1990, per aver l’amministrazione adottato il provvedimento impugnato senza aver preso visione delle deduzioni formulate dalla ricorrente.

4.1. In realtà, come osservato in premessa, si è qui in presenza di un provvedimento di sospensione dei lavori di natura urgente e cautelare, che costituisce esso stesso l’atto di avvio di un procedimento sanzionatorio, nell’ambito del quale la ricorrente ben poteva intervenire (ed è intervenuta) attraverso gli strumenti partecipativi previsti dalla L. n. 241 del 1990 (sul principio, tra le tante, cfr. T.A.R. Perugia Umbria sez. 1, 28 ottobre 2010, n. 499; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 5 maggio 2010, n. 2667; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 13 luglio 2010, n. 16683).

4.2 Il mero fatto che l’amministrazione non abbia risposto alle osservazioni della parte e che abbia provveduto senza tenere conto, quantomeno espressamente, di tali deduzioni, non sembra al Collegio decisivo, ex art. 21 octies della L. n. 241 del 1990, posto che l’ordine di sospensione di lavori abusivi e non sorretti da valido titolo edilizio costituisce atto vincolato e doveroso, non suscettibile, in quanto tale, di essere intaccato da censure formali, che, come noto, non sono idonee ad inficiare un siffatto genere di provvedimenti.

Il ricorso va quindi respinto.

5. Le spese e le competenze di causa possono essere nondimeno compensate tra le parti, attesa la peculiarità e l’oggettiva incertezza della questione decisa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente, Estensore

Giovanni Zucchini, Primo Referendario

Silvana Bini, Primo Referendario

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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