Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 02-07-2012, n. 11049

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che:

1. La richiesta del Procuratore generale deve essere accolta in quanto la presente controversia e quelle iscritte con i nn. di ruolo generale n. 11051/2010 e 11056/2010 riguardano domande di equa riparazione relative alla stessa insinuazione al passivo del fallimento Capital Italia s.r.l. effettuata dal dante causa delle ricorrenti G.S.;

2. La Corte di appello di Genova ha accolto, con separati decreti, solo in parte le domande di equa riparazione proposte da D. e Gi.De. e da Gu.Pi. nella qualità di coeredi del padre e del marito G.S. deceduto il (OMISSIS) e in proprio per il periodo successivo in relazione all’insinuazione, proposta da G.S. nell’aprile 1992, al passivo del fallimento Capital Italia s.r.l., dichiarato con sentenza del 6 dicembre 1991 e ancora in corso al momento delle domande di equa riparazione. Ha rilevato la Corte di appello che al momento della morte del G. la procedura fallimentare aveva superato da soli 4 mesi la durata, da ritenersi ragionevole, di dodici anni e pertanto ha liquidato, pro quota ereditaria a ciascuna delle coeredi, l’indennizzo di 111,11 Euro basandosi su un parametro annuo di 1.000 Euro. La Corte ha invece disatteso le domanda di equa riparazione iure proprio rilevando che le tre coeredi non erano personalmente intervenute nella procedura in veste di coeredi.

1. Contro i decreti della Corte di appello di Genova D. e Gi.De. e Gu.Pi. propongono ricorso per cassazione affidandosi ai seguenti motivi:

a) violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. e dei parametri fissati dalla C.E.D.U. in materia di ragionevole durata, violazione della L. n. 89 del 2001. La parte ricorrente rileva che in coerenza con l’orientamento della C.E.D.U. e della S.C. la durata ragionevole di un procedimento di carattere civile è di tre anni in primo grado, di due anni per la fase di appello e di un anno per quella di legittimità;

b) violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. e dei parametri fissati dalla C.E.D.U. in materia di ragionevole durata, violazione della L. n. 89 del 2001. La parte ricorrente rileva che non sono stati rispettati gli orientamenti della C.E.D.U. in materia di durata ragionevole della procedura fallimentare stimata in tre anni anzichè un anno;

c) violazione dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 89 del 2001. A giudizio della parte ricorrente chi assume che una procedura fallimentare si sia protratta rispetto alla durata considerata ragionevole ha l’onere di fornire la prova obiettiva documentale dell’instaurazione di procedure che abbiano ritardato la definizione della procedura fallimentare collegata non essendo sufficiente la dichiarazione, sia pure scritta, del curatore;

d) violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. e dei parametri fissati dalla C.E.D.U. in materia di ragionevole durata, violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001. Secondo la parte ricorrente nella valutazione della durata ragionevole del procedimento, ai sensi della L. n. 89 del 2001, si deve considerare la data iniziale di procedure collegate a partire dalla stessa data iniziale della procedura fallimentare mentre non dove essere considerata la fase asseritamente svoltasi davanti alla Corte di Cassazione non iscritta a ruolo o abbandonata;

e) omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e cioè la determinazione della decorrenza iniziale delle procedure collegate – nella ipotesi che esse vengano considerate nel computo complessivo della durata del procedimento fallimentare – che non va aggiunta al periodo di durata della procedura fallimentare ma compresa in essa;

f) violazione degli artt. 112, 115 e 167 c.p.c. violazione del principio di non contestazione. Secondo la parte ricorrente deve affermarsi il principio di diritto secondo il quale ex artt. 112, 115 e 162 c.p.c. non avendo il resistente eccepito la insussistenza della qualità di parte, anche iure proprio, delle ricorrenti, con specifica eccezione, si sia verificata la preclusione, con la conseguenza, da un lato, che la Corte non poteva rilevare d’ufficio l’eccezione e che, per altro verso, la parte ricorrente ha acquisito, a tutti gli effetti, la qualità di parte nel procedimento fallimentare. Rilevano poi le ricorrenti che il mancato esercizio da parte della Corte adita dell’ordine di acquisizione degli atti processuali comporta la conseguenza dell’acquisizione e/o del riconoscimento della qualità di parte nel procedimento fallimentare;

g) violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3), violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. e dei parametri fissati dalla Corte Europea in materia di indennizzo e in particolare violazione del criterio della posta in gioco. La ricorrente rileva che la Corte non aveva fatto riferimento ai fini della liquidazione alla vicenda della procedura fallimentare conseguente a un procedimento penale per truffa e altri reati a carico di M.G. e altri imputati – fra cui il legale rapp.te della Capital Italia, E. Ma. – e alla ridottissima quota liquidata dalla curatela pari all’1.93% del capitale investito dal padre G.S.. Le ricorrenti ritengono che la Corte di appello abbia violato il citato criterio della posta in gioco che avrebbe dovuto indurre il giudice del merito a commisurare l’indennizzo con riferimento alla fascia alta della forbice tra 1.000 e 1.500 Euro in considerazione dell’avvenuta perdita del risparmio investito dal G..

h) violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 112 c.p.c. e del principio dispositivo della prova ex art. 115 c.p.c., del principio della non contestazione. A giudizio delle ricorrenti la Corte non poteva acquisire il dato della sussistenza del procedimento promosso a titolo personale contro il Ministero della Giustizia per precedente conoscenza o per aver deciso in precedenza tale ricorso essendo il giudice vincolato ad acquisire solo le prove ritualmente consentite ex art. 115 c.p.c..

2. Si difende con controricorso il Ministero.

3. Le ricorrenti depositano memorie difensive.

Motivi della decisione

CHE:

4. in tema di ragionevole durata del procedimento fallimentare e tenendo conto della sua peculiarità, il termine è stato ritenuto elevabile fino a sette anni allorquando il procedimento si presenti particolarmente complesso: ipotesi, questa, che è ravvisatile in presenza di un numero particolarmente elevato dei creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare, di proliferazione di giudizi connessi nella procedura ma autonomi (e quindi a loro volta di durata vincolata alla complessità del caso), di pluralità di procedure concorsuali indipendenti.

5. Sebbene la procedura in questione – come già riconosciuto da questa Corte in fattispecie identica (Sez. 1, 14 novembre 2011, n. 23831) – si presenti senz’altro di particolare complessità, non è conforme al richiamato principio il decreto impugnato che ha ritenuto di poter individuare un termine di durata ragionevole superiore ai setti anni.

6. Al momento della morte del de cuius il termine di durata ragionevole della procedura fallimentare (calcolato in sette anni) era da decorso da cinque anni, tre mesi e venti giorni.

7. Non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto e la causa può quindi essere decisa nel merito. Ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale va fatta applicazione della giurisprudenza di questa Corte (Sez. 10, 14 ottobre 2009, n. 21840), a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere di Euro 750 per anno per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole, in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto superamento, mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere richiamato il parametro di Euro 1.000 per ciascun anno di ritardo;

8. Pertanto, il Ministero della giustizia deve essere condannato al pagamento della complessiva somma di 4.560 da ripartire pro quota alle tre coeredi nella misura di 1.520 Euro per ciascuna con interessi dalla data delle rispettive domande.

9. per quanto riguarda il danno non patrimoniale che le ricorrenti intendono far valere "iure proprio" non può non rilevarsi come, secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. sezione 1 n. 13803 del 23 giugno 2011), qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta nel corso di un processo avente una durata irragionevole, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo "iure proprio" soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte; non assume, infatti, alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 cod. proc. civ., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione.

8. Le spese del giudizio di merito e di cassazione vanno compensate per metà in considerazione dell’esito del giudizio.

P.Q.M.

La Corte, previa riunione del presente ricorso ai ricorsi nn. 11051/2010 e 11056/10, accoglie il primo, secondo, quarto e quinto motivo dei ricorsi riuniti e rigetta gli altri, cassa in relazione i decreti impugnati e, decidendo nel merito, condanna il Ministero al pagamento in favore di ciascuna delle ricorrenti della somma di 1.520 Euro con interessi dalla domanda. Condanna il Ministero al pagamento, in misura della metà, delle spese processuali di ogni giudizio di merito liquidate in Euro 440, 25 per spese, 190 per diritti e 225 per onorari e del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 335, di cui 285 per onorari e 50 per spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2012

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