Cass. civ. Sez. I, Sent., 03-07-2012, n. 11108 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Ministero della Giustizia ha proposto separati ricorsi per cassazione, sulla base di quattro motivi e memorie, avverso i decreti indicati in rubrica, con il quale la Corte di appello di Ancona ha condannato detto Ministero al pagamento in favore di D. E. e di G.C. della somma di Euro 20.000,00 ciascuna, a titolo di indennizzo per il superamento del termine di ragionevole durata di due separati processi, da loro instaurati davanti al Tribunale di Forlì nei confronti della s.n.c. Impresa Edile CES con atti di citazione in data 1 febbraio 1982 e cancellati dal ruolo ex art. 309 c.p.c. il 20 dicembre 2005 a seguito di accordo transattivo, nonchè al pagamento in favore delle medesime parti della somma di Euro 17.0000,00 ciascuna, a titolo di indennizzo per il superamento del termine di ragionevole durata di due separati processi, instaurati nei loro confronti davanti al Tribunale di Forlì dalla suddetta impresa edile con atti di citazione del 1985 e cancellati dal ruolo ex art. 309 c.p.c., il 20 dicembre 2005 a seguito di accordo transattivo.

La Corte di appello di Ancona ha accolto le domande nelle misure indicate, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata dei suddetti processi superiore, rispettivamente, di venti anni e di diciassette anni al termine ragionevole, escluso l’indennizzo per il danno patrimoniale.

Le parti intimate non hanno svolto difese.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente appare opportuno disporre la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 274 c.p.c., applicabile anche ai giudizio di legittimità (Cass. S.U. 2012/3690; Cass. 2011/22631; Cass. 2008/16405), in quanto aventi ad oggetto l’impugnazione di decreti della Corte di appello di Ancona in materia di equa riparazione della L. n. 89 del 2001, ex art. 2, relativi a giudizi presupposti strettamente connessi tra loro per oggetto e per titolo.

Il Ministero ricorrente censura i decreti impugnati, proponendo, per ciascun gravame, quattro motivi di ricorso, con i quali lamenta che:

1.1. i decreti sono stati sottoscritti solo dal presidente e non anche dal consigliere relatore, pur avendo detti provvedimenti valore decisorio e quindi di sentenza, anche se semplificata (primo motivo);

1.2. la Corte di merito ha omesso di considerare che la D. e la G. hanno ciascuna proposto due distinti giudizi di equa riparazione con riferimento a due separati giudizi tra le stesse parti, relativi ad un unico rapporto contrattuale, promossi rispettivamente nel 1982 e nel 1985, con conseguente duplicazione di richieste di equo indennizzo in relazione ad una medesima vicenda processuale (secondo motivo);

1.3. la Corte territoriale ha omesso di verificare la ricorrenza dei presupposti di legge ai fini della proposizione del giudizio di equa riparazione, non ricorrendo nella specie nessuna delle ipotesi alternativamente previste dalla L. n. 81 del 2001, art. 4, in quanto la causa è stata cancellata dal ruolo per inattività delle parti (terzo motivo);

1.4. il ricorso avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per mancanza dei presupposti di legge ai fini della sua proposizione, essendo stata la vicenda contenziosa definita con cancellazione della causa dal ruolo (quarto motivo).

2. Il primo motivo è manifestamente infondato, in quanto il provvedimento con il quale la corte di appello pronuncia sul ricorso in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo è emesso in forma di decreto che, pur avendo forma collegiale e natura decisoria, deve essere sottoscritto dal solo presidente del collegio, ai sensi dell’art. 135 c.p.c., comma 4, senza che sia necessaria la firma del relatore (Cass. 2006/2969).

2.1. Il secondo motivo è fondato. Dai decreti che hanno definito nel merito i giudizi ex L. n. 89 del 2001, risulta che:

a) la D. ha promosso un primo giudizio di equa riparazione (V.G. 398/06) in relazione a un processo civile da lei proposto contro la s.n.c. Impresa Edile CES davanti al Tribunale di Forlì con atto di citazione in data 1 febbraio 1982 e un secondo processo ex L. n. 89 del 2001 (V.G. 400/06), relativo a un separato giudizio civile concernente la medesima vicenda contrattuale, proposto nei suoi confronti nel 1985 dalla s.n.c. Impresa Edile CES davanti al menzionato tribunale;

b) la G., a sua volta, ha promosso un primo giudizio di equa riparazione (V.G. 401/06) in relazione a un processo civile da lei proposto la contro s.n.c. Impresa Edile CES con atto di citazione in data 1 febbraio 1982 davanti al Tribunale di Forlì e un secondo processo ex L. n. 89 del 2001 (V.G. 403/06), relativo a un separato giudizio civile concernente la medesima vicenda contrattuale, proposto nei suoi confronti nel 1985 dalla s.n.c. Impresa Edile CES davanti al menzionato tribunale.

Risulta pertanto evidente in atti che i giudizi presupposti a cui hanno fatto riferimento le domande di equa riparazione formulate dalla D. e dalla G., pur se formalmente proposti con separati atti di citazione, hanno avuto per oggetto la medesima vicenda contrattuale che ha visto contrapposte, rispettivamente, le suddette ricorrenti con la s.n.c. Impresa Edile CES in relazione agli obblighi reciprocamente derivanti da un contratto di appalto che la D. e la G. avevano separatamente concluso con la menzionata impresa, ed hanno pertanto costituito, rispettivamente per la D. e per la G., un solo rapporto processuale, il cui protrarsi oltre il termine ragionevole di durata ha determinato per ciascuna delle due ricorrenti un unico e complessivo stato di patema d’animo. Diversamente argomentando, si addiverrebbe ad una ingiustificata duplicazione di richieste di indennizzo in relazione al protrarsi di un unico rapporto processuale, non consentita perchè in contrasto con la disciplina prevista dalla n. 89 del 2001, atteso che in tema di equa riparazione, la nozione di causa, o di processo, considerata dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cui ha riguardo la citata L. n. 89 del 2001, art. 2, s’identifica con qualsiasi procedimento si svolga dinanzi agli organi pubblici di giustizia per l’affermazione o la negazione di una posizione giuridica di diritto o di soggezione facente capo a chi il processo promuova o subisca (Cass. 2005/18266;

2006/1630), e comunque e con il dovere di lealtà e probità delle parti del processo previsto dall’art. 88 c.p.c., comma 1.

2.2. Il terzo e il quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto attinenti alla medesima questione, sono manifestamente infondati, in quanto, ai sensi della L. n. 89 del 2001, l’equa riparazione viene accordata senza alcun riguardo all’esito del giudizio che ha registrato l’irragionevole durata; di conseguenza, qualora la parte invocante l’indennizzo sia addivenuta, nella pendenza di un processo di durata irragionevole, a transigere la controversia, il giudice del merito non può rinvenire in tale vicenda di conclusione alcun ostacolo alla valutazione della domanda, nè da detta scelta far discendere l’automatico diniego del ristoro del danno (Cass. 2003/1069), dovendo in tale ipotesi il diritto all’equa riparazione essere correlato al protrarsi irragionevole della durata della controversia per il tempo anteriore al momento in cui la transazione rifluisce sul processo (Cass. 2005/5398).

3. Le considerazioni che precedono conducono all’accoglimento dei ricorsi nei termini fin qui precisati e all’annullamento dei decreti impugnati in relazione alla censura accolta.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2. Va in primo luogo rilevato che la durata complessiva dei due giudizi presupposti, che hanno riguardato rispettivamente la D. e la G. nei confronti della s.n.c. Impresa Edile C.E.S. e che si sono articolati nelle domande contrapposte reciprocamente formulate dalle parti, si è protratta per circa ventitrè anni (dall’1 febbraio 1982 – data di proposizione delle domande della D. e della G., che hanno preceduto quelle della società, formulate nel 1985 – al 20 dicembre 2005, quando le cause sono state cancellate dal ruolo per mancata comparizione delle parti in udienza).

Di conseguenza il termine ragionevole di durata, determinato per il giudizio di primo grado in tre anni alla stregua dei parametri fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di cassazione (Cass. 2008/14), è stato superato nella misura di venti anni per ciascuno dei due giudizi.

Il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009.

Secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, "a condizione che le decisioni pertinenti" siano "coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato", e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata.

Tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086;

2010/819). Nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere a ciascuna delle due ricorrenti, in relazione ad una durata non ragionevole di venti anni, l’indennizzo di Euro 19.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione – compensate queste ultime per la metà, in considerazione dell’accoglimento solo parziale dei ricorsi – seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352). A tale riguardo va considerato che, per quanto riguarda le spese dei giudizi di merito, le due ricorrenti hanno proposto contemporaneamente distinti ricorsi per equa riparazione, con identico patrocinio legale, dando luogo a cause inevitabilmente destinate alla riunione, in quanto connesse per l’oggetto ed il titolo, e che tale condotta processuale si configura come abuso del processo, contrastando con l’inderogabile dovere di solidarietà, che impedisce di far gravare sullo Stato debitore il danno derivante dall’aumento degli oneri processuali, e con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, avuto riguardo all’allungamento dei tempi processuali derivante dalla proliferazione non necessaria dei procedimenti. Tale abuso non è sanzionabile con l’inammissibilità dei ricorsi, non essendo illegittimo lo strumento adottato ma le modalità della sua utilizzazione, ma impone per quanto possibile l’eliminazione degli effetti distorsivi che ne derivano, e quindi la valutazione dell’onere delle spese come se i due giudizi di equa riparazione promossi dalla D. e quelli intrapresi dalla G., fossero stati unici per ciascuna ricorrente fin dall’origine (v. Cass. 2010/10634).

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li accoglie nei termini di cui in motivazione. Cassa i decreti impugnati in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di ciascuna delle ricorrenti della somma di Euro 19.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda.

Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore delle ricorrenti delle spese del giudizio di merito, che si liquidano per ciascuna di loro in Euro 1.140,00, di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge.

Condanna inoltre la D. e la G. al pagamento in favore del Ministero della Giustizia delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano, a carico di ciascuna di loro, in Euro 1.500,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2012

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