Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 03-07-2012, n. 11103 Danno non patrimoniale

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso alla Corte d’appello di Bologna, C.P., quale erede di C.G. deceduto nel (OMISSIS), proponeva domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio in materia pensionistica, instaurato dal suo dante causa dinanzi alla Corte dei Conti nel marzo 1972, e definito in primo grado, dopo la riassunzione effettuata dall’erede nel maggio 2007, con sentenza di rigetto nell’aprile 2008. La Corte d’appello rigettava la domanda, ritenendo: a) che nella specie doveva escludersi che il dante causa della ricorrente avesse subito il pregiudizio non patrimoniale normalmente conseguente al protrarsi del giudizio oltre la durata ragionevole, considerando la sua originaria consapevolezza della inconsistenza delle proprie pretese, desumibile dal lungo tempo trascorso sino alla morte senza che il predetto documentasse il contenuto del ricorso o sollecitasse la decisione; b) che, quanto all’erede, la sua riassunzione del processo presupposto nel 2007 era avvenuta con connotazioni di tale genericità da lasciarne indurre la verosimile finalizzazione all’indennizzo ex L. n. 89 del 2001.

2. Avverso tale decreto C.P., in qualità di erede di C.G., ha proposto ricorso a questa Corte, cui resiste l’Amministrazione intimata con controricorso.

3. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

4. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6.1 e art. 13 C.E.D.U.), per non avere la Corte di merito considerato che il diritto all’equa riparazione sussiste a prescindere dall’esito della controversia sfavorevole per la parte richiedente e dalla originaria consapevolezza – peraltro da provare – che di tale esito questa potesse, o non, avere; e che, ciò posto, non può essere posta in discussione la legittimazione attiva dell’erede, succeduto nel processo, di colui che sia deceduto prima dell’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001 anche per l’equa riparazione del danno relativo alla irragionevole durata del processo anteriore alla sua successione. Tali doglianze sono fondate nei limiti delle considerazioni che seguono. In primo luogo, relativamente ai giudizi amministrativi – quale quello in esame – iniziati prima della entrata in vigore della L. n. 133 del 2008, la mancata proposizione di istanza sollecitatoria può assumere rilevanza, per consolidato orientamento di questa Suprema Corte a partire dalla nota S.U. n. 28507/05, solo ai fini dell’apprezzamento della entità del lamentato pregiudizio non patrimoniale, non già per escluderlo (cfr. ex multis Cass. n. 28428/08; n. 25518/10). Parimenti inidonea a giustificare il rigetto della domanda di equa riparazione deve ritenersi, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di questa Corte di legittimità, che il Collegio condivide (cfr. ex multis Cass. n. 12494/11; 9938/10; 9337/08; n. 15064/06; n. 19204/05; n. 3410/03), la circostanza che il ricorrente potesse prospettarsi un esito sfavorevole del giudizio. A tale circostanza non può invero attribuirsi rilevanza ai fini della esclusione della sofferenza morale per l’eccessivo protrarsi del processo, che, quale conseguenza normale di tale irragionevole durata, non può, senza incorrere in contraddizione, essere disconosciuta alla parte la cui pretesa giudiziale viene respinta (o in generale che subisce un esito sfavorevole del giudizio), salvi i casi nei quali questa abbia posto in essere un vero e proprio abuso del processo, configurabile allorquando risulti che abbia promosso una lite temeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire, con tattiche processuali di varia natura, il perfezionamento della fattispecie di cui alla L. n. 89 del 2001. La ricorrenza nel caso in esame di una siffatta fattispecie di abuso non risulta neppure specificamente evidenziata nel decreto impugnato, che tantomeno ne ha indicato gli elementi di riscontro. L’accoglimento del ricorso segue dunque di necessità.

5. Il provvedimento impugnato è pertanto cassato, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, tenendo presente: a) che al calcolo della ragionevolezza della durata del giudizio presupposto sfugge il periodo di svolgimento anteriore alla data dell’1 agosto 1973, a partire dalla quale è riconosciuta dal nostro ordinamento la facoltà del ricorso individuale alla Commissione (oggi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo), con la possibilità di far valere la responsabilità dello Stato (cfr. Cass. sez. 1 n. 16284/09; n. 14286/06); b) che, a partire dall’agosto 1973, il giudizio presupposto si è protratto, sino al decesso del dante causa della ricorrente avvenuto nel maggio 1989 (avendo la ricorrente proposto l’impugnazione nella esclusiva qualità di erede), per un periodo di circa sedici anni. Ciò posto, va osservato, in ordine alla liquidazione dell’indennizzo, come la Corte E.D.U. (le cui pronunce costituiscono come noto un fondamentale punto di riferimento per il giudice nazionale nella interpretazione delle disposizioni della C.E.D.U.), in numerosi giudizi di lunga durata davanti alle giurisdizioni amministrative nei quali gli interessati – come nella specie – non risultavano aver sollecitato la trattazione e/o definizione del processo mostrando di avervi scarso interesse, ha liquidato un indennizzo forfetario per l’intera durata del giudizio che, suddiviso per il numero di anni, ha oscillato tra gli importi di Euro 350,00 e quello di Euro 550,00 per anno (cfr. procedimenti 675/03; 688/03 e 691/03; 11965/03), pur se in qualche caso non è mancata una liquidazione superiore. Alla luce di tali orientamenti della Corte di Strasburgo, dettati in casi analoghi, ritiene il collegio che l’importo complessivo dell’indennizzo debba essere fissato, in relazione ad un giudizio durato circa sedici anni, in modo da non scendere al di sotto della soglia di Euro 8.000,00.

Pertanto l’Amministrazione resistente deve essere condannata al pagamento in favore della ricorrente, nella misura corrispondente alla sua quota ereditaria, di Euro 8.000 oltre agli interessi legali dalla data della domanda.

6. Le spese di entrambi i gradi del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti precisati in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero resistente a corrispondere alla ricorrente, nella misura corrispondente alla sua quota ereditaria, la somma di Euro 8.000,00 con gli interessi legali a decorrere dalla data della domanda.

Condanna inoltre il Ministero al pagamento delle spese del giudizio di merito -in Euro 600 per onorali, Euro 490 per diritti e Euro 50 per esborsi- e di questo giudizio di legittimità, in Euro 865 per onorari e Euro 100 per esborsi, oltre, per entrambi, le spese generali e gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 1, della Corte Suprema di Cassazione, il 8 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2012

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