T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, Sent., 12-01-2012, n. 20

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con il provvedimento indicato in epigrafe, il Comune di Candelo ha accertato l’esecuzione di opere in difformità dal titolo abilitativo presso l’immobile residenziale di proprietà dell’odierna ricorrente e ne ha ingiunto la demolizione, ai sensi dell’art. 7 della L. 28 febbraio 1985, n. 47.

La licenza edilizia rilasciata nel 1966 prevedeva, infatti, la realizzazione di un piano interrato e di due piani fuori terra, mentre il fabbricato è stato costruito con tre piani fuori terra ed ha una volumetria di gran lunga superiore a quella assentita (mc 933 anziché mc 614).

Con il medesimo provvedimento, è stato anche stabilito che, nel caso di inottemperanza all’ordine di demolizione nel termine prescritto, l’area di sedime del fabbricato (avente una superficie di mq 630 circa) sarebbe stata acquisita gratuitamente al patrimonio comunale.

2) Con ricorso giurisdizionale ritualmente e tempestivamente notificato, l’interessata ha impugnato l’ingiunzione di demolizione, deducendo motivi di gravame così rubricati:

I) Incompetenza del soggetto emittente l’ordinanza.

II) Eccesso di potere per difetto di motivazione e per difetto di interesse pubblico.

III) Eccesso di potere per contraddittorietà di provvedimenti.

IV) Eccesso di potere per carenza di indicazione delle opere da demolire.

V) Eccesso di potere per presupposto erroneo e violazione ed in ogni caso errata applicazione della L. n. 47 del 1985 (art. 7) e successive modificazioni ed integrazioni.

VI) Eccesso di potere e violazione di legge per prescrizione dell’illecito ed intervenuta usucapione.

VII) Violazione di legge per mancanza di comunicazione dell’avvio del procedimento.

VIII) Violazione di legge per carenza del diritto del Comune di acquisire l’area di sedime.

3) Si è costituito in giudizio il Comune di Candelo, opponendosi all’accoglimento del ricorso con comparsa di mera forma.

Con ordinanza della Sezione n. 926 del 23 luglio 1998, motivata unicamente con riferimento alla sussistenza del requisito del periculum, è stata accolta l’istanza cautelare proposta in via incidentale dalla ricorrente.

In seguito, il ricorso veniva dichiarato perento con decreto presidenziale n. 1743 del 4 maggio 2011.

A seguito di opposizione dell’interessata, tale provvedimento è stato revocato con decreto presidenziale n. 2576 del 4 luglio 2011.

In prossimità della pubblica udienza, parte ricorrente ha depositato una memoria con la quale articola ulteriormente le argomentazioni sottese ad alcuni dei motivi di gravame.

Il ricorso, infine, è stato chiamato all’udienza del 20 dicembre 2011 e ritenuto in decisione.

4) Sono fondati e meritevoli di accoglimento il secondo e l’ottavo motivo di ricorso.

5) Con il secondo motivo, l’esponente denuncia il vizio di eccesso di potere per carenza di motivazione, non avendo il Comune di Candelo dato conto dell’interesse attuale alla rimozione di abusi edilizi risalenti a circa 30 anni prima dell’adozione del provvedimento ripristinatorio, con conseguente radicamento di un legittimo affidamento in capo all’odierna proprietaria in ordine al mantenimento delle opere abusive.

5.1) Questo tipo di censura ha ricevuto, nel corso del tempo, valutazioni non univoche da parte della giurisprudenza amministrativa.

5.2) L’orientamento più risalente, formatosi sulla scia della decisione dell’Adunanza plenaria n. 12 del 19 maggio 1983, riteneva che il decorso del tempo costituisse elemento idoneo ad incidere sulla consistenza del supporto motivazionale dei provvedimenti sanzionatori in materia edilizia.

Veniva così affermato che, se gli ordini di demolizione delle opere abusivamente realizzate non abbisognano, di norma, di una specifica motivazione sulle ragioni di pubblico interesse che ne giustificano l’emanazione, tale principio incontra un’eccezione nel caso in cui, a causa del lungo lasso di tempo trascorso dalla perpetuata violazione, si fosse creata a favore del privato una situazione di fatto del tutto consolidata, per la cui modificazione l’autorità precedente è tenuta ad indicare le ragioni che, a distanza di tempo, giustificano l’adozione della sanzione.

Tale orientamento è stato fatto proprio dalla Sezione in molteplici occasioni, anche recenti, soprattutto a fronte di abusi edilizi di modesta consistenza (cfr., fra le altre, la sentenza n. 4052 del 14 dicembre 2005, relativa alla demolizione di una baracca abusiva in legno la cui costruzione risaliva a circa 30 anni prima del provvedimento sanzionatorio, ossia lo stesso arco di tempo che è trascorso nella fattispecie che forma oggetto della presente controversia).

5.3) In epoca più recente, si è decisamente affermato nella giurisprudenza amministrativa, sia di primo che di secondo grado, un orientamento ispirato a maggior rigore, secondo cui la natura vincolata dell’ordine di demolizione comporta che esso non richieda una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può giammai legittimare (cfr., fra le molte, Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2011, n. 79).

5.4) L’orientamento da ultimo riferito è meritevole di apprezzamento nella misura in cui chiarisce come il semplice decorso del tempo, unitamente all’inerzia dei pubblici poteri preposti alla repressione degli abusi edilizi, non valga a generare alcuna aspettativa o legittimo affidamento in capo al contravventore, ossia al soggetto che ha posto in essere l’abuso edilizio, ma solo un consolidamento della sua posizione che viene necessariamente meno a fronte dell’interesse della collettività al ripristino dell’assetto del territorio preesistente all’abuso.

5.5) Una diversa valutazione si impone, invece, qualora vengano in rilievo altri fattori idonei a fondare la buona fede del privato, quale fonte di un affidamento meritevole di tutela.

E’ quanto si verifica nella fattispecie all’esame, atteso che la ricorrente risulta completamente estranea alla realizzazione delle opere abusive.

Essa, infatti, ha acquistato l’immobile con rogito del 1996, mentre le opere in difformità erano state realizzate dal 1967 al 1968.

Lo stesso provvedimento impugnato, d’altronde, identifica puntualmente i responsabili dell’abuso con riferimento ai soggetti intestatari della licenza edilizia e committenti dei lavori.

Ne deriva che l’odierna ricorrente poteva non essere consapevole del contrasto delle opere eseguite rispetto al titolo edilizio ottenuto molti anni addietro da terze persone e, per l’effetto, può ipotizzarsi in capo ad essa un legittimo affidamento in ordine al mantenimento del fabbricato edificato in difformità dal titolo abilitativo.

5.6) Tale valutazione si rafforza alla luce del particolare valore che il manufatto riveste per la sua proprietaria, trattandosi della casa di civile abitazione, nonché della comprova circa la conformità della costruzione al progetto approvato costituita dal certificato di abitabilità rilasciato nel 1969.

5.7) Con riferimento a tali elementi, appare pertanto individuabile un obbligo del Comune di motivare il sacrificio dell’affidamento del privato con ragioni di interesse pubblico prevalenti e ulteriori rispetto al mero ripristino della legalità violata.

Il provvedimento impugnato non contiene tale motivazione, limitandosi all’accertamento dell’abusività delle opere, e merita, pertanto, di essere annullato.

6) E’ fondato anche l’ottavo motivo di ricorso, inerente l’autonoma sanzione, destinata a trovare applicazione nel caso di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, rappresentata dall’acquisizione gratuita dell’area di sedime al patrimonio comunale.

Tale sanzione, prevista dal terzo comma dell’art. 7 della L. n. 47 del 1985, si riferisce, infatti, esclusivamente al responsabile dell’abuso e non può operare nella sfera giuridica di altri soggetti e, in particolare, nei confronti del proprietario dell’area quando risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell’opera abusiva (cfr., fra le ultime, T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 20 dicembre 2010, n. 27683).

Questo principio trova puntuale applicazione nel caso in esame in quanto, come si è già avuto modo di riferire, la ricorrente ha acquistato l’immobile molti anni dopo l’epoca di realizzazione degli abusi e poteva essere all’oscuro delle difformità successivamente accertate dall’amministrazione.

7) I rilievi che precedono, pur idonei a determinare l’accoglimento del ricorso e l’annullamento del provvedimento lesivo nella sua interezza, non risultano, tuttavia, integralmente satisfattivi dell’interesse azionato da parte ricorrente: l’annullamento dell’atto per difetto di motivazione, infatti, lascia ipoteticamente integro il potere dell’amministrazione di rideterminarsi sull’oggetto, mentre l’accoglimento dell’ottavo motivo di ricorso incide solo sulla sanzione autonoma rispetto all’ordine di demolizione.

Ne deriva l’esigenza di vagliare anche gli altri motivi di gravame proposti da parte ricorrente.

Essi, a differenza dei precedenti, risultano manifestamente infondati.

7.1) Con il primo motivo di ricorso, l’esponente denuncia il vizio di incompetenza, poiché l’ingiunzione di demolizione avrebbe dovuto essere firmata dal Sindaco, come testualmente previsto dall’art. 7 della L. n. 47 del 1985, anziché dal responsabile dell’Ufficio tecnico comunale.

Le attribuzioni sindacali in materia, peraltro, erano già venute meno per effetto dell’art. 51 della L. 8 giugno 1990, n. 142, che, ponendo una radicale distinzione fra atti di indirizzo e controllo, rimessi agli organi di governo dell’ente locale, e atti di gestione ordinaria di tutte le altre funzioni amministrative, spettanti ai dirigenti o ai funzionari responsabili dei servizi, ha fatto sì che tutti gli atti di vigilanza sul territorio, ivi compresi gli ordini di demolizione delle costruzioni abusive, fossero attribuiti all’esclusiva competenza dei secondi (T.A.R Lazio, Roma, sez. II, 19 settembre 1994, n. 1052).

7.2) Con il terzo motivo di ricorso, l’esponente denuncia il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà estrinseca, facendo riferimento agli elaborati cartografici della variante del piano regolatore adottata nel 1996, che raffigurano l’edificio come esistente, ed al certificato di abitabilità del fabbricato rilasciato nel 1969.

Il primo parametro di riferimento, però, è del tutto inconferente, poiché la raffigurazione cartografica di un edificio non vale certo ad attestare che esso sia stato realizzato in conformità al titolo abilitativo.

Quanto al certificato di abitabilità (del quale si è già avuto modo di riferire sub 5.6), la denunciata contraddittorietà sussiste effettivamente, ma non costituisce di per sé circostanza atta ad inficiare la legittimità dell’impugnata ingiunzione di demolizione, trattandosi di atti adottati nell’esercizio di un diverso potere e considerando, in ogni caso, che eventuali irregolarità o negligenze commesse in precedenza non possono comportare la consumazione dei poteri repressivi e ripristinatori dell’amministrazione.

7.3) La censura dedotta con il terzo motivo di ricorso investe la pretesa indeterminatezza del provvedimento impugnato, nel quale non sarebbero precisamente individuate le porzioni del fabbricato di cui si ingiunge la demolizione.

Il rilievo non ha pregio, essendo evidente che la sanzione demolitoria è stata applicata nei confronti dell’intero edificio, siccome realizzato in totale difformità dal titolo abilitativo edilizio.

7.4) Con il quinto motivo di ricorso, viene contestata la qualificazione dell’abuso fatta dall’amministrazione, dovendosi ravvisare nella fattispecie un’ipotesi di costruzione in parziale (e non totale) difformità dal titolo edilizio, per cui è prevista l’applicazione di una semplice sanzione pecuniaria.

Anche questa argomentazione è destituita di fondamento in quanto, in disparte l’aumento di volumetria accertato dai tecnici comunali, l’incontestato aumento del numero dei piani fuori terra integra una sicura ipotesi di difformità totale (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 8 novembre 2007, n. 6200).

7.5) Viene ancora affermato, con il sesto motivo di ricorso, che la pretesa sanzionatoria e ripristinatoria del Comune di Candelo sarebbe ormai prescritta.

Gli illeciti edilizi, però, rivestono carattere permanente e la relativa attività di repressione non è soggetta ad alcun termine di decadenza o di prescrizione (cfr., fra le molte, T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 29 luglio 2010, n. 17176).

7.6) Infine, con il settimo motivo di ricorso, viene lamentata la mancata preventiva comunicazione dell’avvio del procedimento repressivo.

La giurisprudenza, però, ha chiarito che, in ragione del contenuto rigidamente vincolato che li caratterizza, gli atti sanzionatori in materia edilizia non necessitano di essere preceduti dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento (cfr., fra le ultime, T.A.R. Liguria, sez. I, 22 aprile 2011, n. 666).

8) In considerazione delle oscillazioni giurisprudenziali di cui si è riferito in precedenza, le spese di lite vanno integralmente compensate fra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Franco Bianchi, Presidente

Richard Goso, Primo Referendario, Estensore

Paola Malanetto, Referendario

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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