T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, Sent., 12-01-2012, n. 17 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso giurisdizionale ritualmente notificato, gli esponenti, proprietari di alloggi nel condominio sito in Acqui Terme, via Casagrande 12, contestano la legittimità del permesso di costruire n. 2/2011, rilasciato in data 19 gennaio 2011, con cui l’impresa controinteressata è stata autorizzata a realizzare un fabbricato residenziale plurifamiliare in area adiacente alla proprietà condominiale.

L’impugnativa giurisdizionale investe anche i precedenti atti di approvazione delle varianti parziali al P.R.G.C., nella parte in cui vengono introdotte modifiche alla disciplina delle distanze nella zona interessata dalla nuova edificazione, nonché la delibera di approvazione del P.E.C. attuato con il permesso di costruire impugnato in principalità.

Parte ricorrente deduce motivi di gravame così rubricati:

(quanto al permesso di costruire):

I) Violazione della disciplina sulle distanze dal confine degli edifici recata per l’area dal s.u.e. Galazzo dall’art. 45 n.t.a. sia nel testo recato dalla variante parziale al piano regolatore generale della Città di Acqui Terme, approvata con delibera del Consiglio comunale del 27 novembre 2009, n. 4, sia in quello modificato dalla successiva variante parziale approvata con delibera del Consiglio comunale del 16 luglio 2010, n. 19.

II) Violazione dell’art. 19, punto 5b, n.t.a. del p.r.g. sulla fascia di rispetto ferroviaria.

III) Violazione degli artt. 21, 39 e 43 della L.R. piemontese 5 dicembre 1977, n. 56 e s.m.i. Travisamento dei fatti.

IV) Violazione dell’art. 46, comma 2, lett. a), del Regolamento di attuazione ed esecuzione del codice della strada, approvato con D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, e delle condizioni espressamente poste dal parere 26 agosto 2010 del Corpo di polizia municipale.

V) Violazione dell’art. 3 della convenzione urbanistica relativa al "S.U.E. Via Galeazzo" stipulata con rogito 7 dicembre 2010, n. rep. 163873/n. racc. 18635.

VI) Violazione dell’art. 16, lett. m), R.D. 11 febbraio 1929, n. 274 e dell’art. 52, R.D. ottobre 1925, n. 2537.

VII) Violazione dei principi generali in materia di assunzione e verbalizzazione degli atti degli organi collegiali del Comune (e più in generale della p.a.). Violazione dell’art. 97 della Costituzione. Eccesso di potere per perplessità, contraddittorietà ed illogicità.

VIII) Violazione dell’art. 4, comma 2, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e dell’art. 3, L. 7 agosto 1990, n. 241. Travisamento dei fatti e contraddittorietà (o carenza) della motivazione.

IX) Illegittimità derivata;

(quanto alle due delibere di approvazione delle varianti parziali al P.R.G.C.):

X) Violazione dell’art. 9, ultimo comma, D.M.. 2 aprile 1968, n. 1444.

Si sono costituti in giudizio il Comune di Acqui Terme e l’impresa controinteressata, entrambi eccependo l’irricevibilità del ricorso, nella parte in cui vengono impugnati gli atti di approvazione delle due varianti parziali e del P.E.C., e l’infondatezza nel merito.

Con ordinanza n. 327 del 14 maggio 2011, è stata respinta, per carenza di fumus, l’istanza cautelare proposta in via incidentale dai ricorrenti.

Parte ricorrente ha successivamente proposto ricorso per motivi aggiunti, avente ad oggetto la delibera consiliare di approvazione della variante parziale n. 19 del 16 luglio 2010, già impugnata con il ricorso introduttivo, nonché la presupposta deliberazione di giunta provinciale n. 195 del 23 giugno 2010, recante parere favorevole circa la compatibilità della variante parziale con il P.T.P.

Viene dedotto il seguente nuovo motivo di gravame:

XI) Violazione dell’art. 42, comma 1, del d.Lgs. agosto, n. 267. Vizio di procedimento. Incompetenza. In subordine, illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 7, L.R. 5 dicembre 1977, n. 56 e s.m.i., in relazione all’art. 117, comma 2, lett. p), Costituzione.

Nel prosieguo del giudizio, si è costituita la Provincia di Alessandria la quale prende posizione limitatamente alle censure che investono la propria deliberazione impugnata con motivi aggiunti.

In prossimità della pubblica udienza, i ricorrenti e il Comune hanno ulteriormente articolato le proprie argomentazioni con apposite memorie difensive e di replica.

Il ricorso, infine, è stato chiamato alla pubblica udienza del 20 dicembre 2011 e, previa trattazione orale, è stato ritenuto in decisione.

Motivi della decisione

1) In via preliminare, va disattesa l’eccezione di irricevibilità del ricorso, concordemente proposta dalla difesa comunale e della controinteressata, con riferimento all’impugnazione delle varianti parziali al P.R.G.C. che hanno modificato la disciplina delle distanze nella zona in cui è prevista la nuova edificazione.

Sostengono gli eccepienti che l’impugnazione di tali atti sarebbe tardiva, essendo stata proposta dopo che era ampiamente decorso il termine decadenziale di sessanta giorni decorrente dall’ultimo giorno di pubblicazione delle relative deliberazioni.

La giurisprudenza amministrativa, tuttavia, ha chiarito che la regola secondo cui il termine per impugnare lo strumento urbanistico generale o le sue varianti decorre dal giorno di scadenza del periodo di pubblicazione è derogata in due casi: il primo si verifica quando il piano impone un vincolo espropriativo su uno specifico immobile; la seconda deroga, riferibile alla fattispecie controversa, si profila nell’ipotesi in cui, accanto a prescrizioni che definiscono gli assetti generali del territorio, il piano o la sua variante contengono anche prescrizioni di dettaglio che disciplinano aspetti strettamente edilizi dell’attività edificatoria: in quest’ultimo caso, il termine per l’impugnazione decorre dal momento in cui le prescrizioni edilizie divengono concretamente lesive per i ricorrenti, ossia dal momento della conoscenza del titolo edilizio che le ha recepite (Cons. Stato, sez. IV, 23 dicembre 2010, n. 9375).

Gli enunciati principi si attagliano perfettamente al caso di specie, atteso che i ricorrenti non hanno censurato aspetti della pianificazione urbanistica posta in essere con le varianti che formano oggetto di impugnazione, ma i contenuti delle medesime che regolano le caratteristiche dell’attività edilizia.

Ne consegue la valutazione di tempestività del ricorso introduttivo, notificato entro il termine di sessanta giorni dal rilascio del permesso di costruire impugnato in principalità.

2) Nel merito, tutte le censure di legittimità dedotte con il ricorso introduttivo sono destituite di giuridico fondamento.

Va confermata, pertanto, la diagnosi di infondatezza del gravame provvisoriamente formulata in sede cautelare.

3) Tale valutazione si impone, innanzitutto, per il primo (e centrale) motivo di ricorso, contenente censure riferite alla pretesa violazione delle distanze dai confini, fissate, dalla disciplina urbanistica vigente al momento del rilascio del titolo edificatorio, nel limite di metri 3, salvo i casi di accordo con i proprietari confinanti o di costruzione in aderenza.

Gli esponenti sostengono che il primo piano fuori terra del nuovo fabbricato sarà posto a metri 1 di distanza dalla contrapposta parete del loro condominio.

Inoltre, i piani superiori dell’edificio (dal secondo al settimo) non rispetterebbero la distanza minima di metri 5 stabilita dalla disciplina vigente al momento dell’approvazione del P.E.C. attuato con la nuova edificazione.

Entrambi i rilievi sono infondati.

Come si evince agevolmente dagli elaborati grafici del progetto approvato (in particolare dalla tavola 2), infatti, il costruendo fabbricato sorgerà, per tutta la sua altezza, in aderenza alla parete cieca del condominio dei ricorrenti.

Lo spazio al primo piano fuori terra del nuovo edificio è semplicemente un corridoio chiuso e non, come pretenderebbero i ricorrenti, un’intercapedine vuota e aperta.

Ad abundantiam, si rileva che la difesa comunale ha prodotto in atti un rogito notarile del 2009 contenente l’autorizzazione di parte venditrice a costruire in deroga alle prescritte distanze dai confini.

4) Con il secondo motivo di ricorso, gli esponenti denunciano la violazione della vigente prescrizione urbanistica di livello locale che impone di costruire ad una distanza non inferiore a metri 30 dalla linea ferroviaria, mentre il nuovo edificio disterebbe appena metri 15 dalla più vicina rotaia.

Più precisamente, gli esponenti rilevano come l’art. 19 delle n.t.a. richiami puntualmente il divieto stabilito dall’art. 49 del D.P.R. n. 753 del 1980, senza tuttavia contemplare le possibilità di deroga previste da quest’ultima disposizione, con la conseguenza che il citato limite di metri 30 non potrebbe essere superato neppure in forza di apposita autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.

L’accennata prospettazione è priva di pregio giuridico.

Il vincolo di inedificabilità relativa posto dal citato art. 49 è determinato, infatti, da ragioni di sicurezza, non di tutela dell’ordinato assetto del territorio, e può essere derogato, quando la situazione concreta lo consenta, su autorizzazione degli uffici ferroviari preposti alla tutela del vincolo stesso: é evidente come l’esercizio di quest’ultimo potere, previsto dall’art. 60 del D.P.R. n. 7537 del 1980, non possa essere condizionato dalla circostanza che le norme urbanistiche locali non vi abbiano fatto espresso riferimento.

Nel caso in esame, pertanto, l’edificazione è stata legittimamente assentita in deroga alla distanza minima dalla linea ferroviaria, sulla base di specifica autorizzazione in deroga rilasciata da R.F.I. in data 13 gennaio 2011, in atti.

5) Parimenti infondato è il terzo motivo di ricorso, inerente la pretesa violazione degli standards urbanistici previsti dall’art. 21 della legge urbanistica regionale, nella specie asseritamente garantiti attraverso la cessione di un’area di mq 110 che, però, era già nella piena disponibilità dell’ente locale, come dimostrerebbe la destinazione ab immemore dell’area medesima al pubblico transito.

Come si evince dai conteggi prodotti in giudizio dalla difesa comunale, però, applicando l’opzione prevista dall’art. 12 n.t.a. in alternativa alla dismissione, tale superficie è stata inclusa tra le aree da "monetizzare".

Ne consegue la diagnosi di infondatezza in fatto del rilievo, dal momento che l’area in questione, pur ceduta al Comune, non è stata contestualmente computata ai fini del rispetto degli standards urbanistici.

6) Con il quarto motivo di ricorso, viene denunciata la violazione dell’art. 46 del regolamento di attuazione del codice della strada, in relazione al fatto che il realizzando passo carrabile sarebbe collocato ad un distanza inferiore rispetto al prescritto limite minimo di 12 metri da un’intersezione stradale.

In disparte il fatto che le controparti contestano tale affermazione, rilevando che tra il passo carrabile e l’intersezione stradale vi sarebbe una distanza di almeno 20 metri, il rilievo non vale in astratto a configurare un vizio di legittimità dell’impugnato titolo abilitativo edilizio, atteso che il rispetto della prescritta distanza minima di 12 metri attiene alla compatibilità dell’opera con la sicurezza della circolazione e della viabilità e rileva, eventualmente, in sede di rilascio della distinta autorizzazione ex art. 46 cit.

7) Secondo quanto affermano gli esponenti con il quinto motivo di ricorso, il progetto assentito prevederebbe un’altezza del realizzando edificio superiore a quella prevista dalla convenzione attuativa del P.E.C. (metri 21,35 in luogo di metri 20,75).

La censura non considera, però, le speciali disposizioni in materia di contenimento dei consumi energetici (art. 11 del D.Lgs. n. 115 del 2008) che escludono dal computo delle altezze il maggior spessore dei solai necessario per ottenere la prescritta riduzione dell’indice di prestazione energetica, fino ad una massimo di 15 centimetri rispetto allo spessore standard di 30 centimetri di ogni solaio.

Nel caso in esame, scomputando dall’altezza massima del nuovo edificio 10 centimetri per ognuno dei sei solai in progetto, si perviene ad un’altezza di m. 20,75, perfettamente conforme alle previsioni della convenzione urbanistica.

8) Le censure dedotte con il sesto motivo di ricorso riguardano la violazione delle norme in materia di attività di progettazione degli edifici e, segnatamente, l’art. 16 del R.D. n. 274 del 1929 che limita la competenza professionale dei geometri alla progettazione di "modeste costruzioni civili": l’edificio di cui si controverte, non potendosi certo considerare alla stregua di modesta costruzione, non avrebbe quindi potuto essere progettato da un geometra.

Gli esponenti denunciano anche la violazione dell’art. 52 del R.D. n. 2537 del 1925, in forza del quale le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico sono di spettanza degli architetti.

Entrambi i rilievi sono privi di fondamento.

Quanto alla pretesa violazione delle norme sui limiti della competenza professionale dei geometri, è appena il caso di osservare che il progetto de quo è stato firmato anche da un ingegnere.

Non era necessario, inoltre, l’intervento professionale di un architetto, trattandosi di progettazione di un normale edificio di civile abitazione privo di rilievo dal punto di vista artistico.

Né può desumersi la necessità di tale apporto professionale dalla nota della Soprintendenza per i beni archeologici del 13 settembre 2010: tale atto fa riferimento alla potenziale presenza di reperti archeologici nell’area interessata dalla nuova edificazione e, avendo riguardo a tale eventualità, prescrive che le opere di scavo siano effettuate da imprese dotate dei necessari requisiti di specializzazione archeologica, senza menzionare o in alcun modo implicare il ricorso a competenze proprie della professione di architetto.

9) Con il settimo motivo di ricorso, gli esponenti denunciano pretesi errori procedimentali che avrebbe inficiato il parere favorevole al progetto reso dalla Commissione edilizia di Acqui Terme nella seduta del 29 luglio 2010: il relativo verbale, infatti, sarebbe stato sottoscritto da uno dei componenti (il geologo Marco Orsi) che non risultava presente al momento dell’esame della specifica pratica; non sarebbe indicato, inoltre, il nominativo del segretario verbalizzante.

Il primo rilievo è frutto di mero formalismo e non rivela l’esistenza di alcuna irregolarità nella redazione del verbale, atteso che il menzionato geologo, il quale si era assentato nel corso della seduta e non aveva partecipato all’esame dello specifico progetto, ha tuttavia firmato, come tutti gli altri membri della Commissione, il verbale della seduta cui aveva inizialmente presenziato, nel corso della quale erano state esaminate altre pratiche oltre a quella che forma oggetto della controversia: tale sottoscrizione non contraddice i contenuti della verbalizzazione, con cui si dà correttamente atto della sua assenza per parte della seduta.

Quanto al nominativo del segretario verbalizzante, i deducenti hanno evidentemente omesso di esaminare la prima pagina del verbale, nella quale viene indicato con tale compito il tecnico comunale Patrizia Voglino.

10) Le censure dedotte con l’ottavo motivo di ricorso fanno nuovamente riferimento al parere della Commissione edilizia che, in ragione delle prescrizioni ivi impartite (modifica dello spigolo del fabbricato onde rispettare le distanze fra edifici, installazione di dispositivi per l’uso delle energie rinnovabili, acquisizione del nulla osta della Soprintendenza per i beni archeologici), avrebbe comportato l’esigenza di predisporre un nuovo progetto onde superare le criticità rilevate: non si tratterebbe, in altre parole, di parere favorevole condizionato, ma di parere contrario dal quale l’amministrazione si è immotivatamente discostata in sede di rilascio del permesso di costruire.

Anche questa prospettazione risente di un approccio formalistico che la rende inidonea a rivelare l’esistenza di effettivi profili di illegittimità.

Il parere in questione, infatti, è stato reso in senso dichiaratamente favorevole, con l’apposizione di condizioni che, non incidendo sugli aspetti fondamentali del progetto, non valevano certo a mutarne il segno positivo emergente dal tenore testuale dell’atto.

L’adeguamento del progetto alle condizioni poste dalla Commissione edilizia richiedeva, inoltre, semplici verifiche di carattere oggettivo alle quali ha legittimamente provveduto il responsabile del procedimento: il ritorno della pratica in Commissione, auspicato da parte ricorrente, avrebbe rappresentato, invece, un aggravio procedimentale indebito in quanto non imposto dalla natura degli accertamenti predetti.

11) Con il nono e decimo motivo di ricorso, viene denunciata la violazione dell’art. 9 del D.M.. lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, che prevede una distanza minima assoluta di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti ovvero, quando uno degli edifici che si fronteggiano abbia altezza superiore a metri 10, una distanza almeno pari all’altezza del fabbricato più alto.

Sarebbero pertanto illegittime, ad avviso di parte ricorrente, le impugnate varianti parziali al P.R.G.C. che hanno consentito una distanza fra gli edifici di 10 metri, mentre avrebbero dovuto imporre il rispetto di una distanza pari all’altezza del fabbricato maggiormente sviluppato in altezza, ossia di oltre 22 metri.

Ne conseguirebbe, inoltre, l’illegittimità derivata del permesso di costruire rilasciato alla controinteressata.

La censura non considera esattamente il tenore testuale della disposizione normativa che si assume violata.

Il citato art. 9, infatti, riferisce letteralmente il limite corrispondente all’altezza dell’edificio più alto ai soli edifici ricadenti nelle zone C.

Trattandosi nella fattispecie di edificio ricadente in zona B, si applica, invece, il solo limite di 10 metri fra pareti finestrate, il cui rispetto non è fatto oggetto di contestazione.

12) Per tali motivi, il ricorso introduttivo è infondato e deve essere respinto.

13) Il ricorso per motivi aggiunti consegnato per la notifica in data 9 giugno 2011, invece, è palesemente irricevibile.

Esso, infatti, è stato tardivamente proposto avverso un provvedimento – la deliberazione consiliare n. 19 del 16 luglio 2010 di approvazione della variante parziale al P.R.G.C. – già impugnato con il ricorso introduttivo, di cui gli esponenti avevano acquisito piena conoscenza, al più tardi, in data 24 marzo 2011, quando avevano depositato copia della deliberazione medesima agli atti del presente giudizio.

Analoga diagnosi di tardività deve essere riferita all’impugnativa della deliberazione n. 195/2010, con cui la Giunta provinciale di Alessandria aveva espresso parere favorevole circa la compatibilità della variante parziale con il P.T.P., atteso che il preteso vizio di incompetenza denunciato da parte ricorrente emergeva direttamente dalla lettura del provvedimento di approvazione della variante, recante nel preambolo la compiuta indicazione degli estremi dell’atto presupposto, ivi compresa l’individuazione dell’organo che lo aveva adottato.

14) Ritiene il Collegio, comunque, che nella fattispecie controversa siano ravvisabili peculiarità tali da giustificare l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Dichiara irricevibile il ricorso per motivi aggiunti.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Franco Bianchi, Presidente

Richard Goso, Primo Referendario, Estensore

Paola Malanetto, Referendario

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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