Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-07-2012, n. 11095 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ricorso al Tribunale di Roma B.F., assunto da Poste Italiane s.p.a. con: 1) un primo contratto a tempo determinato da 15 giugno 1998 al 30 settembre 1998 per "necessità dell’espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre"; 2) un secondo contratto a tempo determinato dal 21 dicembre 1998 al 31 gennaio 1999 (prorogato fino al 27 febbraio 1999) per "esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane", rilevava la illegittimità dell’apposizione del termine ai contratti in questione. Pertanto, sosteneva che essendo state le assunzioni illegittime, i contratti si erano convertiti in contratti a tempo indeterminato. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimità del termine apposto ai predetti contratti di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione degli stessi in contratti a tempo indeterminato, con consequenziali pronunce in ordine agli intimati recessi.

Il Tribunale adito, con sentenza in data 13 febbraio 2003, accogliendo parzialmente la domanda, affermava la sola illegittimità della proroga del secondo dei suddetti contratti e pertanto dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data dalla proroga, condannando la società a corrispondere le retribuzioni dovute dal 19 dicembre 2000 sino alla data della propria pronuncia.

Avverso tale sentenza proponevano appello entrambe le parti lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo, rispettivamente, la società il rigetto integrale delle pretese del lavoratore e quest’ultimo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

2.- Come riferito nell’attuale ricorso per cassazione, la Corte d’appello di Roma, con sentenza non definitiva n. 7282 del 2005 accoglieva l’appello incidentale del lavoratore e dichiarava la nullità del contratto a termine intercorso tra le parti dal 21 dicembre 1998 al 31 gennaio 1999 e poi, con sentenza definitiva n. 5923 del 2006, dichiarava la nullità anche del contratto a termine relativo al periodo 15 giugno 1998-30 settembre 1998.

In particolare, nella sentenza definitiva, la Corte d’appello – inquadrati i contratti nell’ambito del sistema di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 23, che aveva delegato le OOSS a individuare nuove ipotesi di assunzione a termine con la contrattazione collettiva – ha dichiarato la nullità del termine del primo contratto stipulato (per il periodo 15 giugno 1998-30 settembre 1998) per assicurare il servizio nel periodo del godimento delle ferie da parte del personale a tempo indeterminato per mancanza della prova dell’esistenza delle specifiche condizioni asseritamente giustificative del contratto stesso, dando atto di avere provveduto nello stesso modo, con la indicata sentenza non definitiva, per il secondo contratto (stipulato per il periodo 21 dicembre 1998-21 gennaio 1999, prorogato al 27 febbraio 1999 per le esigenze eccezionali cit.), in quanto la normativa collettiva consentiva l’assunzione a termine per le causali dedotte solo fino al 30 aprile 1998.

3.- Avverso entrambe le suddette sentenze propone ricorso per cassazione la società Poste Italiane con sei motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso il lavoratore.

La ricorrente deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ., nella quale chiede l’applicabilità dello ius superveniens rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.

Motivi della decisione

1 – Profili preliminari.

1.- Deve essere premesso che sia la sentenza impugnata, sia la società ricorrente e il controricorrente menzionano una sentenza non definitiva pronunziata dalla Corte d’appello di Roma il 27 ottobre 2005 e depositata il 1 marzo 2006, con la quale l’impugnazione del lavoratore sarebbe stata accolta relativamente al secondo contratto in ordine cronologico, stipulato per il periodo 21 dicembre 1998-21 gennaio 1999 (prorogato al 27 febbraio 1999) per le esigenze eccezionali cit..

Tale sentenza, però, non è stata rinvenuta in atti e, secondo il controricorrente, sarebbe passata in giudicato, per non essere stata avanzata tempestiva riserva di impugnazione ex art. 361 cod. proc. civ., sicchè il ricorso sul punto sarebbe inammissibile.

Ad avviso del Collegio il ricorso, nella parte in cui si riferisce alla suindicata sentenza non definitiva, deve invece essere dichiarato improcedibile, in base al consolidato e condiviso orientamento di questa Corte secondo cui: "il deposito, unitamente al ricorso (anche incidentale) per cassazione, della copia autentica della sentenza impugnata, è richiesto, a pena di improcedibilità, anche nel caso di ricorso contro una sentenza non definitiva, ancorchè l’art. 369 cod. proc. civ., n. 2, non consideri espressamente tale ipotesi, onde, nel caso in cui il ricorrente abbia impugnato sia la sentenza non definitiva che quella definitiva, depositando solo la copia autentica di quest’ultima, ma muovendo censure anche riguardo alla prima, il ricorso va, limitatamente a questa, dichiarato improcedibile" (vedi, per tutte: Cass. 9 luglio 2008, n. 18844; Cass. SU 20 aprile 2006, n. 9158; Cass. 16 settembre 2002, n. 13473).

Ne consegue che l’oggetto residuo del presente giudizio è rappresentato dalle censure che si riferiscono alla sentenza definitiva che è regolarmente depositata e che si è limitata a dichiarare la nullità della clausola appositiva del termine al primo contratto in ordine cronologico stipulato per il periodo 15 giugno 1998-30 settembre 1998 per "necessità dell’espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre".

2 – Sintesi dei motivi.

2- La società ricorrente con i suddetti sei motivi: 1) contesta l’assunto del giudice di merito che la contrattazione collettiva adottata da Poste Italiane e organizzazioni sindacali in attuazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, abbia legittimato la stipula solo fino al 30 aprile 1998 e che, comunque le parti negoziali avessero voluto effettivamente vincolare la loro capacità negoziale solo fino a questa data (primo, secondo e quinto motivo); 2) ritiene che l’apposizione del termine per "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno- settembre" ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. del 1994 è fattispecie del tutto autonoma da quella contemplata dalla L. n. 230 del 1962, e non richiede prova circa l’esistenza della sussistenza in fatto di dette necessità nella fattispecie specifica (terzo motivo); 3) ritiene che la contrattazione collettiva non si sia esaurita con l’accordo 25 settembre 1997 integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l.

1998, ma si sia protratta anche successivamente in un continuum negoziale che avrebbe legittimato anche le assunzioni per esigenze eccezionali successive al 30 aprile 1998 (quarto motivo); 4) sostiene, infine, che con riguardo alle conseguenze economiche della dichiarazione di nullità dell’apposizione del termine, la sentenza impugnata avrebbe violato, con motivazione contraddittoria, i principi e le norme sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni, in relazione sia al disposto riconoscimento del diritto alla controprestazione retributiva pur in assenza della prestazione lavorativa, sia alla mancata deduzione dell’aliunde perceptum (sesto motivo).

3 – Esame dei motivi.

3.- In conseguenza della dichiarata improcedibilità dell’impugnativa riferita alla sentenza non definitiva, non vanno scrutinati il primo, il secondo, il quarto, il quinto e il sesto motivo, che affrontano questioni che non sono state esaminate nella sentenza definitiva, ma esclusivamente nella sentenza non definitiva.

Resta, quindi, da esaminare il terzo motivo, che va accolto, per le ragioni di seguito esposte.

In base ad un consolidato orientamento di questa Corte – cui il Collegio intende dare continuità – per i contratti successivi al 30 giugno 1997 (cioè al periodo di applicazione del D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 9, convertito dalla L. 28 novembre 1996, n. 608) e anteriori al c.c.n.l. del 11 gennaio 2001 (nonchè al nuovo regime previsto dal D.Lgs. n. 368 del 2001) vanno applicati i principi più volte affermati da questa Corte in materia, in base ai quali, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali e di provare la sussistenza del nesso causale fra le mansioni in concreto affidate e le esigenze aziendali poste a fondamento dell’assunzione a termine" (vedi, fra le altre: Cass. 27 luglio 2010, n. 17550; Cass. 8 luglio-2009, n. 15981; Cass. 4 agosto 2008, n. 21063, nonchè Cass. 20 aprile 2006, n. 9245; Cass. 7 marzo 2005, n. 4862; Cass. 26 luglio 2004, n. 14011).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo), la relativa inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (vedi, per tutte: Cass. 23 agosto 2006, n. 18383; Cass. 14 aprile 2005, n. 7745; Cass. 14 febbraio 2004, n. 2866), per cui, come ripetutamente affermato da questa Corte, deve ritenersi che "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998, sicchè deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (vedi, fra le altre: Cass. 1 ottobre 2007, n. 20608; Cass. 27 marzo 2008, n. 7979; Cass. 27 luglio 2010, n. 17550 cit.).

Peraltro, tale limite temporale (del 30 aprile 1998) non riguarda i contratti stipulati ex art. 8 c.c.n.l. 1994 per "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie" (per i quali vedi, fra le altre: Cass. 2 marzo 2007, n. 4933; Cass. 7 marzo 2008, n. 6204; Cass. 28 marzo 2008, n. 8122), mentre, per quanto riguarda la proroga di trenta giorni prevista dall’accordo 27 aprile 1998, per i contratti in scadenza al 30 aprile 1998, la giurisprudenza costante di questa Corte ne ha affermato la legittimità, sulla base della sussistenza, riconosciuta in sede collettiva, delle esigenze contingenti ed imprevedibili, connesse con i ritardi che hanno inciso negativamente sul programma di ristrutturazione (vedi, fra le altre: Cass. 24 settembre 2007, n. 19696).

4.- Ne deriva che la Corte romana si è discostata dai suddetti principi perchè ha affermato la nullità del termine apposto al primo contratto stipulato per il periodo 15 giugno 1998-30 settembre 1998, essendo la fattispecie ivi dedotta (necessità di assicurare il servizio nel periodo feriale giugno-settembre), in ragione dell’uso dell’espressione in concomitanza adottata nella formulazione dell’art. 8 del c.c.n.l. del 1994, considerata dalle parti collettive sempre sussistente nel periodo stabilito (giugno-settembre).

In tali sensi il terzo motivo di ricorso deve essere accolto.

4 – Conclusioni.

5.- In definitiva, il ricorso va dichiarato improcedibile in relazione al primo, al secondo, al quarto, al quinto, e al sesto motivo e deve, invece, essere accolto il terzo. La sentenza definitiva impugnata n. 5923/06 va, quindi, cassata in riferimento al motivo accolto, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, può provvedersi nel merito e, per l’effetto, dichiararsi la legittimità della clausola appositiva del termine al contratto stipulato fra le parti il 15 giugno 1998.

In considerazione delle vicende della controversia e dell’esito della stessa si ritiene conforme a giustizia compensare, tra le parti, le spese dell’intero processo nella misura di un terzo, condannando la società Poste Italiane al pagamento, in favore di B.F., degli altri due terzi nella misura liquidata rispettivamente per i vari gradi del giudizio – in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso in relazione alle censure avverso la sentenza non definitiva della Corte d’appello di Roma n. 7282/05 del 1 marzo 2006 (primo, secondo, quarto, quinto e sesto motivo) e lo accoglie in relazione alle censure avverso la sentenza definitiva (terzo motivo). Cassa la sentenza definitiva n. 5923/06, depositata il 18 gennaio 2007 della predetta Corte d’appello, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, dichiara la legittimità della clausola appositiva del termine al contratto stipulato fra le parti il 15 giugno 1998.

Compensa, tra le parti, le spese dell’intero processo nella misura di un terzo. Condanna Poste Italiane s.p.a. al pagamento, in favore di B.F. degli altri due terzi che liquida, riferimento all’intero, nelle seguenti misure:

a) Euro 1000,00 (mille/00), di cui Euro 380,00 (trecentottanta/00) per diritti, Euro 600,00 (seicento/00) per onorari ed Euro 20,00 (venti/00) per esborsi, per il giudizio di primo grado;

b) Euro 1500,00 (millecinquecento/00), di cui Euro 480,00 (quattrocentottanta/00) per diritti, Euro 1000,00 (mille/00) per onorari ed Euro 20,00 (venti/00) per esborsi, per il giudizio di secondo grado;

c) Euro 3030,00 (tremilatrenta/00), di cui Euro 30,00 (trenta/00) per esborsi ed Euro 3000,00 (tremila/00) per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali, per il giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 17 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2012

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