T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, Sent., 12-01-2012, n. 62 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso depositato in data 30 novembre 2010, i signori A.P. e T.R. sono insorti avverso gli atti e i provvedimenti in epigrafe indicati, contestandone la legittimità sotto diversi profili e invocandone l’annullamento, previa sospensione cautelare.

Il Comune di Gassino Torinese si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, contestandone la fondatezza.

Le parti hanno depositato documenti e memorie.

La causa, dopo la rinuncia all’istanza cautelare da parte dei ricorrenti, è stata chiamata alla pubblica udienza del 23 novembre 2011 e, quindi, trattenuta per la decisione.

La vicenda fattuale portata all’attenzione del Collegio può essere riassunta nei termini di seguito indicati.

Il Comune di Gassino, nel corso di un sopralluogo effettuato a seguito di un imponente smottamento di terreno proveniente dalla proprietà dei ricorrenti, accertava che i medesimi avevano realizzato delle opere in difformità dalla d.i.a. depositata in data 16 luglio 2007 per opere di consolidamento e messa in sicurezza e, inoltre, che avevano realizzato parzialmente le opere di restauro e risanamento conservativo, oggetto del permesso di costruire loro rilasciato in data 10 settembre 2008 (n. 37/08), ma non ancora ritirato.

Il Comune ordinava, quindi, la sospensione dei lavori (ord. n. 64/2008) e la messa in sicurezza del versante interessato dallo smottamento (ord. n. 67/2008).

Con provvedimento adottato nella medesima data (18 settembre 2008), revocava, inoltre, il permesso di costruire precedentemente rilasciato.

Quanto alle opere relative alla d.i.a. depositata in data 21 dicembre 2007 per la sistemazione del tetto, in quel momento ancora in fase di ultimazione, nulla veniva disposto.

In data 23 settembre 2008, i ricorrenti, per il tramite del progettista incaricato, arch. D., presentavano richiesta di permesso di costruire in sanatoria "per ristrutturazione edilizia" (vedi elenco interventi descritti nell’istanza – all. 33 fascicolo d. Comune).

Nel corso dell’istruttoria allo scopo esperita emergeva, tuttavia, una preesistente situazione dell’edificio interessato dagli interventi oggetto di sanatoria diversa da quella dichiarata dal su indicato progettista, che induceva il Comune a sospendere temporaneamente il procedimento volto al rilascio del permesso di costruire in sanatoria e ad ordinare la demolizione delle porzioni del fronte sud-est (ordinanza n. 79 in data 31 ottobre 2008) e del prospetto nord-ovest del fabbricato, "al fine di riportare tale prospetto alle dimensioni originarie, previo deposito di idoneo progetto indicante con precisione superfici e volumi (già realizzati) esorbitanti rispetto alle preesistenze certe e documentabili, da sottoporre alla Commissione Edilizia" (ordinanza n. 80 in data 31 ottobre 2008).

Le difformità riscontrate rispetto alla d.i.a. del 21 dicembre 2007 e l’esecuzione di altre opere al di fuori di tale titolo portavano, inoltre, il Comune ad ordinarne, del pari, la demolizione e la messa in pristino, "previo deposito di idoneo progetto in sanatoria relativo a quanto effettivamente sanabile, da sottoporre alla Commissione Edilizia" (ordinanza n. 81 in data 31 ottobre 2008).

In data 29 gennaio 2009, l’arch. D. presentava, per conto dei ricorrenti, il II progetto di sanatoria da sottoporre alla Commissione Edilizia, conformemente a quanto stabilito dalle suindicate ordinanze n. 79, 80 e 81 del 2008.

Anche l’esame di tale istanza veniva sospeso dal Comune, in quanto "dall’esame della documentazione fotografica fornita dai Carabinieri risultano incongruenze che non permettono di esprimere allo stato alcun parere sull’istanza". La documentazione era, inoltre, all’attenzione della Procura della Repubblica.

Successivamente, in data 5 ottobre 2009, i ricorrenti presentavano, con un nuovo progettista (arch. L.), un’ulteriore (terza) istanza di permesso di costruire in sanatoria, che, previo benestare della Procura, veniva esaminata dal Comune.

Dopo un articolato iter istruttorio e l’invio agli interessati del preavviso di rigetto, il Comune, con Provv. 13 settembre 2010 – prot. n. 19876, denegava definitivamente la sanatoria invocata, a causa del permanere di carenze nella rappresentazione del preesistente segnatamente sul lato nord-ovest, nonché della presenza di materiale concernente il pregresso crollo di parti risultanti riedificate con indebito aumento di volumetria, in contrasto con quanto previsto dalle NTA di natura idrogeologica (art. 22) e dall’art. 69 del Regolamento edilizio comunale, che, con riferimento ad edifici ricadenti in aree di classe IIIb, vietano rispettivamente la ristrutturazione in assenza di interventi di riassetto e messa in sicurezza ad iniziativa pubblica e la sanabilità (e, comunque, l’ampliamento) e la ricostruzione delle parti crollate.

Da qui il presente ricorso, a sostegno del quale i ricorrenti hanno dedotto che:

– "il motivo di diniego concernente l’asserita inottemperanza ad una richiesta di integrazione documentale, mirata alla rigorosa dimostrazione dell’originaria consistenza dell’edificio oggetto di ristrutturazione, è ultroneo dal momento che… non esiste altra documentazione rispetto a quella già prodotta a corredo dell’istanza di sanatoria e nel corso del procedimento";

– "le direttive regionali (cfr. punti 7.3 e 7.8 della Nota Tecnica esplicativa della Circolare del Presidente della Giunta Regionale n. 7/LAP) sono nel senso della possibilità di intervenire in zona IIIb2 con una certa ampiezza, a patto che si realizzino determinati interventi atti a scongiurare situazioni di pericolo", interventi, peraltro, già posti in essere, ma non considerati dall’Amministrazione nel motivare il provvedimento di diniego;

– "il paragrafo 1.3.4. delle Norme Tecniche di Attuazione di carattere geologico del PRGC adottato con deliberazione consiliare in data 25 settembre 2008 prevede esplicitamente la ristrutturazione edilizia senza alcuna ulteriore limitazione, anche a condizione della dimostrazione di cautele concomitanti con l’intervento edilizio". Tale norma, seppur solo adottata, è da ritenersi già vigente ai sensi dell’art. 85, comma 5, L.R. Piemonte n. 56 del 1977;

– "l’art. 69 del R.E.C. collide, nella sua assolutezza, con le Norme Tecniche di Attuazione di carattere geologico di PRG (indicate al punto precedente), che consentono la ristrutturazione edilizia (e quindi anche il ripristino) ed il cambio di destinazione d’uso, previa adozione di determinate cautele e di determinati interventi, nonché con il su riportato art. 7.8 della Norma Tecnica Esplicativa della Circolare 7/LAP";

– "il manufatto preesistente era dimensionalmente superiore rispetto alle risultanze della scheda catastale di riferimento (Varetto)", conseguendone che la realtà dei fatti smentisce l’asserita valenza probatoria di tale scheda, senza tralasciare, peraltro, di considerare altri elementi, quali la conformità delle preesistenze dimensionali alla rappresentazione progettuale, le esigue differenze quanti-qualitative riscontrate e la circostanza che le murature interne erano apparse "originarie e prive di modifiche sostanziali di cui agli interventi edilizi che hanno interessato il fabbricato dal 2007 ad oggi";

Ritengono, in sostanza, i ricorrenti che nell’area in cui è ubicato il fabbricato siano possibili ristrutturazioni, senza alcuna restrizione, e cambio di destinazione d’uso, a patto che venga mitigato il rischio.

A tal proposito rappresentano, peraltro, d’aver già proceduto a mettere in sicurezza tutto il sito mediante l’esecuzione di un esteso muro di contenimento e sostegno, oltre una fitta palificata, con relative opere di collegamento, a tutela della costruzione in sé stessa, e che tali interventi sono stati riconosciuti dalla stessa Amministrazione comunale come idonei ad escludere il pericolo (sopralluogo in data 25 marzo 2009), conseguendone che qualora, successivamente, li avesse ritenuti motivatamente inadeguati, avrebbe dovuto individuare gli interventi idonei allo scopo e segnalarlo agli istanti.

A loro avviso, nulla avrebbe dovuto, conseguentemente, ostare alla sanatoria richiesta, atteso – tra l’altro – che non è necessario che il ricostruito sia rigorosamente conforme alla preesistenza, stante l’eliminazione del requisito della "fedeltà" della ricostruzione da parte della novella di cui al D.Lgs. n. 301 del 2002.

Tale prospettazione non può essere condivisa, per le ragioni di seguito evidenziate.

L’istituto della sanatoria edilizia trova compiuta disciplina all’art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il quale dispone che il permesso in sanatoria può essere ottenuto "se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda".

La fattispecie fattuale oggetto di gravame va, dunque, analizzata alla stregua dei presupposti previsti da tale norma, atteso che, nel caso di specie, è stata proprio tale "conformità" all’astratta fattispecie normativa ad essere stata, essenzialmente, messa in discussione dall’Amministrazione.

La decisione di denegare la sanatoria invocata dai ricorrenti muove, infatti, dal fondamentale assunto che le difformità edilizie riscontrate si pongano in contrasto con la disciplina urbanistico/edilizia vigente e, nello specifico, con le norme tecniche di attuazione di natura idrogeologica (art. 22) del vigente PRGC (d’ora in poi semplicemente NTA) e con l’art. 69 del Regolamento edilizio comunale.

L’analisi non può, quindi, che partire dalla lettura delle citate disposizioni e dalla valutazione della reale situazione fattuale dell’immobile.

Al riguardo, va innanzitutto evidenziato che il PRGC, sia vigente che adottato, di Gassino individua il sedime su cui insiste l’immobile oggetto d’istanza di sanatoria come ricadente in area ascritta alla classe IIIb2, rispetto alla quale le NTA, all’art. 22 (e, nel testo adottato, all’art. 1.3.4), dispongono, per quanto qui rileva, che:

"Rientrano in questa classe le aree edificate caratterizzate da evidenze di dissesto (aree dissestate, in frana, potenzialmente dissestabili, aree di pertinenza fluviale) o da situazioni morfologiche, geologiche o strutturali particolarmente penalizzanti che le rendono inidonee a nuovi interventi edilizi, e che non consentono neppure la possibilità di ampliamento degli edifici esistenti.

(…) In queste aree sono pertanto consentite unicamente le trasformazioni che non aumentino il carico antropico, quali manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia (previa dimostrazione delle cautele da assumere, congiuntamente all’intervento, per rimuovere o contenere gli elementi di rischio esistenti), nonché tutti gli interventi di riassetto territoriale a tutela del patrimonio esistente.

In tali aree non sono consentiti cambi di destinazione d’uso che implichino un aumento del rischio (per la definizione del quale si rimanda alla Circolare del Presidente della Giunta Regionale n. 7/LAP, dell’8 maggio 1996, integrata dalla successiva Nota Tecnica Esplicativa del dicembre 1999).

Tale previsione va, peraltro, letta anche alla luce della descrizione della classe IIIb riportata nella circolare del Presidente della Giunta della Regione Piemonte 8 maggio 1996, n. 7/LAP "Porzioni di territorio edificate nelle quali gli elementi di pericolosità geologica e di rischio sono tali da imporre in ogni caso interventi di riassetto territoriale di carattere pubblico a tutela del patrimonio urbanistico esistente. In assenza di tali interventi di riassetto saranno consentite solo trasformazioni che non aumentino il carico antropico quali, a titolo di esempio, interventi di manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, risanamento conservativo, ecc…; per le opere di interesse pubblico non altrimenti localizzabili varrà quanto previsto dall’art. 31 della L.R. n. 56 del 1977.

Nuove opere o nuove costruzioni saranno ammesse solo a seguito dell’attuazione degli interventi di riassetto e dell’avvenuta eliminazione e/o minimizzazione della pericolosità (…)" e con la relativa nota tecnica esplicativa pubblicata dalla Regione Piemonte (pt. 7.2 – "La classe IIIb si identifica innanzitutto: a) nell’ambito della classe III, in quanto pericolosa; b) in quanto edificata; c) in quanto i necessari interventi di riassetto e difesa del patrimonio esistente non possono essere risolti, come per la classe II, attraverso l’adozione e il rispetto di modesti accorgimenti tecnici realizzabili a livello di progetto esecutivo nell’ambito del singolo lotto edificatorio o dell’intorno significativo circostante, ma devono essere affrontati attraverso interventi di riassetto (vedi p.to 7.7 Nota T.E.); d) in quanto, in assenza di interventi di riassetto, vi sono consentite solo trasformazioni che non aumentino il carico antropico (vedi punti 6.3 e 7.3 Nota T.E.). Si sottolinea, a tale proposito, che l’attribuzione alla classe IIIb di un dato territorio non implica di per sé la necessità di imponenti interventi di riassetto, ma di "interventi di riassetto territoriale" che potranno, al limite, prevedere, quale intervento minimale, l’adozione e la realizzazione di un programma di manutenzione ordinaria per la pulizia degli alvei").

Nel caso di specie, a fronte di un dato ineludibile, rappresentato dalla trasformazione di un ex dimora rurale in una casa trifamiliare (previa ricostruzione di parti crollate e aumento di volumetria, principalmente sulle estremità nord-ovest e sud-est dell’edificio), con conseguente inevitabile aumento del carico antropico, non consta vi sia stato, però, un previo intervento di riassetto territoriale di carattere pubblico (nei sensi di cui alle disposizioni innanzi riportate), tale non potendo sicuramente ritenersi l’intervento di messa in sicurezza eseguito dai ricorrenti sull’immobile di proprietà per consentirne la sicurezza e la stabilità.

Tale circostanza, di per sé idonea, dal punto di vista motivazionale, a sorreggere il diniego gravato, è, peraltro, ulteriormente supportata dalla riscontrata perdurante discrepanza tra quanto dichiarato (pre)esistente e quanto effettivamente (pre)esistente, atteso che, all’evidenza, lo stato iniziale dell’immobile doveva essere ben noto agli odierni ricorrenti, posto che sulla base di esso hanno fatto progettare e realizzare (abusivamente) gli interventi per cui poi hanno invocato la sanatoria.

Non v’è dubbio, quindi, che l’onere di provare il reale stato di fatto di partenza gravasse su di loro e che ora siano tenuti a subire le conseguenze pregiudizievoli correlate all’indimostrata, ma solo asserita, conformità del preesistente al ricostruito.

Ne deriva l’impossibilità di ascrivere gli interventi eseguiti ad opere di ristrutturazione cd. "leggera", cui, all’evidenza, fanno riferimento le NTA del Comune di Gassino e che, vanamente, i ricorrenti affermano d’aver eseguito, dovendosi, invece, più propriamente ricondurre gli interventi medesimi a quelli di cui all’art. 10, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001, comportanti aumento di carico antropico e la cui realizzazione, in base alle norme urbanistico-edilizie vigenti nel Comune di Gassino, è subordinata alla previa attuazione degli interventi di riassetto territoriale di cui innanzi s’è detto.

Ad abundantiam si rileva, in ogni caso, che non v’è motivo per dubitare della perdurante vigenza dell’art. 69 del Regolamento edilizio comunale, il quale vieta la ricostruzione di edifici accidentalmente crollati, in tutto o in parte, qualora ubicati in classe IIIb2.

La ricostruzione a seguito di crollo non pare, infatti, concettualmente sovrapponibile alla demolizione e ricostruzione ammesse nell’ambito della ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380 del 2001, in quanto nella prima ipotesi mancano, all’evidenza, elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio "da ristrutturare".

Se l’edificio non è in tutto o in parte fisicamente esistente al momento dell’intervento richiesto (o, come nella specie, al momento dell’esecuzione dell’intervento abusivo), questo non può che essere classificato come nuova costruzione. Un edificio può, infatti, dirsi esistente in quanto "esista un organismo edilizio, seppur non necessariamente abitato od abitabile, connotato nei suoi caratteri essenziali, dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua (fedele) ricostruzione" (ex multis C.d.S., V, 10 febbraio 2004, n. 475).

Ne deriva che, nel caso di specie, le parti crollate non potevano comunque venir ricostruite.

Sulla scorta delle considerazioni innanzi riportate, questo Collegio ritiene di poter concludere per l’infondatezza delle doglianze svolte dai ricorrenti e di respingere,in definitiva, il ricorso dai medesimi proposto.

Sussistono, in ogni caso, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione II, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Compensa tra le parti le spese e le competenze del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Salamone, Presidente

Ofelia Fratamico, Referendario

Manuela Sinigoi, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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