T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, Sent., 12-01-2012, n. 42 Giustizia amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il sig. H.M., di cittadinanza marocchina e residente in Italia, ha presentato, ai sensi dell’art. 1-ter del D.L. n. 78 del 2009, convertito in L. n. 102 del 2009, domanda di emersione da lavoro irregolare in favore del lavoratore straniero, nonché suo concittadino, sig. A.M..

La domanda, rivolta allo Sportello Unico per l’Immigrazione di Alessandria, è stata tuttavia respinta da tale amministrazione con decreto n. 102352/EM/2009/S.U.I., del 19 marzo 2010, "in quanto il datore di lavoro M.H. non risulta in possesso del titolo di soggiorno previsto da art. 9 D.Lgs. n. 286 del 1998 in contrasto con l’art. 1 ter, comma 1, L. n. 102 del 2009, né risultava aver presentato istanza di rilascio del medesimo al momento della presentazione della dichiarazione di emersione".

2. Avverso il provvedimento di diniego il sig. H.M. ed il sig. A.M. hanno presentato ricorso a questo TAR, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare.

Sulla premessa che l’art. 1-ter, comma 1,del D.L. n. 78 del 2009, convertito in L. n. 102 del 2009, consente la presentazione della dichiarazione di emersione di lavoratore straniero irregolare unicamente ai datori di lavoro italiani od anche extra-comunitari che siano in possesso, al momento della domanda, del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (di cui all’art. 9 del D.Lgs. n. 286 del 1998), l’atto introduttivo solleva un unico motivo di gravame incentrato su un presunto vizio di illegittimità costituzionale della disciplina legislativa. Riferiscono, infatti, i ricorrenti che, nel caso di specie, il datore di lavoro extra-comunitario era titolare, al momento della presentazione della dichiarazione di emersione, solo di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, ma non anche del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo: egli, in quel momento, si trovava nella situazione di aver bensì chiesto il rilascio di quest’ultimo titolo di soggiorno, ma non ne era ancora in possesso; tale titolo gli sarebbe stato rilasciato solo in un momento successivo (in data 23 gennaio 2010) ma comunque anteriore alla conclusione del procedimento di emersione.

Sostengono i ricorrenti che, "anche a volere prescindere dal rilascio al ricorrente nelle more del procedimento amministrativo del titolo di soggiorno richiesto", l’"unica lettura" della norma citata conforme ai principi costituzionali sarebbe quella che consente la presentazione della dichiarazione di emersione ai datori di lavoro extracomunitari che siano in possesso, al momento della presentazione della domanda, non solo del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, "ma anche di qualsiasi altro permesso di soggiorno che permesso di assumere ed impiegare lavoratori extracomunitari". Diversamente opinando, varrebbero anche per il caso di specie i principi già affermati dalla Corte costituzionale nella sent. n. 78 del 2005 laddove, nel dichiarare l’incostituzionalità di alcune norme della precedente legislazione in tema di emersione da lavoro irregolare (di cui alla L. n. 189 del 2002 ed al D.L. n. 195 del 2002, convertito in L. n. 222 del 2002), il Giudice delle leggi ha ammonito circa la necessità che la normativa de qua fosse "conforme a canoni di ragionevolezza" (art. 3 Cost.).

3. Si è costituito in giudizio, con mera memoria di stile, il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, depositando documenti (tra cui una relazione sui fatti di causa, predisposta dalla Prefettura di Alessandria) e chiedendo il rigetto del ricorso. In data 8 giugno 2010, poi, l’Avvocatura ha depositato ulteriore documentazione.

4. Con memoria del 9 giugno 2010, nell’imminenza della camera di consiglio per la discussione dell’incidente cautelare, i ricorrenti hanno depositato una memoria difensiva con la quale hanno replicato ad alcune argomentazioni (di natura processuale) contenute nella richiamata relazione predisposta dall’amministrazione e depositata in giudizio dall’Avvocatura.

5. Con ordinanza n. 428 del 2010 questo TAR ha respinto la domanda cautelare, avendo giudicato la prospettata questione di legittimità costituzionale come "manifestamente infondata". Nell’ordinanza, peraltro, questo TAR ha avvertito che il datore di lavoro ricorrente – il quale aveva ottenuto, nelle more del procedimento amministrativo, il rilascio del permesso di soggiorno di cui all’art. 9 del D.Lgs. n. 286 del 1998 – poteva "ripresentare l’istanza già respinta dall’amministrazione resistente".

6. Alla pubblica udienza del 23 novembre 2011, dopo breve discussione, la causa è passata in decisione.

7. Deve anzitutto premettersi che, nel caso di specie, in mancanza di un apposito richiamo contenuto nella memoria difensiva dell’Avvocatura, il rapporto (o relazione) predisposta per il giudizio dagli uffici dell’amministrazione resistente non può essere esaminata da questo Giudice in punto di eccezioni di natura processuale che in essa sono sollevate.

Le relazioni illustrative che l’amministrazione resistente predisponga per il giudizio, infatti, possono essere utilizzate solo per una più completa ed autentica ricostruzione dei fatti di causa o, al limite, per una più compiuta disamina di merito in ordine all’interpretazione delle norme che siano rilevanti per il giudizio, ma non per sollevare, in modo autonomo, domande od eccezioni processuali le quali rimangono, invece, di esclusiva pertinenza della difesa erariale. In mancanza di un apposito richiamo che le faccia proprie negli atti dell’Avvocatura, pertanto, quelle domande od eccezioni non possono ritenersi parte della strategia processuale prescelta dall’amministrazione resistente. Diversamente opinando si violerebbero i principi di piena indipendenza ed autonomia che, in base all’art. 1 del R.D. n. 1611 del 1933, sovrintendono all’operato dell’Avvocatura dello Stato nel decidere la condotta della causa, salvo in ogni caso il contro-limite del divieto di assumere iniziative processuali che incidano su interessi politico-amministrativi (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 125 del 1984).

8. Nel merito, il ricorso non è comunque fondato.

Sotto una prima prospettiva non può concordarsi con i ricorrenti circa la necessità di operare una "lettura" del comma 1 dell’art. 1-ter del D.L. n. 78 del 2009, convertito in L. n. 102 del 2009, che consenta la presentazione della dichiarazione di emersione anche ai datori di lavoro extracomunitari che siano in possesso di qualsiasi permesso di soggiorno. La lettera della norma, invero, è estremamente chiara nel senso che quella domanda può essere presentata solo dai cittadini italiani, o dai cittadini di altri Paesi dell’Unione europea o dai cittadini extracomunitari che siano in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, i cui presupposti e modalità di rilascio sono disciplinati dall’art. 9 del D.Lgs. n. 286 del 1998. Così, infatti, si legge nella richiamata disposizione: "Le disposizioni del presente articolo si applicano ai datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero ai datori di lavoro extracomunitari in possesso del titolo di soggiorno previsto dall’articolo 9 del testo unico di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni…". Non è dunque possibile, nella specie, tentare una lettura alternativa a quella fatta palese dal testo normativo, nemmeno nella prospettiva della c.d. interpretazione costituzionalmente orientata, la quale – proprio perché di attività interpretativa, pur sempre, si tratta – in tanto è possibile in quanto il testo da interpretare lasci un margine di dubbio ermeneutico.

Sotto una seconda prospettiva – come già anticipato da questo TAR nella sede cautelare – la prospettata questione di legittimità costituzionale della medesima norma per violazione del canone della ragionevolezza (nella parte in cui essa non consente la presentazione della domanda di emersione ai datori di lavoro extracomunitari che siano in possesso di un permesso di soggiorno diverso da quello di cui all’art. 9 del D.Lgs. n. 286 del 1998) è manifestamente infondata.

Come è noto, le norme che consentono, a determinate condizioni, di regolarizzare la situazione lavorativa degli stranieri extracomunitari di fatto presenti sul territorio nazionale costituiscono una disciplina di sanatoria in materia di immigrazione la cui intrinseca ragionevolezza, vieppiù in considerazione degli ambiti severi entro i quali l’ingresso di lavoratori stranieri è attualmente consentita nel nostro ordinamento, deve essere attentamente vagliata alla luce del complessivo meccanismo degli ingressi predisposto dal legislatore. In tale prospettiva, non appare affatto irragionevole la limitazione introdotta dal legislatore del 2009 allorché ha circoscritto solo agli stranieri in possesso del permesso di soggiorno CE la possibilità di regolarizzare, quali datori di lavoro, lavoratori extracomunitari: ciò è dipeso, a tutta evidenza, dalla maggiore stabilità che, in punto di permanenza sul territorio nazionale e di grado di integrazione nella società, è legata a quella tipologia di permesso di soggiorno, trattandosi di un titolo che – a differenza del permesso di soggiorno ordinario – è rilasciato solo agli stranieri che siano in possesso di un titolo di soggiorno già da cinque anni, che dimostrino il possesso di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e di un’idonea sistemazione alloggiativa e che, inoltre, superino un apposito test di conoscenza della lingua italiana (art. 9, commi 1 e 2-bis, D.Lgs. n. 286 del 1998). Tale permesso di soggiorno, a differenza del titolo di soggiorno ordinario (che ha durata limitata e deve essere, di volta in volta, rinnovato), è rilasciato a tempo indeterminato (comma 2 dell’art. 9 cit.) e consente all’interessato, tra l’altro, di svolgere nel territorio dello Stato ogni attività lavorativa subordinata o autonoma (salvo quelle che la legge espressamente riserva al cittadino o vieta allo straniero) senza neanche la necessità che, in caso di svolgimento di attività di lavoro subordinato, venga previamente stipulato apposito contratto di soggiorno (comma 12, lett. b, dell’art. 9 cit.). Risulta pertanto nettamente differenziata, rispetto alla posizione di quegli stranieri che siano in possesso di un permesso di soggiorno ordinario, la posizione di chi, invece, sia in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo: ciò, sia in punto di attività lavorative che egli è abilitato ad esercitare sul territorio nazionale, sia, per converso, in punto di maggiori garanzie di stabilità (di reddito, di permanenza e di pacifica convivenza) che egli è in grado di offrire. Ne deriva che, anche in punto di possibile assunzione di un lavoratore extracomunitario alle proprie dipendenze, senz’altro maggiori sono le garanzie di stabilità e di serietà che un datore di lavoro che sia in possesso del permesso CE è in grado di assicurare al lavoratore assunto rispetto ad un datore di lavoro che sia in possesso solo di un titolo di soggiorno ordinario.

Non appare dunque manifestamente irragionevole la disciplina restrittiva dettata, sul punto, dalla legge di sanatoria del 2009. Del resto, come insegna la giurisprudenza costituzionale, nel momento in cui è introdotta una disciplina di sanatoria si deve di regola riconoscere al legislatore un ampio potere discrezionale circa i confini entro cui modulare l’estensione e gli effetti della disciplina introdotta, beninteso purché venga comunque mantenuta la ragionevolezza intrinseca del complessivo sistema derogatorio (si vd., in materia di condono edilizio: sent. n. 49 del 2006; sent. n. 70 del 2005 e n. 45 del 2001, circa la discrezionalità del legislatore nello stabilire quali opere edilizie non fossero suscettibili di sanatoria; analogamente, in materia di sanatoria di irregolarità tributarie, si vd. sent. n. 539 del 1987).

Né alcuna rilevanza può avere, nel caso de quo, la richiamata sentenza n. 78 del 2005 della Corte costituzionale la quale, pur pronunciandosi in punto di ragionevolezza del sistema di regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari, si era unicamente focalizzata sul (diverso) problema degli effetti automatici (nel senso di comportare il diniego dell’istanza di regolarizzazione) che la legge ricollegava alla presentazione di una mera denuncia penale per i reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p.

In definitiva, essendo carente il requisito della non manifesta infondatezza, questo TAR non può inviare gli atti alla Corte costituzionale, come chiesto dai ricorrenti, dovendosi limitare a respingere il ricorso, unicamente incentrato sulla prospettata questione.

8.1. Non può, poi, giovare ai ricorrenti la recente ordinanza cautelare di questo TAR – la n. 308 del 2011, richiamata in sede di discussione orale – perché in quel caso (in fatto, del tutto analogo a quello odierno) era stato dedotto, quale specifico motivo di gravame, il travisamento dei fatti e l’eccesso di potere (consistente nella circostanza che l’amministrazione era ben consapevole che, nelle more del procedimento, l’interessato aveva ottenuto il rilascio del permesso di soggiorno CE e, nonostante ciò, avesse respinto l’istanza) laddove, nel caso odierno, l’unico motivo di gravame dedotto consiste esclusivamente – come detto – nella già esaminata questione di legittimità costituzionale. Nessuna rilevanza i ricorrenti hanno mostrato di riporre, in sede di atto introduttivo, nella circostanza che l’amministrazione doveva ben essere al corrente dell’avvenuto rilascio – nelle more – del titolo di soggiorno CE: ciò, nemmeno sotto forma di violazione della norma che, nell’ambito della complessiva disciplina della condizione dello straniero extracomunitario, conferisce rilevanza ai "nuovi elementi" che sopraggiungano in corso di istruttoria e che consentano il rilascio del titolo di soggiorno richiesto nonostante l’iniziale carenza dei requisiti (art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 286 del 1998). Sicché, una volta dichiarata manifestamente infondata la questione quale prospettata dai ricorrenti, in base al principio della domanda null’altro residua per il giudizio di questo Collegio.

9. In considerazione del complessivo andamento del giudizio, nonché dell’inesistente attività difensiva dell’Avvocatura dello Stato, il Collegio rinviene giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando,

Respinge

il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Salamone, Presidente

Ofelia Fratamico, Referendario

Antonino Masaracchia, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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