Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-07-2012, n. 11090 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 14-6-2006 la Corte d’Appello di Milano confermava le sentenze del Tribunale di Milano n. 3680, 3649 e 3664 del 2003, che avevano accolto le domande proposte da M.A. V., R.M. e C.S., dirette ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi con la s.p.a. Poste Italiane (stipulati per la C. per "esigenze eccezionali", ex art. 8 come integrato dall’acc. az. 25-9-97 e succ. per il periodo 3-11-1998/31-1-1999, e ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001 per gli altri due lavoratori, per il M. dal 20-6-2002 al 19-9-2002 "per far fronte agli incrementi di attività produttive particolari e di carattere temporaneo connessi alla gestione degli adempimenti ICI che non possono essere soddisfatte con il personale in servizio", e per il R. dal 2/11/2002 al 31-12-2002 per "esigenze tecniche, organizzative e produttive connesse all’attuale fase di riorganizzazione dei Centri Rete Postali, ivi ricomprendendo una più funzionale ricollocazione del personale sul territorio, nonchè per far fronte ai maggiori flussi di traffico del periodo natalizio"), con il riconoscimento della sussistenza dei rispettivi rapporti di lavoro a tempo indeterminato e con la condanna della società al pagamento del risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni maturate dalla data di messa in mora, detratto l’aliunde perceptum.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con dieci motivi.

Il M. e il R. hanno resistito con controricorso.

La C. è rimasta intimata.

Infine la società e il R. hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con i primi quattro motivi la ricorrente censura, sotto vari profili, la statuizione dell’impugnata sentenza circa la nullità del termine apposto al contratto di lavoro della C..

Osserva al riguardo il Collegio che la Corte di merito, tra l’altro, ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del ccnl del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato." (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n. 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In applicazione di tale principio legittimamente, quindi, è stata dichiarata la nullità del termine apposto al contratto della C..

Con il quinto motivo, con riferimento ai contratti del M. e del R., la ricorrente lamenta che la Corte, incorrendo nel vizio di omessa motivazione, nulla avrebbe specificato in ordine alla affermata genericità delle causali, laddove i contratti richiamavano "esigenze specifiche e determinate".

Il motivo è in parte del tutto generico e meramente assertivo e in parte risulta infondato.

Da un lato, infatti, la ricorrente non indica quali siano gli elementi specifici che sarebbero stati trascurati dalla Corte territoriale, dall’altro, in effetti, sembra ignorare del tutto la decisione impugnata, che sul punto, con riferimento al M. ha affermato che "trattasi di causale generica, ma soprattutto contraddittoria se solo si tiene conto, ed il fatto è notorio, che gli adempimenti collegati all’imposta comunale ICI sui effettuano entro il 30 giugno di ogni anno (per i primi pagamenti annuali)", per cui "la grossa affluenza presso gli sportelli delle Poste si verifica a fine mese, solo restando una possibile "coda" nella prima settimana di luglio", di guisa che "ciò contrasta con un termine al contratto scadente il 18 settembre" (per casi analoghi cfr. Cass. 26-3-2010 n. 7339, Cass. 21-4-2010 n. 9467, Cass. 12-7-2010 n. 16312), mentre con riguardo al R. ha affermato che "trattasi di causali generiche non collegate in maniera più concreta ai contratti individuali".

Tali motivazioni risultano congrue e resistono alla del tutto generica censura della società.

Con il sesto motivo la società, con riferimento al R., deduce che ben potevano essere richiamate più esigenze nel contratto individuale, non essendo necessaria del D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1, la indicazione di una sola esigenza di carattere, tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.

Il motivo non coglie nel segno.

Vero è che, come è stato affermato da questa Corte, "l’indicazione di due o più ragioni legittimanti l’apposizione di un termine ad un unico contratto di lavoro non è in sè causa di illegittimità del termine per contraddittorietà o incertezza della causa giustificatrice dello stesso, restando tuttavia impregiudicata la valutazione di merito dell’effettività e coerenza delle ragioni indicate", (v. Cass. 17-6-2008 n. 16396). In particolare è stato precisato che anche nel nuovo regime ex D.Lgs. n. 368 del 2001, la legittimità della apposizione del termine a contratto di lavoro richiede l’esistenza di una condizione legittimante, "ma se nel caso concreto concorrono due ragioni legittimanti è ben possibile che le parti, nel rispetto del criterio di specificità, le indichino entrambe ove non sussista incompatibilità o intrinseca contraddittorietà, nè ridondando ciò di per sè solo, salvo un diverso accertamento in concreto, in incertezza della causa giustificatrice dell’apposizione del termine".

Orbene nella fattispecie la sentenza impugnata, in sostanza, ha ritenuto generiche entrambe le causali indicate nel contratto del R., verificandone, altresì, ad abundantiam, anche la incompatibilità in concreto.

La censura, quindi, non coglie nel segno.

Con il settimo motivo la ricorrente, in relazione al R. e al M., lamenta, poi, che i giudici di merito hanno ritenuto altresì non provata la sussistenza in concreto delle esigenze indicate e dedotte, senza neppure ammettere la prova testimoniale su punto richiesta da essa società.

Anche tale motivo non merita accoglimento.

Innanzitutto la censura, mentre risulta autosufficiente per il R. (per il quale si riportano anche i capitoli di prova), è del tutto priva di autosufficienza per il M., con riferimento al quale (nonostante la netta diversità della causale indicata in contratto) si dice semplicemente che erano state avanzate "analoghe istanze istruttorie".

A ben vedere, poi, la decisione impugnata, con riferimento ad entrambi i detti lavoratori, è incentrata sulla genericità delle causali indicate, prima ancora che sulla mancata prova in concreto delle stesse.

In effetti, con riguardo in particolare al R., la Corte di merito ha altresì rilevato che "anche se si volesse ritenere astrattamente legittima un’indicazione tanto generica delle esigenze così come espresse nella lettera di assunzione", "neanche sul piano probatorio" la società ha "offerto di dimostrare in termini precisi" la correlazione tra quelle esigenze e la assunzione de qua.

Trattandosi chiaramente di un argomento svolto ad abundantiam, la relativa censura contro lo stesso rivolta risulta quindi inammissibile (v. Cass. 22-11-2010 n. 23635, Cass. 23-11-2005 n. 24591).

Con l’ottavo motivo la società, con riferimento al M., lamenta che la Corte di merito avrebbe ecceduto i limiti della domanda, affermando la nullità del termine per motivi diversi da quelli dedotti dal lavoratore, che riguardavano solo la pretesa violazione dell’art. 25 del ccnl del 2001, al quale anche la società aveva riferito le proprie difese.

Il motivo è inammissibile non solo per la estrema genericità del quesito ("Se, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., il Giudice possa accogliere la domanda dell’attore sulla base di eccezioni che l’attore non ha sollevato, ovvero se il Giudice sia tenuto a decidere nei limiti della domanda dell’attore"), ma anche per la assoluta mancanza di autosufficienza della censura, non essendo minimamente riportato il contenuto del ricorso introduttivo del M. e neppure quello della difesa della società (sulla necessità del rispetto del principio di autosufficienza anche nella denuncia di violazione di norme processuali v. Cass. 28-7-2005 n. 15910, Cass. 4/4/2006 n. 7846).

Con il nono motivo, sempre con riferimento al M. e al R., denunciando violazione dell’art. 12 preleggi, art. 1419 c.c., D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e art. 115 c.p.c., la ricorrente in sostanza lamenta che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato permarrebbe, in generale, anche nella vigenza del D.Lgs. n. 368 del 2001.

Il motivo è infondato.

Come è stato affermato da questa Corte (v. Cass. 21-5-2008 n. 12985 e successive), "il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine "per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo". Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte Cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (principio applicato in fattispecie di primo ed unico contratto a termine)".

Con il decimo motivo, rivolto nei confronti di tutti e tre i lavoratori intimati, la ricorrente in sostanza lamenta la violazione dei principi e delle norme di legge sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni, deducendo in particolare la inapplicabilità, neanche per analogia della disciplina dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e la impossibilità di riconoscere "il diritto al preteso risarcimento del danno, consistente nelle retribuzioni perdute, pur non sussistendo la prova di alcun inadempimento e, quindi, di alcun danno". La ricorrente, in ogni caso, nega che tale preteso diritto possa riferirsi "al periodo successivo alla data di lettura del dispositivo della sentenza".

Osserva il Collegio che tale motivo, con il relativo quesito (ex art. 366 bis, applicabile ratione temporis), risulta sufficientemente specifico e ammissibile, in quanto solleva e sviluppa chiaramente la questione della natura e dell’entità del risarcimento del danno richiesto come conseguenza della nullità del termine.

Orbene su tale danno è intervenuto, lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, i quali dispongono che: "5. Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra uni minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8.

6. In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà.

7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell’art. 421 cod. proc. civ.".

Tale ius superveniens, applicabile anche nel giudizio pendente in cassazione, semprechè "il motivo di ricorso con cui è investito anche indirettamente, il tema coinvolto nella disciplina sopravvenuta, oltre che sussistente sia ammissibile secondo la disciplina sua propria" (anche ex art. 366 bis c.p.c., ratione temporis) (v. Cass. 26-7-2011 n. 16266, Cass. 31-1-2012 n. 1409), come è stato da ultimo precisato da questa Corte (v. Cass. 29-2-2012 n. 3056) "configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale "ex lege" a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo; pertanto, l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dalla novella, a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore (senza riguardo, quindi, per l’eventuale "aliunde perceptum"), trattandosi di indennità "forfetizzata" e "onnicomprensiva" per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto "intermedio" (dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione)".

Così interpretata, la nuova normativa – risultata "nell’insieme, adeguata a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi" – ha superato il giudizio di costituzionalità sotto i vari profili sollevati, con riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102, 111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1.

Orbene tale normativa va applicata nel caso in esame, essendo questa Corte investita al riguardo, come sopra, da un valido e pertinente motivo di ricorso.

Pertanto, nei sensi e nei limiti del detto ius superveniens, va accolto il decimo motivo e la impugnata sentenza va cassata, in relazione al motivo così accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, la quale provvedere nella specie anche ai sensi di quanto disposto in rito dal comma 7 del citato art. 32, statuendo altresì sulle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il decimo motivo, rigetta gli altri, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2012

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