Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 03-07-2012, n. 11074 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Consorzio Emiliano Romagnolo, aggiudicatario di appalto stipulato il 18.6.1992 per l’esecuzione di lavori di completamento di impianti irrigui assegnato dalla Comunità Montana "Destra Crati", sull’assunto di aver ripetutamente sospeso i lavori e pertanto di aver maturato il diritto alla revisione prezzi, convenne la Comunità innanzi al Tribunale di Cosenza. La Comunità si costituì eccependo la carenza di giurisdizione ed il Tribunale, con sentenza 2.4.2003, pronunziò declinandola sull’assunto che non sussistessero nè atti formali nè comportamenti indicanti l’avvenuto riconoscimento della revisione. L’appello del Consorzio, costituitasi la Comunità Montana, venne quindi respinto dalla Corte di Catanzaro con sentenza del 19.3.2010 che, in motivazione, ha affermato: che alla stregua della giurisprudenza di legittimità il diritto alla revisione poteva ritenersi insorto quando l’amministrazione avesse adottato esplicito od implicito provvedimento di ricognizione, che nella specie venivano indicate la Delib. n. 269 del 1995 e Delib. n. 127 del 1996 come fonti di attribuzione di acconti revisionali, che in realtà ad una attenta lettura della Delib. n. 127 del 1996 emergeva che si era proceduto con essa all’annullamento di ufficio della delibera del 1995 al fine di operare il recupero delle somme che in base ad essa erano state indebitamente erogate, che neanche era ravvisabile un riconoscimento implicito nell’incarico di redigere un calcolo revisionale conferito al D.L. posto che da un canto l’incarico era atto interno tecnico meramente propedeutico e che dall’altro canto, quando anche il D.L. avesse effettuato il computo, la sua esposizione non proveniva dall’organo deliberante della stazione appaltante, che neanche aveva valore ricognitivo la richiesta di parere formulata dalla Comunità al Comitato Tecnico Regionale ad oggetto i due calcoli revisionali, semmai emergendo che proprio tale richiesta implicava l’accertamento dei presupposti per l’insorgenza del diritto alla revisione (e cioè l’esistenza di un incremento superiore all’alea ordinaria del 10%).

Per la cassazione di tale sentenza il Consorzio Emiliano Romagnolo ha proposto ricorso il 10.3.2011 al quale ha opposto difese la Comunità Montana con controricorso 16.4.2011.

Il ricorso censura per violazione di legge e/o vizio di motivazione tutti i passaggi dell’argomentazione della Corte di merito che hanno indotto quei giudici a negare l’esistenza di un riconoscimento.

Motivi della decisione

Il ricorso censura per violazione di legge e/o vizio di motivazione tutti i passaggi dell’argomentazione della Corte di merito che hanno indotto quei giudici a negare l’esistenza di un riconoscimento. In primo luogo viene evidenziato che la Delib. n. 127 del 1996, di annullamento in autotutela della pregressa ricognizione della revisione prezzi (attribuita anche nel quantum nella somma di lire 33.601.817) non negava affatto il diritto alla revisione ma solo la sua concreta erogabilità stante il preteso errore di calcolo della alea revisionale attingente la Delib. del 1995. In secondo luogo i successivi interpelli rivolti al Direttore Lavori, per la stesura di un calcolo dello spettante revisionale, ed al Comitato Tecnico Regionale Amministrativo, per la formulazione di un parere sulla configurazione di detta base di calcolo, presupponevano, contrariamente alla opinione del giudice del merito,la evidente ricognizione all’an debeatur.

Ritiene il Collegio che il ricorso sia meritevole di condivisione sotto il primo – assorbente – profilo delle addotte censure.

Giova rammentare che la controversia in disamina si situa in area temporale ben anteriore a quella segnata dalla intera devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie sull’adeguamento o sulle modifiche del prezzo negli appalti pubblici (dalla L. n. 537 del 1993, art. 6, comma 19, alla L. n. 109 del 1994, art. 26, comma 4 bis, al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 244, comma 3 e quindi all’art. 133, lett. e), n. 2 del C.P.A. approvato con D.Lgs. n. 104 del 2010) con la attribuzione a quel giudice, pertanto, ed in ragione della natura esclusiva della sua potestas judicandi, anche delle controversie relative al quantum debeatur (S.U. 13892 del 2009 e 19567 del 2011).

Nella specie la conclusione dell’appalto con contratto del 18.6.1992, registrato il 25.6.1992, venne effettuata prima della entrata in vigore del divieto generale e categorico della stipula di clausole di revisione prezzi di cui al D.L. 11 luglio 1992, n. 333 convertito con modificazioni con L. 8 agosto 1992, n. 359 (divieto che superò la limitazione delle previsioni di revisione alle ipotesi di lievitazioni dei prezzi oltre il 10% nei contratti ultrannuali, già contenuta nella L. n. 41 del 1986, art. 33, comma 3).

Era pertanto alla relativa controversia sicuramente applicabile, come correttamente rilevato dai giudici del merito, l’indirizzo fermo nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite per il quale, in difetto di un riconoscimento espresso od implicito della spettanza della revisione prezzi all’appaltatore da parte dell’Amministrazione, il sindacato sull’esercizio o sull’omesso esercizio di tal riconoscimento sarebbe spettato al giudice amministrativo (da ultimo S.U. 16285 del 2010 e 4463 del 2009).

Ebbene, venendo alla controversia sottoposta, la Corte di merito ha escluso che potesse ravvisarsi il riconoscimento implicito – invocato invece dal Consorzio Emiliano Romagnolo – in quei tre comportamenti della appaltante Comunità Montana: e tale esclusione, correttamente fondata sulla "non rappresentatività" dell’organo tecnico (il Direttore dei Lavori) sollecitato a redigere un documento tecnico da offrire alla valutazione dell’organo dell’appaltante e sulla veste di autore di un parere afferente l’an debeatur del parimenti investito Comitato Tecnico Regionale (ed al proposito si richiama quanto statuito nella sopra rammentata pronunzia 4463 del 2009), è stata invece erroneamente estesa alla delibera 127 del 1996 ed agli atti di esternazione della stessa.

Risulta invero al Collegio, che ben può accedere alla lettura degli atti per la cognizione della questione di giurisdizione, non essendo affatto denunziato il mero malgoverno dei documenti in sede di vizio di motivazione ma essendo formulato motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1, che la ragione della decisione 127/96 assunta dall’organo rappresentativo della Comunità e debitamente esternata con le note 2322 del 24.6.1996 e 2667 del 24.7.1996 fu quella di porre un rimedio (demolitorio-restitutorio) ad un preteso errore nella delibera ricognitiva 269/95, commesso assumendo a base di calcolo dell’alea contrattuale l’importo lavori al lordo e non già, come si affermava essere dovuto, l’importo contrattuale di cui alla L. n. 41 del 1986, art. 33.

Con il che appare evidente – come queste Sezioni Unite in altra occasione hanno avuto modo di considerare (S.U. 14824 del 2008) – che l’appaltante, sostituendo un nuovo sistema di calcolo a quello assunto aila base della delibera ricognitiva del 1995, non ha smentito affatto il pregresso riconoscimento dell’an debeatur ma ha solo contraddetto il raggiungimento della soglia di esigibilità di quei diritto affermando che l’esclusione di alcuni elementi dalla base di computo della lievitazione prezzi avrebbe fatto venir meno il superamento della percentuale di alea ed avrebbe quindi imposto il recupero, come indebito, della somma erogata. Ed era pertanto altrettanto chiaro in tal deliberato il riconoscimento della legittimità del procedimento ingenerante la prima delibera, essendosi quindi inteso affermare che la sottrazione di alcuni elementi dalla base di computo della lievitazione prezzi (sottrazione imposta da una diversa interpretazione delle norme) induceva ad affermare non raggiunto il quantum dell’incremento per mantenere fermo l’erogato ma non essendosi in alcun modo messa in campo una valutazione di non spettanza affidata a scelte ed apprezzamenti discrezionali dell’Amministrazione che avrebbe collocato in ben diverso contesto l’atto di annullamento ex tunc della Delib. del 1995.

E pertanto, indiscutibile essendo la implicita ricognizione del diritto e quindi la necessaria cognizione del giudice ordinario sulla sussistenza delle condizioni per accedere alla domanda quale proposta dal C.E.R., dovrà cassarsi la sentenza della Corte di merito. Dovrà anche disporsi, ai sensi dell’art. 353 c.p.c. rinvio al primo giudice, la cui declinatoria è stata confermata nella pronunzia qui cassata, non ravvisandosi – in presenza della detta contestazione della consistenza ed ampiezza della base di computo del calcolo revisionale – le condizioni per decidere nel merito (S.U. 6102 del 2012 e 9946 del 2009). Sarà quindi compito del Tribunale di Cosenza – in diversa composizione – conoscere nel merito della domanda del C.E.R. e, conclusivamente, regolare le spese anche del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata ed ai sensi dell’art. 353 c.p.c. rinvia anche per le spese al Tribunale di Cosenza in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della S.U., il 19 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *