Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 09-11-2011) 13-12-2011, n. 46253

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 8/6/2010 la Corte di Appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della decisione in data 2/12/08, appellata dagli imputati, con la quale il G.I.P. in sede aveva dichiarato colpevole tra gli altri M.A. dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 (capo 1) e art. 73, comma 5 (capi 4-5-6-7-9-10-11-12-13- 67-69-70-73-74-75-7 6-77-78-71-72-85-8 6-87-71), previa riqualificazione del reato al capo 1 nell’ipotesi di cui all’art. 74, comma 6, rideterminava la pena in anni quattro di reclusione, oltre all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, confermando nel resto l’impugnata sentenza.

Contro tale decisione ricorre l’imputato a mezzo del suo difensore, il quale nell’unico motivo a sostegno della richiesta di annullamento denuncia la violazione della legge penale e il difetto di motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza dell’ipotesi associativa e della circostanza aggravante di organizzatore-promotore dell’imputato. Sostiene in particolare e in sintesi la difesa che non era stata data risposta esaustiva e convincente alle deduzioni difensive, nè erano state applicate le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni svolte dalla corte di merito per giungere alla conclusione assunta. Nonostante la riqualificazione giuridica dell’associazione, difettavano nella fattispecie gli elementi di struttura dell’associazione finalizzata al narcotraffico, la cui esistenza era stata affermata dai giudici del merito in assenza di prova dell’accordo criminis, alla stregua del numero dei reati fine e del numero delle persone coinvolte, addentrandosi in un inestricabile connessione processuale, in cui dai delitti fine la ritenuta evidenza probatoria era refluita sull’ipotizzato reato associativo e la prova di questo a sua volta sulla responsabilità degli incolpati per i delitti scopo. Non era stata fatta alcuna valutazione del requisito del pactum sceleris e più ancora del profilo della permanenza e della stabilità di esso. Mancava ogni disamina del ritenuto ruolo di promotore attribuito al ricorrente, la cui prova esigeva un contesto di elementi di sicuro spessore e non poteva basarsi su mere ipotesi o formule di stile; e lo stesso si poteva dire in ordine ai reati fine, la cui prova il giudice del gravame aveva desunto unicamente dal contenuto criptico del linguaggio adoperato nelle conversazioni captate senza dare alcuna risposte alle stringenti censure difensive.

Il ricorso è inammissibile.

Le censure proposte difettano di specificità, laddove in parte si risolvono nel mero richiamo ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in materia e in parte reiterano le doglianze già formulate nell’atto di gravame e non si confrontano, con gli argomenti e i rilievi contenuti nella sentenza impugnata che nonostante la sua atipicità strutturale, fa corretta applicazione dei criteri elaborati dalla stessa giurisprudenza richiamata dal ricorrente, che peraltro finiscono per condizionare la stessa "tenuta" della decisione impugnata.

In particolare i giudici del gravame hanno correttamente distinto il reato associativo dall’ipotesi concorsuale, prospettata dalla difesa, valorizzando, alla stregua del materiale probatorio, costituito dall’esito della intercettazioni e dalle conseguenti operazioni di p.g., il numero dei soggetti coinvolti nella vicenda, la diffusione dell’attività criminosa svolta, non interrotta neppure dopo gli arresti e i sequestri operati dagli inquirenti, la ripetitività delle operazioni di rifornimento e cessione dello stupefacente, l’esistenza di una precisa struttura con connessa suddivisione di ruoli all’interno di essa, la presenza nei sodali della necessaria "affectio societatis", che contribuiva sistematicamente al raggiungimento di un fine comune, costituito dal lucro da ricavare dall’attività di narcotraffico. Non hanno mancato poi di specificare i diversi ruoli rivestiti dai sodali e illustrare quello rivestito dal M., che è colui al quale P.G. e C. C. impartivano specifiche direttive per l’approvvigionamento dello stupefacente, al quale era assegnato quindi il ruolo di primo piano di rifornire il gruppo, avvalendosi della collaborazione del nipote M.G., per come inequivocabilmente comprovato dal tenore delle conversazioni captate, rappresentando quindi insieme con i predetti punti di riferimento imprescindibili all’interno dell’organizzazione.

E la medesima correttezza argomentativa si ravvisa anche in riferimento alla valorizzazione del materiale probatorio in ordine ai numerosi reati fini, attribuiti all’imputato, laddove si richiama tra l’altro il contenuto delle conversazioni intercorse tra l’imputato e B.V. e Co.Sa. e si confutano le interpretazioni alternative offerte dalla difesa.

In definitiva la motivazione non appare sindacabile in sede di scrutinio di legittimità della sentenza impugnata, soprattutto quando il ricorrente si limita sostanzialmente a sollecitare una rivalutazione di merito, che esula dalla competenza di questa Corte in forza dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della cassa delle ammende della somma, ritenuta di giustizia ex art. 616 c.p.p., di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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