Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 20-10-2011) 13-12-2011, n. 45995 FURTO RICETTAZIONE E INCAUTO ACQUISTO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. In data 29.11.2010 la Corte di appello di Catanzaro, riformando parzialmente la sentenza emessa con il rito abbreviato il 24.7.2007 dal Gup del tribunale della stessa sede, riteneva assorbito il delitto di cui all’art. 648 c.p. in quello contestato di cui all’art. 648 bis c.p. e rideterminava in anni uno, mesi nove e giorni venti di reclusione ed Euro 570,00 di multa la pena inflitta a C. T. per avere, in concorso con M.M., occultato l’autovettura Renault Clio provento di furto alterandone al targa, nonchè, per avere detenuto illegalmente n. 3 caricatori di fucile mitragliatore tipo Kalashnikov rinvenuti all’interno di un magazzino nella disponibilità della predetta, in Strongoli il 3.11.2003.
Confermava la sentenza di primo grado quanto alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena ed della non menzione della condanna, nonchè, in ordine alla confisca di quanto in sequestro.
2. Dalla sentenza impugnata si rileva che, a seguito di una perquisizione effettuata dalla Guardia di Finanza di Crotone all’interno di un magazzino rinveniva un’autovettura Renault Clio, risultata provento di furto e con le targhe contraffatte, nonchè tre caricatori di fucile mitragliatore tipo Kalashnikov.
La responsabilità della C. in ordine ai fatti in contestazione veniva affermata in ragione della accertata disponibilità da parte della stessa della chiave che apriva il lucchetto che chiudeva la porta del suddetto magazzino.
3. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del difensore di fiducia, denunciando con un unico motivo di ricorso la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla valutazione della prova della responsabilità della C. con riferimento ai criteri di cui all’art. 192 c.p.p., comma 2.
In particolare, la ricorrente si duole della mancata valutazione di tutti gli elementi introdotti dalla difesa con i motivi di appello, atteso che l’unica circostanza sulla quale è stata fondata la responsabilità è costituita dal possesso della chiave che apriva il lucchetto della porta del magazzino, peraltro, consegnata spontaneamente dalla ricorrente agli investigatori.
Nessun elemento è stato acquisito idoneo a provare la consapevolezza da parte della ricorrente di detenere la chiave del magazzino e, soprattutto, del contenuto dello stesso.
Lamenta l’irrilevanza dell’argomento introdotto dalla Corte di merito con riferimento alla giustificazione del possesso della chiave adotta dalla ricorrente, secondo la quale la stessa le era stata consegnata insieme alle altre dal proprietario dell’abitazione, che era stata smentita da quanto dichiarato dalla testimone B..

Motivi della decisione

Ad avviso del Collegio, il ricorso è inammissibile.
Invero, la ricorrente lamenta la violazione della regola di giudizio in ordine alla valutazione della prova della responsabilità ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 2, ma non precisa in cosa si sostanzia la pretesa violazione.
Detta norma, lungi dal limitare l’operatività del principio del libero convincimento del giudice, codifica due canoni di valutazione, peraltro, già da tempo acquisiti all’esperienza giurisprudenziale:
il primo relativo alla chiamata di correo, il secondo, per il quale l’esistenza di un fatto può essere ritenuta certa soltanto in presenza di indizi che siano gravi, precisi e concordanti.
Di conseguenza, esso non consente al giudice di legittimità un controllo sul significato concreto di ciascun indizio, ma gli conferisce solo il compito di verificare l’adeguatezza e la coerenza logica delle argomentazioni con le quali sia stata dimostrata la valenza probatoria dei vari indizi, in se stessi e nel loro reciproco collegamento (Sez. 6^, n. 1898, 17/11/1992, Altamura, rv. 193781;
Sez. 6^, n. 20474, 15/11/2002, Caracciolo, rv. 225245).
Nella sentenza impugnata ed in quella di primo grado è stato precisato che la responsabilità della C. in ordine ai fatti in contestazione non è stata affermata soltanto in ragione della accertata disponibilità da parte della stessa della chiave del lucchetto che chiudeva la porta del magazzino in cui erano stati rinvenuti l’autovettura Renault Clio provento di furto ed i caricatori di fucile mitragliatore tipo Kalashnikov, bensì anche alla luce di altri elementi dai quali logicamente i giudici di merito hanno tratto il convincimento della colpevolezza dell’imputata.
In particolare, la circostanza che la giustificazione del possesso della chiave adotta dall’imputata – secondo la quale la stessa le era stata consegnata insieme alle altre dal proprietario dell’abitazione – era stata totalmente smentita da quanto dichiarato dalla moglie di questi, nonchè, il fatto che del magazzino non aveva la disponibilità neppure il formale intestatario che da tempo viveva nel nord Italia e non era stato in grado neppure di fornirne la chiave.
L’apporto causale dell’imputata alla custodia dei beni illeciti, quanto meno nel senso della agevolazione della condotta illecita, ad avviso della Corte territoriale, dove ricondursi alla disponibilità da parte della stessa delle chiavi in autonomia rispetto al marito M.M., come la stessa imputata aveva riferito.
A fronte di ciò, la ricorrente ha proposto doglianze assolutamente generiche e che si sostanziano in censure di mero fatto.
Ha lamentato la mancata valutazione da parte della Corte di merito di una prospettata plausibile tesi alternativa ma non la ha in alcun modo indicata.
Il requisito della specificità del motivi trova la sua ragione di essere nella necessità di porre il giudice dell’impugnazione in grado di individuare i punti e i capi del provvedimento impugnato oggetto delle censure.
Si tratta di un requisito espressione di un’esigenza di portata generale, che implica, a carico della parte, non solamente l’onere di dedurre le censure che intende muovere a uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime e le ragioni per le quali si ritiene ingiusta o contra legem la decisione, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi e di esercitare il proprio sindacato (Sez. 4^, n. 24054, 01/04/2004, Distante, rv. 228586).
Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile ai sensi del combinato disposto dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 581 c.p.p., lett. c).
Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma ritenuta congrua di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Sciogliendo la riserva dell’udienza del 20 ottobre 2011, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille (1.000,00) Euro alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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