Cass. civ. Sez. II, Sent., 04-07-2012, n. 11188 Nullità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Nell’ottobre 1986, M.T., M.C. e M.M., anche a nome di D.P.C., promisero di vendere a P.B. e a B.T. una porzione di un palazzetto d’epoca sito in (OMISSIS). All’atto della scrittura fu versata una caparra di L. 10.000.000 e venne stabilito che il saldo di L. 32.000.000 sarebbe stato versato al rogito.

Con atto di citazione del 22 maggio 1991 i promittenti venditori convennero in giudizio i promissari acquirenti, sostenendo che la scrittura privata costituiva un negozio la cui esecuzione era subordinata alla concessione edilizia di frazionamento dell’immobile, che non era stata e non poteva essere assentita, trattandosi di bene soggetto a vincolo della L. 20 giugno 1909, n. 364, ex art. 5, che stabilisce e fissa norme per l’inalienabilità delle antichità e delle belle arti. Il contratto doveva quindi ritenersi nullo in base alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 17 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia. Sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie). Poichè i convenuti si erano immessi nel possesso dell’immobile e vi avevano eseguito lavori straordinari in violazione del vincolo delle belle arti, chiesero che fosse dichiarata la nullità del contratto e che i convenuti fossero condannati alla spesa necessaria alla riduzione in pristino del bene.

Si costituirono i convenuti, i quali – premesso di avere ignorato che il bene appartenesse a soggetti ulteriori rispetto a quelli che lo avevano promesso in vendita – domandarono che i promittenti venditori fossero condannati a procurare loro la proprietà del bene compromesso ex art. 1478 cod. civ.. Sostennero inoltre che la violazione della L. n. 364 del 1909 poteva essere fatta valere solo dal Ministero competente e che essa non vietava la vendita di beni vincolati, ma ne imponeva soltanto la comunicazione all’autorità amministrativa per consentirle l’esercizio della prelazione legale.

Con sentenza in data 29 maggio 2002, il Tribunale di Roma dichiarò la nullità del contratto perchè sottoscritto da alcuni soltanto dei proprietari dell’immobile compromesso, il che impediva l’accoglimento della domanda ex art. 2932 cod. civ., proposta dai convenuti, anche perchè il trasferimento invocato era vietato dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, mancando la prova del rilascio della concessione edilizia. In accoglimento della domanda degli attori, il Tribunale condannò i promissari al rilascio dell’immobile ed a pagare la somma di L. 9.000.000, necessaria alla riduzione in pristino dei lavori eseguiti all’interno del bene.

2. – La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3546 del 28 luglio 2005, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato l’obbligazione degli attori di dare esecuzione al contratto preliminare, attivandosi per ottenere la regolarizzazione del frazionamento dell’immobile promesso in vendita.

2.1. – La Corte d’appello ha rilevato:

– che, essendo risultato che M.M. e D.P. C. erano deceduti e che gli attori diversi da M. T. e M.C. erano i loro eredi, gli attori erano "tutte e soltanto le persone che avevano promesso la vendita", tant’è che avevano invocato "la nullità del preliminare per violazione della L. n. 364 del 1909 e L. n. 47 del 1985, e non anche per l’incompletezza dei consensi, che fu rilevata di iniziativa dal primo giudice": "non solo dunque il rilievo non avrebbe potuto condurre alla declaratoria di nullità, ma era infondato in fatto";

– che la suddivisione in più unità autonome, oggetto del contratto che contemplava lo scorporo ed il trasferimento di una porzione dell’edificio, avrebbe richiesto il rilascio di una concessione edilizia;

– che la stipula del contratto definitivo avrebbe potuto seguire solo dopo la concessione edilizia, mentre la conclusione del preliminare imponeva ai promittenti di attivarsi per ottenere la licenza;

– che il preliminare non poteva dichiararsi invalido per inosservanza di una normativa che condizionava si il trasferimento, ma non l’assunzione dell’obbligo di trasferire.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello M. T. e gli altri consorti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso, con atto notificato il 10 aprile 2006, sulla base di quattro motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo, i ricorrenti censurano violazione e falsa applicazione degli artt. 1346 e 1351 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia. Poichè nella specie le parti rimisero l’elemento identificativo del contratto di vendita ad un ulteriore procedimento di natura amministrativa (la concessione edilizia a conclusione di un ipotetico frazionamento), il preliminare avrebbe dovuto essere dichiarato nullo per indeterminabilità dell’oggetto. Viceversa "la Corte territoriale, escludendo di trattare la determinazione o la determinabilità dell’oggetto del contratto, ha in buona sostanza concepito la fungibilità del bene immobile, notoriamente esclusa per i beni immobili".

2. – La censura è inammissibile.

Come emerge dalla narrativa dello svolgimento del processo contenuta nella sentenza impugnata, la nullità del preliminare è stata domandata dagli attori per l’esistenza del vincolo della L. n. 364 del 1909, ex art. 5 e per l’assenza della concessione edilizia, ritenuta necessaria, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 17, ai fini sia dei lavori da eseguire all’interno del fabbricato, sia del frazionamento dell’immobile.

Con il motivo di ricorso per cassazione viene invece dedotta, per la prima volta, una nuova e diversa ragione di nullità, derivante dalla indeterminatezza dell’oggetto. Ma ciò non è consentito, posto che la questione della nullità di una contratto sollevata per la prima volta nel giudizio di cassazione sotto un profilo diverso da quello posto a fondamento della domanda proposta nei precedenti gradi di merito ed implicante nuovi accertamenti, è inammissibile, perchè la sua deducibilità, anche in sede di legittimità, postula che non vi sia necessità di nuove indagini di fatto (Cass., Sez. 2^, 22 giugno 2000, n. 8478; Cass., Sez. 1^, 15 luglio 2009, n. 16541).

2. – Il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 cod. civ. e della L. n. 47 del 1985, artt. 17, 18 e 40, nonchè omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia) lamenta che la Corte d’appello non abbia considerato che, essendo il rilascio della concessione edilizia, necessario per lo scorporo dell’appartamento promesso in vendita dal palazzetto sottoposto a vincolo storico-artistico, condizione impossibile, il preliminare doveva essere dichiarato nul-lo. La sentenza sarebbe errata "perchè non ha contemplato l’efficacia della norma (nullità della L. n. 47 del 1985, ex artt. 17 e 40) in forma estensiva anche al preliminare di vendita o alla scrittura che prevedeva tale cessione subordinata alla regolarizzazione di un frazionamento escluso dalla L. n. 47 del 1985".

2.1. – Il motivo è infondato.

Per un verso la doglianza muove dal presupposto, erroneo, che il rilascio di "concessione edilizia atta allo scorporo di una porzione di immobile dal secondo piano del palazzetto del 600" costituisca una "condizione impossibile", quando invece il divieto di modificare le cose immobili di importanza artistica non è assoluto, ma può essere rimosso dalle prescritte autorizzazioni rilasciate dalle competenti autorità amministrative (Cass., Sez. 2^, 2 maggio 1964, n. 1044).

Per l’altro verso, al contratto preliminare di compravendita non possono trovare applicazione nè l’art. 17 nè l’art. 40 della L. n. 47 del 1985, che, pur nella diversa formulazione, disciplinano entrambi esclusivamente fattispecie di contratti ad effetti reali (Cass., Sez. 2^, 6 agosto 2001, n. 10831; Cass., Sez. 2^, 24 maggio 2011, n. 11391).

3. – Il terzo motivo (errore di diritto sulla nullità ex art. 1418 cod. civ. con riferimento all’immissione nel possesso dei presunti promissari acquirenti errore nella valutazione delle prove documentali ed orali; omessa motivazione su un punto decisivo della controversia) lamenta l’errore della Corte d’appello là dove, nel rigettare la domanda di rilascio dell’immobile, è giunta alla conclusione che il "possesso" dell’immobile de quo venne concesso in maniera pacifica dai promittenti la vendita.

Il motivo è inammissibile perchè, in presenza di una congrua ed esaustiva motivazione (come quella di specie sul consenso dei promittenti venditori alla immissione dei promissari nel "possesso" dell’immobile e sulla conoscenza, da parte dei primi, dei lavori di ristrutturazione eseguiti dai secondi) che consente di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nella sentenza impugnata, la doglianza si risolve nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito.

4. – Il quarto motivo censura l’errore di diritto della sentenza impugnata nella parte in cui dichiara l’obbligazione di tutti gli attori a dare esecuzione al contratto, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 cod. civ., comma 2, e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Secondo i ricorrenti, "la parte dispositiva in cui si prevede che tutti gli attori indistintamente devono dare esecuzione al contratto preliminare è errata atteso che i firmatari della scrittura erano: M. T., M.C., M.M. anche in rappresentanza di D.P.C.".

4.1. – Il motivo non coglie la ratto decidendo che sostiene la sentenza impugnata, nella quale la declaratoria degli attori di dare esecuzione al contratto preliminare si fonda sulla premessa, non idoneamente censurata con il motivo, che "gli attori erano … tutte e soltanto le persone che avevano promesso la vendita". L’esecuzione del contratto, pertanto, non è stata imposta a soggetti diversi dai promittenti la vendita.

5. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 1.700, di cui Euro 1.500 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2012

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