Cass. civ. Sez. II, Sent., 04-07-2012, n. 11187

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La cooperativa edilizia Minerva a r.l., con atto notificato il i luglio 1991, propose opposizione innanzi al Tribunale di Roma avverso l’ingiunzione di pagare L. 195.400.000 oltre interessi e spese, proposta dall’ing. B.G., per la progettazione di un complesso edilizio in (OMISSIS); a sostegno dell’opposizione dedusse: la non completa e non esatta esecuzione dell’incarico professionale; l’erroneità del calcolo del dovuto;

l’assenza di incarico per alcune opere. L’opposto, costituendosi, chiese il rigetto dell’opposizione.

L’adito Tribunale, pronunziando sentenza n. 8029/1995, accolse in parte l’opposizione e, revocando il decreto opposto, condannò la cooperativa al pagamento di L. 161.223.450, oltre interessi ragguagliati al T.U.S. dalla sentenza al saldo.

Nel successivo giudizio di appello proposto dalla cooperativa, venne espletata articolata istruttoria; all’udienza del 24 maggio 2001 la Cooperativa produsse copia di una scrittura privata del 4 dicembre 1989 con la quale il B. si sarebbe accordato con essa appellante per ritenere satisfattivo dell’opera prestata sia come progettista che come direttore dei lavori, l’importo di L. 250 milioni; nella predetta scrittura le suddette parti avrebbero altresì convenuto che un parte dell’importo, per L. 79 milioni, sarebbe stato versato alla moglie del B., ing. S. C., a fronte di fatture emesse dalla stessa per attività fittiziamente svolte e per il resto sarebbe andato a compensare parzialmente il debito dei figli dello stesso B.F. e P., per la prenotazione di due alloggi in corso di costruzione nel complesso edilizio. Disconosciuta la sottoscrizione da parte del B. ed iniziatosi il procedimento di verifica, venne disposta la riunione di altro procedimento, in grado di appello tra le medesime parti, risultante a sua volta dalla riunione di due cause: la prima, introdotta con citazione del marzo 1992 dalla Cooperativa Minerva nei confronti del B., avente ad oggetto il risarcimento dei danni che la società stessa assumeva di aver patito in relazione alla errata progettazione del professionista; la seconda, iniziata con citazione del giugno 1992, relativa all’opposizione della Cooperativa avverso l’ingiunzione di pagare L. 192.330.000 al B. per l’opera svolta come direttore dei lavori nel cantiere di cui sopra. Tali due giudizi erano stato definiti con la sentenza n. 34030/2000 con cui era stata respinta la domanda di responsabilità e, in parziale accoglimento dell’opposizione, la stessa Cooperativa era stata condannata a corrispondere L. 189.315.665 oltre interessi come sopra indicati; a sua volta il B. era stato condannato a pagare L. 40 milioni per i danni arrecati per aver, senza autorizzazione, apportato modifiche al progetto.

La Corte di Appello di Roma, accertata la riferibilità al B. della scrittura privata del dicembre del 1989, ed in parziale riforma sia della sentenza n. 8029/1995, che di quella n. 34020/2000, condannò la Cooperativa a pagare l’importo di Euro 66.024,46 e di Euro 27.647,77 oltre, per entrambi i casi, interessi ragguagliati al T.U.S., respingendo nel resto gli appelli proposti dalle parti.

Per la cassazione di tale decisione il B. ha proposto ricorso, fondandolo su cinque motivi; la Cooperativa ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale sulla base di due motivi, illustrato altresì da memoria.
Motivi della decisione

I due motivi vanno riuniti à sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto relativi alla medesima sentenza.

– Proc. n.r.g. 13411/2008.

1 – Con il primo motivo il ricorrente B. si duole – facendo valere la violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 cod. civ. – che la Corte di Appello abbia detratto dalle somme dovutegli gli importi illustrati nella scrittura del 4 dicembre 1989 ed attribuiti alla moglie S.C. ed conto del debito dei figli F. e P. per la prenotazione di alloggi della cooperativa, senza tener conto che i diritti nascenti da tale accordo dovevano dirsi coperti dalla prescrizione e senza prendere in esame la relativa eccezione.

1/a – Il motivo è infondato in quanto correttamente la Corte territoriale non attribuì alla Cooperativa diritti – come tali suscettibili di prescrizione in base alla scrittura stessa ma prese spunto dalla medesima per ritenere già compensate alcune poste attive.

2 – Con il secondo motivo il ricorrente denunzia l’esistenza di un vizio di motivazione – nella sua triplice manifestazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – allorchè la Corte ha giudicato esistente una fittizia fatturazione della S., basandosi su deposizioni testimoniali che invece, se correttamente intese, avrebbero dovuto condurre a ritenere che le fatture dell’ing. S. erano state emesse per prestazioni professionali effettivamente rese e che quindi le stesse non potevano essere portate in detrazione dal proprio compenso per l’opera resa in favore della Cooperativa.

2/a – Il motivo è viziato da inammissibilità in quanto, lungi da sottoporre a critica il ragionamento del giudice del gravame, ne contesta i risultati argomentativi, omettendo financo di specificare le ragioni per le quali la delibazione di affidabilità dei testi non sarebbe stata congruamente motivata;

3 – Con il terzo motivo viene nuovamente dedotto un vizio di motivazione aver ritenuto, la Corte distrettuale, di scomputare dal compenso professionale, un preteso danno originato da modifiche – non approvate dalla Cooperativa – agli appartamenti assegnati ai figli di esso ricorrente, così cagionando alla società un danno, non considerando che la responsabilità di tali varianti ricadeva espressamente sull’appaltatrice dei lavori, essendo mancata la prova scritta dell’autorizzazione della committente – così come stabilito dall’art. 5 del capitolato di appalto e dall’art. 1569 cod. civ.;

contesta quindi il ricorrente che gli si sia potuta addebitare la responsabilità per le varianti sol perchè le stesse erano state eseguite a vantaggio degli appartamenti prenotati dai figli.

3/a – Il motivo è infondato in quanto l’attribuibilità all’autonoma iniziativa del B. per le modifiche agli appartamenti dei figli appare congruamente motivata dalla Corte di merito – fol. 19 della decisione – con riferimento all’interesse ed alla specificità delle modifiche, non potendo sottoporsi a diverso scrutinio tale giudizio per il sol fatto della presenza di una norma che prevede la responsabilità dell’appaltatore per le varianti non autorizzate per iscritto dal committente, per l’evidente ragione che detta norma – e la clausola pattizia che la riproduce – era diretta a disciplinare le richieste dell’appaltatore nei confronti del committente per opere non autorizzate mentre nella fattispecie il rapporto involto era tra direttore dei lavori e la committente.

4 – Con il quarto motivo si sottopone a censura – nell’ambito del vizio di motivazione- l’adesione della Corte territoriale alle risultanze della consulenza tecnica eseguita in grado di appello, senza adeguatamente motivare perchè l’elaborato del tecnico fosse giunto a conclusioni più soddisfacenti rispetto alle relazioni – di diverso tenore – stilate dai CTU nominati nel pregresso grado di giudizio.

4/a Il motivo è inammissibile: sia per difetto di autosufficienza, non riportando neppure i quesiti posti al primo ausiliare rispetto a quelli – "a chiarimenti" posti al secondo (indice tra l’altro di una ritenuta non soddisfacente risposta del primo), menda che va ad incidere anche sulla stessa formulazione del quesito ex art. 366 bis c.p.c., che ne risulta così privo di specificità; sia perchè la censura non è diretta a stimolare una critica al formarsi del processo cognitivo del giudice di appello – attraverso la delibazione della seconda CTU – ma si limita a non condividerne gli approdi interpretativi, rimarcando la differente valutazione dei due ausiliari; sia infine perchè tutto il motivo è diretto a far rinnovare alla Corte la valutazione del merito delle emergenze istruttorie.

5 – Con il quinto motivo viene nuovamente dedotta l’esistenza di un vizio di motivazione "in relazione agli artt. 61 (e) 197 c.p.c." per non avere, il giudice dell’appello, adeguatamente tenuto conto della perizia calligrafica di parte, contenente critiche alle conclusioni di quelle di ufficio, che aveva concluso per la autografia della sottoscrizione di esso ricorrente in calce all’accordo del 4 dicembre 1989.

5/a – La censura si colloca al di fuori dello schema delineato dalla norma invocata – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – perchè critica la scelta interpretativa del giudice del gravame che non solo ha fatto riferimento alla CTU grafica ma ha anche sottolineato perchè essa fosse affidabile, così adeguatamente motivando la sua scelta valutativa, non essendo necessario, per aversi una idonea motivazione, scendere all’analisi di tutte le emergenze di causa, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito optare per quelle che ritenga di porre a sostegno della propria decisione; in ogni caso difetta di autosufficienza il motivo laddove non mette a confronto le valutazioni del CTU – fatte proprie dalla Corte territoriale a fol. 13 della decisione – per contrapporvi il peso argomentativo di quelle opposte del proprio consulente – comunque delibate dal giudice dell’appello, come emerge dalla lettura della sentenza-, inibendo così alla Corte proprio quell’ulteriore scrutinio – se pure si fosse ritenuto ammissibile – che con il motivo in esame sollecitava.

– proc n. r.g. 15875/2008.

6. Con il primo motivo del ricorso che, ratione temporis, va qualificato come incidentale, la Cooperativa lamenta la violazione e falsa applicazione della L. 2 marzo 1949, n. 143, art. 9, approvante la tariffa professionale degli ingegneri ed architetti, per aver, la Corte di Appello, applicato gli interessi di mora parametrati al Tasso Ufficiale di Sconto al di fuori dell’ipotesi prevista nell’indicata norma – imponente la consegna della specifica da parte del professionista, maturando altresì gli accessori dopo il decorso di sessanta giorni da tale attività; in particolare sostiene la ricorrente che la mancanza di tale adempimento non avrebbe potuto essere sostituito, al fine dell’applicazione degli accessori in siffatta misura, dalla domanda giudiziale, residuando solo la possibilità di corrispondere, dalla domanda, gli interessi al saggio di cui all’art. 1284 cod. civ.; in alternativa ritiene parte ricorrente che gli accessori di cui all’articolo citato, in caso di mancata spedizione della specifica e di immediato inizio della causa con citazione, dovrebbero semmai essere corrisposti a partire dal 61^ giorno dalla notifica dell’atto introduttivo, al fine di mantenere quello spatium deliberandi stabilito dalla suddetta norma.

Il motivo è parzialmente fondato.

6/a – Va innanzi tutto richiamato il principio secondo il quale "interesse legale" non è solo quello previsto dall’art. 1284 cod. civ., ma anche qualsiasi interesse che, ancorchè in misura diversa, sia previsto dalla legge (così Cass. Sez. 2^, n. 2149/2002, cui adde Cass. Sez. 2^, n. 2434/1986), con la conseguenza che la doverosità del saggio e della decorrenza degli accessori – così come indicati nel citato art. 9 – comporta solo la verifica della sussistenza dei presupposti indicati dalla norma.

6/b – In secondo luogo va messa in rilievo la ratio dell’indicata previsione legislativa che è costituita, da un lato, dall’opportunità di concedere al committente uno spatium deliberandi al fine di decidere se pagare o meno il professionista nella misura indicata nella parcella e, dall’altro, dalla necessità di non consentire che si prolunghi, a discapito del prestatore d’opera intellettuale, l’attesa per ricevere il pattuito compenso, mediante la previsione di una sanzione – costituita appunto dal maggior saggio di interessi.

6/c – Ne deriva che entrambe le indicate rationes legis sono invocabili sia nel caso di spedizione della "specifica" sia, nel caso detto invio sia sostituito dall’esercizio del relativo diritto, in via monitoria od ordinaria: non è poi d’ostacolo a detta equiparazione il fatto che nell’ipotesi presa in esame dall’art. 9 vi sia l’immediata percezione, da parte del committente, di quanto analiticamente dovuto mentre nell’esercizio dell’azione di condanna tale conoscenza sia mediata dalla valutazione dei documenti allegati al fascicolo di parte o dalla lettura della notula sottoposta a parere di congruità del Consiglio dell’Ordine professionale, dal momento che anche attraverso tale medium procedurale comunque si perviene ad un’esatta percezione del dovuto e delle pretese agite.

7 – Con il secondo motivo la ricorrente Cooperativa fa valere l’insufficienza della motivazione laddove la Corte romana ha di fatto negato rilievo all’accordo del 9 giugno 1989 che aveva determinato in L. 250 milioni il compenso per l’ing. B. sia per l’opera di progettista sia per quella di direttore dei lavori, liquidando così una somma complessiva maggiore del pattuito (L. 157.841.168 per l’attività di progettazione e L. 132.879.493 per la direzione dei lavori, per un totale di L. 290.720.661): a sostegno del mezzo osserva la società che la sentenza n. 34020/2000 del Tribunale di Roma – pronunziata sulla richiesta di liquidazione dei compensi per la direzione dei lavori – aveva stabilito la vincolatività del predetto accordo ed aveva osservato che, essendo stato forfettariamente determinato il dovuto per entrambi gli incarichi, il B. non avrebbe potuto pretendere, per ciascuna attività, una somma maggiore del 50% del totale pattuito, con la conseguenza che il corrispettivo per la direzione dei lavori avrebbe dovuto essere calcolato in proporzione alla parte di opera svolta, nei limiti del ricordato 50%; contesta pertanto la Cooperativa la congruità logica del ragionamento della Corte romana, con cui, decidendo sul quinto motivo di gravame contro la suddetta decisione, si era negata l’incidenza di tale pattuizione sulla determinazione del corrispettivo sulla direzione dei lavori, in base all’osservazione che, stante la struttura unitaria dell’accordo, non era stata impugnata in appello la sentenza che aveva liquidato – come visto: oltre il limite del 50% – il corrispettivo per l’opera di progettazione.

Sostiene al contrario la ricorrente che pur concessa la unitarietà dell’accordo ciò non sarebbe stato d’ostacolo a valutarne separatamente gli oggetti.

7/a – Il motivo è fondato nei termini appresso esposti.

La scelta interpretativa della Corte distrettuale risulta invero difettosa, presupponendo una modifica degli effetti dell’accordo, in relazione alle vicende processuali che hanno interessato i distinti decreti di ingiunzione: invero la – sostanzialmente affermata- consumazione del potere di avvalersi della predeterminazione dei due compensi è stata fatta discendere dall’inosservanza di un presupposto onere di allegazione di tale limite negoziale in entrambi i giudizi di opposizione; in contrario però rileva la Corte, da un lato, che la non contestabile legittimità di far valere i propri crediti in due distinti ricorsi monitori, non privava di vincolatività l’accordo negoziale sopra indicato e, dall’altro, che la unitarietà della determinazione del compenso produceva effetti sul piano sostanziale e non comportava la logica necessità che l’esito di un giudizio di opposizione su uno dei due compensi incidesse sul predetto vincolo contrattuale.

7/b – Va anche messo in rilievo che il giudice dell’appello è pervenuto alla decisione, qui non condivisa, confondendo i due piani di indagine: quello processuale e quello sostanziale: invero sottolineando il carattere unitario del compenso e ponendo a raffronto le diverse linee difensive adottate nei due giudizi di opposizione la Corte distrettuale ha indebitamente assunto l’incompatibilità logica di poter invocare in un giudizio e non nell’altro l’anzidetto limite, non chiarendo se tale conclusione derivasse da ragioni sostanziali – da escludere, per quanto sopra detto – o traesse argomento da preclusioni processuali.

8 – La sentenza va dunque cassata in ordine ai motivi accolti, con rinvio a diversa sezione della Corte di Appello di Roma che provvederà anche alla ripartizione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi; rigetta quello di B.G. ed accoglie, nei sensi di cui in motivazione, quello della soc. coop. edilizia MINERVA a r.l.; cassa, nei limiti dei motivi accolti, e rinvia a diversa sezione della Corte di Appello di Roma che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 17 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2012

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