Cass. civ. Sez. II, Sent., 04-07-2012, n. 11186 Proprietà

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 23.3.93 i coniugi D. E. e S.C., proprietari di parte del fabbricato sito in (OMISSIS) e precisamente della palazzina con accesso dal civico n. (OMISSIS), confinante con il locale a piano terra avente accesso dal civico n. (OMISSIS), di proprietà dei coniugi L.L.S. e R.C., convenivano questi ultimi, innanzi al Tribunale di Trani, per sentire accertare la lesione del loro diritto di comproprietà, per avere i convenuti eseguito dei lavori,sul muro comune di facciata, ampliando, di circa 60cm. la porta di accesso al civico (OMISSIS) ed effettuando uno scavo del suolo al fine di livellarlo con il marciapiede, con pregiudizio dell’estetica e della staticità dell’intero stabile. Chiedevano, pertanto, la condanna dei coniugi L. al ripristino dell’originario stato dei luoghi ed al risarcimento dei danni.

Si costituivano in giudizio i convenuti contestando la fondatezza della domanda.

Con sentenza 13.1.2001, il GOA del Tribunale di Trani, sulla base di quanto accertato dal C.T.U., condannava i coniugi L. – R. a rimettere in pristino, secondo le misure preesistenti, l’apertura del locale; rigettava la domanda di risarcimento del danno per difetto di prova e tenuto conto che l’abuso lamentato sarebbe stato eliminato.

Avverso tale sentenza i L. – R. proponevano appello cui resistevano i coniugi D. – S. che, a loro, volta, spiegavano appello incidentale quanto al mancato riconoscimento del danno subito.

Con sentenza depositata in data 11.2.2005, la Corte d’Appello di Bari rigettava l’appello principale e quello incidentale compensando interamente fra le parti le spese del grado.

Osservava la Corte di merito, richiamando le argomentazioni del giudice di prime cure, che sussisteva la violazione dell’art. 1120 c.c., essendo sufficiente l’alterazione della cosa comune "sotto il profilo della consistenza, forma, funzione, equilibrio", ravvisabile, nella specie, per avere il C.T.U. accertato che dal l’intervento edilizio posto in essere dagli appellanti era derivato un pregiudizio statico ed estetico della palazzina in questione.

Per la cassazione di detta decisione i coniugi L. – R. propongono ricorso affidato a due motivi.

Resistono con controricorso D.E. e S.C..
Motivi della decisione

I ricorrenti deducono: 1) violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, posto che il giudice di appello si era limitato ad aderire, con motivazione per relationem, alla decisione di primo grado, omettendo di rivalutare le risultanze istruttorie e di confutare autonomamente le censure svolte nell’atto di appello; 2) violazione e falsa applicazione di legge ed omessa motivazione, laddove la Corte distrettuale aveva ravvisato un giudicato implicito in ordine alla doglianza relativa al danno estetico e statico dell’edificio, pur in assenza di una statuizione al riguardo da parte del primo giudice.

Il ricorso è infondato.

Quanto al primo motivo va rilevato che il giudice del gravame ha dato conto delle censure proposte; comunque il ricorrente non riporta i motivi di appello rispetto ai quali lamenta l’insufficiente motivazione della sentenza sicchè, sotto tale profilo, la censura è priva di autosufficienza.

Del pari infondato è la seconda doglianza/avendo la Corte di merito affermato che il Tribunale aveva riconosciuto che l’opera aveva cagionato sia un danno estetico che un pregiudizio statico e che tali statuizioni non erano state impugnate con l’appello, ma criticate, per la prima volta, in comparsa conclusionale (V. pag. 8 sent.). In particolare, dopo aver rilevato che il Tribunale aveva preso in considerazione la condizione di pari uso della cosa comune, ha affermato che la sentenza di primo grado non aveva trascurato di prendere in considerazione la condizione della non alterazione della destinazione della cosa sotto il profilo statico ed estetico, avendo richiamato, nella unitaria parte descrittiva e motivazionale, le risultanze della C.T.U., laddove era stato rilevato un indebolimento statico derivato dall’intervento operato; ha aggiunto che il giudice di prime cure aveva ritenuto fondata la domanda ex art. 1102 c.c., in quanto l’ampliamento della porta impediva agli attori di fare un pari uso del muro, al di là del danno estetico.

Il ricorso, alla stregua di quanto osservato, va rigettato.

Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 2.200,00 do cui Euro 200,00 per spese oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2012

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