Cass. civ. Sez. II, Sent., 04-07-2012, n. 11180 Onorari

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Svolgimento del processo

1. – Il ricorrente, geometra M.E., aveva chiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo per L. 2.267.080 nei confronti degli odierni intimati per il pagamento dell’attività professionale svolta nel loro interesse e relativa alla realizzazione di tre distinti progetti per un edificio adibito ad attività commerciale, nell’ambito dei quali progetti era prevista la realizzazione di servizi igienici anche per disabili. Gli intimati proponevano opposizione al decreto ingiuntivo, deducendo l’erronea progettazione del bagno per disabili che aveva portato gli uffici competenti a negare l’agibilità. Di qui la richiesta di revoca del decreto ingiuntivo e la domanda avanzata in via riconvenzionale per il risarcimento dei danni subiti, indicati nella somma di Euro 2.582,28 e comunque di quella risultante all’esito del giudizio entro la competenza del giudice adito.
2. – Il Giudice di Pace respingeva l’opposizione e la domanda riconvenzionale.
3. – Il giudice unico del Tribunale di Venezia, sezione distaccata di San Donà di Piave, adito dagli odierni intimati, rigettava l’appello quanto al pagamento dell’attività professionale, rilevando che era stato richiesto dal geometra il pagamento della sola attività di progetto dei locali destinati a servizi, e non l’attività di direzione dei lavori. Rilevava, altresì, che dai progetti presentati (due progetti e una variante per due bagni e un antibagno) non risultava il posizionamento dei sanitari e degli scarichi.
Conseguentemente per l’attività professionale svolta nei limiti indicati non sussisteva l’inadempimento dedotto dagli appellanti (circa l’inesatta realizzazione degli impianti) per i quali non risultava che fosse stato conferito alcun incarico, nè presentato alcun progetto, nè infine richiesto il pagamento della relativa attività.
Il giudice unico accoglieva, invece, l’appello proposto quanto alla richiesta di risarcimento dei danni subiti per la mancata concessa agibilità dei locali per non essere essi fruibili, così come realizzati, per i disabili. Al riguardo il giudice unico riteneva che, sulla base dell’istruttoria svolta in primo grado era risultato provato che il geometra, "oltre ad aver eseguito l’attività di progettazione … ha ricoperto anche la qualifica di direttore dei lavori in relazione alla realizzazione delle opere progettate, nonchè degli scarichi dei bagni", concludendo che vi era stato un difetto di diligenza e di vigilanza, affermandone la relativa responsabilità. Il giudice unico riconosceva il danno, che liquidava nella misura accertata documentalmente in complessivi Euro 4.786,46.
4. – Avverso tale decisione ricorre il geometra M.E., articolando quattro motivi. Nessuna attività in questa sede hanno svolto gli intimati.

Motivi della decisione

1. I motivi del ricorso 1.1 – Col primo motivo viene dedotta la "violazione e falsa applicazione gli artt. 1173, 1321, 2230 c.c., art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2697 c.c., nonchè art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".
Il ricorrente afferma d’aver sempre contestato di aver progettato e/o diretto i lavori relativi alla modifica e all’adeguamento dell’immobile quanto alla istallazione degli scarichi dei sanitari e di essere intervenuto (oralmente e con diffida scritta) con la richiesta alla ditta esecutrice dei lavori di ricollocare correttamente gli scarichi e i sanitari solo per scrupolo professionale e non in adempimento di un incarico, mai ricevuto. Era, quindi, onere dei committenti fornire la prova del conferimento del relativo incarico. Il giudice d’appello aveva ritenuto esistente l’incarico con riguardo agli scarichi per un’errata valutazione della deposizione resa dal titolare dell’impresa cui erano stati affidati lavori, peraltro incapace a testimoniare essendo l’effettivo responsabile della difettosa esecuzione dell’opera. Gli elementi di fatto disponibili e dati di comune esperienza escludevano che "dalla deposizione resa dall’indicato teste il giudice potesse trarre il convincimento che il geometra ebbe l’incarico di dirigere l’esecuzione degli impianti".
Il motivo è infondato e va respinto.
Al riguardo il giudice dell’appello ha osservato che il teste Me.Ri. (esecutore dei lavori idraulici) aveva affermato che gli scarichi erano stati predisposti su indicazione del geometra e di aver "visto il geometra M., che dirigeva sia il mio lavoro che quello dell’impresa". Ha inoltre rilevato il giudice dell’appello che il geometra, "in sede di interrogatorio formale ha rilasciato deposizione contraddittoria sul punto, in quanto all’inizio egli ha affermato di avere predisposto insieme all’impresa esecutrice gli scarichi e, successivamente, ha negato detta circostanza, riportando nel testo della motivazione della sentenza le dichiarazioni seguenti "sì ho disposto io lo scarico di concerto con l’esecutore, anzi lo scarico era stato posto prima del mio intervento".
Dall’insieme di tali elementi il giudice dell’appello ha tratto il convincimento che, in effetti, il geometra fosse stato incaricato della direzione di tutti i lavori necessari per il completamento dei progetti, non esclusa la realizzazione e la posa in opera dei bagni e tutto ciò che occorreva per renderli funzionali.
La motivazione è, quindi, incentrata non solo sulla valorizzazione della dichiarazione resa dall’esecutore materiale delle opere di scarico, ma anche sulle dichiarazioni rese dallo stesso geometra e sulla circostanza, estranea al potenziale interesse del teste sentito, secondo la quale comunque il geometra avrebbe diretto anche i restanti lavori. Di qui la conclusione che di tanto egli era stato incaricato, avendo anche progettato i lavori stessi. La motivazione, cosi come esposta, non appare inficiata dei vizi denunciati, risultando adeguata, sufficiente e non contraddittoria e non risultando violate le norme richiamate, posto che il giudice non ha fatto altro che giungere alla conclusione riportata, attraverso un’analisi del materiale probatorio disponibile, valutato nel suo complesso.
1.2 – Col secondo motivo il ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione della L. n. 321 del 1971, art. 3, della L. n. 46 del 1990, art. 1, lett. d), art. 3, lett. a) e b) e art. 6, e del R.D. n. 274 del 1929, art. 16, nonchè art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3". Osserva il ricorrente di aver svolto "con la massima diligenza il suo compito di direzione dei lavori vigilando che le varie opere eseguite rispondessero al progetto", tanto da aver diffidato l’impresa ad eseguire i lavori di adeguamento. Nè avrebbe potuto, come ritiene il giudice d’appello, verificare un errore di posa prima del collocamento dei sanitari, specialmente considerando che il geometra, come tale, non è esperto del settore impiantistico delle opere idrosanitarie, occorrendo al riguardo anche il relativo possesso dei requisiti tecnico professionali (specifico titolo di studio). Occorre tener conto che il geometra non è abilitato, nè come libero professionista, nè come dipendente, a progettare gli impianti in questione e a dirigere i relativi lavori, come confermato dal R.D. n. 274 del 1929, art. 16 (che riguarda l’oggetto e i limiti dell’esercizio della professione geometra).
Anche tale motivo è infondato va respinto. Al riguardo il giudice dell’impugnazione ha osservato che la diligenza richiesta consisteva nel vigilare sul corretto posizionamento dei sanitari, ai fini della loro utilizzabilità per i disabili, ben nota al geometra che tale progetto aveva presentato. Al riguardo, si trattava soltanto di vigilare sul rispetto di alcune distanze minime tra i sanitari, per consentire la movimentazione, nell’ambito di un locale adibito a bagno, anche dei disabili, facendo uso dei relativi ausili motori, il tutto secondo le prescrizioni normative in vigore. Quindi, non si trattava di verificare la corretta esecuzione degli scarichi e della relativa impiantistica idraulica, ma semplicemente occorreva verificare che i sanitari fossero collocati in posizione tale da garantirne la fruibilità da parte dei disabili. Certamente tale attività rientra pienamente in quelle che sono previste come espletabili da parte del geometra secondo la relativa legge professionale. Nè, come ha correttamente osservato il giudice dell’appello, risulta pertinente l’eccezione già avanzata in tale sede della esclusione della responsabilità del professionista in conseguenza della sua non abilitazione ai sensi della L. n. 46 del 1990, posto che quest’ultima legge si limita a definire e prevedere a quali ditte debbano essere appaltati i lavori per una corretta certificazione degli stessi ai fini perseguiti dalla legge appena richiamata. Nel caso in questione non si trattava da parte del geometra di certificare ed eseguire correttamente lavori sul piano impiantistico, ma si trattava semplicemente di vigilare sul corretto posizionamento dei sanitari per consentirne l’uso da parte dei disabili.
1.3 – Con il terzo motivo viene dedotta la violazione falsa applicazione degli artt. 1223, 1227, 2697, 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Quanto alla liquidazione del danno, gli odierni intimati lo avevano quantificato in L. 5 milioni, adducendo la necessità di riprogettare le dimensioni del bagno, mentre tali dimensioni erano congrue. Non era quindi necessario presentare una variante al precedente progetto, demolire o spostare muri ma semplicemente riposizionare scarichi e sanitari. Doveva esser risarcito solo il danno conseguenza diretta (art. 1223 cod. civ.) e non quello che il creditore poteva evitare usando l’ordinaria diligenza (art. 1227 cod. civ.).
Il motivo è infondato e va respinto. Il giudice dell’impugnazione ha osservato che per ottenere l’agibilità era necessario riprogettare il posizionamento dei sanitari e prevedere anche modifiche agli scarichi, come dichiarato dal teste Me.. Sicchè la soluzione prospettata dall’odierno ricorrente (di ruotare semplicemente i sanitari) non risultava praticabile. Si tratta di una valutazione di merito, che risultando adeguatamente motivata, non è censurabile in questa sede.
1.4 – Infine, col quarto motivo viene dedotta la violazione falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.. Era stata chiesta la somma di 5 milioni di lire pari a Euro 2.582,28 o la minore somma risultante di giustizia. La stessa domanda era stata avanzata in appello. La condanna era invece intervenuta per Euro 4.786,46, somma quasi doppia. Di qui il denunciato vizio di ultra petizione.
Tale motivo è fondato. Sussiste il dedotto vizio di ultra petizione.
Dal consentito accesso agli atti in questa sede, in ragione del vizio denunciato, risulta che gli odierni intimati in primo grado limitarono la loro richiesta di risarcimento nell’ambito della competenza per valore del giudice di pace, allora pari a 2,582,28 Euro, riproponendo esattamente la medesima domanda in sede appello.
Sicchè il giudice non avrebbe potuto pronunciare oltre tale limite (vedi Cass. 2005 n. 1752).
2. In conclusione vanno respinti i primi tre motivi di ricorso, mentre va accolto il quarto. L’impugnata sentenza va, quindi, cassata quanto all’entità del risarcimento riconosciuto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto è consentito in questa sede pronunciare nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, riformando la sentenza impugnata in punto condanna al risarcimento dei danni, che va limitata alla somma di Euro 2.582,28, confermando nel resto.
3. In relazione all’esito della impugnazione e all’esito complessivo della giudizio, ritiene il Collegio che sussistano giusti motivi per compensare le spese del presente grado.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il quarto motivo del ricorso, cassa in relazione e, decidendo nel merito, limita la condanna al risarcimento del danno all’importo di Euro 2.582,28. Conferma nel resto. Spese compensate.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 marzo 2012.
Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2012

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