Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-10-2011) 13-12-2011, n. 46195 Aggravanti comuni danno rilevante Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

S.Y. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Roma confermava quella del tribunale della medesima città con cui in data 23 giugno 2010 era stato condannato alla pena di giustizia per il reato di cui agli artt. 56, 609 bis, artt. 582, 585 c.p. per avere, con violenza consistita nel colpirla al volto con più pugni causandole una frattura delle ossa nasali, tentato di consumare un rapporto sessuale con V.T., non riuscendo nell’intento per la resistenza della vittima. Deduce in questa sede il ricorrente:
1) la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’art. 609 bis sul rilievo che la corte di appello avrebbe omesso di motivare congniamente l’iter logico argomentativo in base al quale era pervenuta ad una prognosi negativa nei confronti dell’imputato ed avrebbe omesso di motivare in ordine alla circostanza che la persona offesa aveva i vestiti intatti, comprese le calze, ed il fatto che ambedue i soggetti coinvolti fossero in stato di ebbrezza alcolica, ed ancora sulla incompatibilità per l’imputato dell’impulso del desiderio sessuale con l’abuso alcolico e la crisi di astinenza da stupefacenti;
2) la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione agli artt. 512 e 526 c.p.p., comma 1 bis, in relazione all’art. 111 Cost., ed all’art. 6 CEDU. Si fa rilevare al riguardo che punto essenziale della impugnazione era la contestazione dell’acquisizione tramite lettura ex art. 512 c.p.p., delle dichiarazioni rese della parte offesa V.T.. Si aggiunge che la persona offesa non è stata in realtà mai identificata e che risultava gravata di richiesta di cancellazione dall’anagrafe per avere da lungo tempo abbandonato il domicilio anagrafico; che avrebbe reso le dichiarazioni da letto dell’ospedale e si sarebbe resa irreperibile dopo aver firmato per la sua dimissione. Si aggiunge che la condanna non può basarsi sulle dichiarazioni di chi si sia volontariamente sottratto al contraddittorio e che erroneamente non sarebbe stato effettuato l’incidente probatorio in relazione alla condizione della denunciante in quanto dedita all’alcol e dimorante per strada:
3) la violazione dell’art. 603 c.p.p., per non avere accolto le richieste finalizzate a un supplemento istruttorio per le ricerche della sedicente V.T.;
4) il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 609 bis c.p.p., comma 3.
MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
Vanno affrontati, nell’ordine logico, anzitutto il secondo al terzo motivo di ricorso.
Al riguardo si deve ritenere adeguatamente motivata l’imprevedibilità della irreperibilità successiva della denunciante sulla base del rilievo che la stessa nell’immediato aveva collaborato con le forze dell’ordine facendosi accompagnare in ospedale, rendendo ogni utile notizia per l’avvio del procedimento, confermando anche il giorno successivo la volontà che colpevole fosse punito. Logicamente i giudici di appello sottolineano anche che la scelta del rito immediato presupponeva comunque che il processo si sarebbe comunque celebrato in tempi estremamente ravvicinati e, quindi, non vi potevano essere nemmeno timori legati alle incertezze dei tempi processuali.
Facendo corretta applicazione dei principi enunciati dalla Corte, in relazione alle pronunce CEDU, la corte di merito ha comunque ritenuto di dover evidenziare come, peraltro, in nessun caso le dichiarazioni della donna potessero essere considerate come unico elemento di prova contro l’imputato.
Vengono al riguardo correttamente citate le due testimonianze rese dai testi P. e L. il primo dei quali ha riferito di aver chiesto l’intervento delle forze dell’ordine perchè attratto dalle grida di aiuto della donna e di aver trovato l’uomo accovacciato su quest’ultima che presentava il vestito tirato su e le gambe scoperte ed il secondo che aveva confermato di aver visto l’imputato sopra la donna che aveva le gambe scoperte e la veste tirata su.
Di qui l’infondatezza del secondo motivo.
Anche il terzo motivo deve ritenersi infondato.
La corte di merito ha correttamente tenuto ad aggiungere che le dichiarazioni della V. sono state in realtà acquisite all’esito di articolate ed adeguate ricerche nel luogo dell’ultimo domicilio e presso l’amministrazione penitenziaria.
Le confutazioni del ricorrente sul punto sono del tutto generiche ed, infatti, l’imputato non indica in questa sede quali ulteriori accertamenti si sarebbero resi possibili e sarebbero stati invano richiesti al giudice anche in sede di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex art. 603 c.p.p..
Pertanto il terzo motivo si appalesa sostanzialmente inammissibile.
Venendo ora all’esame del primo motivo, richiamate le premesse di cui sopra, rimane solo da verificare la logicità della motivazione con riferimento alla ricostruzione dei fatti.
Le modalità descritte in sentenza, non collidono affatto con i rilievi del ricorrente in quanto il giudice di appello si è fatto espressamente carico di motivare le ragioni della ritenuta ininfluenza dello stato di ebbrezza o di altri asseriti impedimenti sulla violenza citando le dichiarazioni dei testi coincidenti sul fatto che l’imputato era stato trovato accovacciato sulla donna che gridava e presentava le gambe scoperte ed il vestito alzato.
Nè può ritenersi fondato, alla luce di quanto detto, il rilievo secondo cui la corte di merito avrebbe trascurato di confrontarsi con le questioni dedotte nei motivi di appello.
Quanto all’ultimo motivo di ricorso, viene correttamente valorizzata dai giudici di appello la gravità complessiva del fatto. Peraltro, nè nei motivi di appello, nè in quelli di ricorso, risultano indicate le ragioni per le quali il giudice di merito avrebbe dovuto riconoscere la diminuente dell’art. 609 bis c.p.p., comma 3 con l’evidente ricaduta in termini di inammissibilità anche di quest’ultimo motivo.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE SPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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