Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 04-07-2012, n. 11162 U. S. L. indennità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 7 marzo 2007, in riforma della sentenza del Tribunale di Como, ha rigettato la domanda proposta da E.P., collaboratore professionale sanitario, categoria D5, nei confronti dell’Azienda Ospedaliera "Ospedale Sant’Anna di Como", presso la quale prestava servizio a tempo indeterminato, volta ad ottenere l’indennità di coordinamento prevista dall’art. 10 CCNL Comparto Sanità II biennio economico 2000/01 stipulato il 20 settembre 2001.
Ha osservato la Corte territoriale che sia nel laboratorio di (OMISSIS) che in quello di (OMISSIS), ove E.P. aveva prestato servizio, le posizioni di coordinamento erano stano conferite dall’Azienda Ospedaliera ad altri dipendenti, sicchè, dovendo escludersi secondo la citata norma contrattuale che presso ogni singolo reparto le funzioni di coordinamento potessero essere svolte da più coordinatori, la domanda non poteva trovare accoglimento.
Nè, ad avviso della Corte territoriale, la documentazione prodotta, ed in particolare la lettera trasmessa all’Ufficio del personale dal medico responsabile dei laboratori di analisi delle due sedi anzidette, era idonea a provare le reali funzioni di coordinamento svolte dal dipendente, risultando che queste erano state disimpegnate in sostituzione del tecnico al quale formalmente erano state affidate le funzioni di coordinamento.
Per la riforma della sentenza ha proposto ricorso per cassazione il dipendente sulla base di tre motivi. L’Azienda ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Deve innanzitutto osservarsi che il ricorrente, con la memoria difensiva ex art. 378 c.p.c., ha eccepito la inammissibilità del controricorso, assumendo che la procura speciale, apposta a margine del primo foglio dello stesso, è generica, non facendo menzione del "nominativo della parte controricorrente" e della sentenza impugnata.
2. L’eccezione è infondata. E’ infatti principio consolidato di questa Corte che la procura rilasciata a margine del ricorso o del controricorso, costituendo corpo unico con l’atto cui inerisce, esprime necessariamente il suo riferimento a questo e garantisce così il requisito della specialità del mandato al difensore.
Peraltro nella specie risulta che essa, recante il nome, il cognome e la firma del Direttore generale dell’Azienda controricorrente, è stata dal medesimo rilasciata al difensore per la rappresentanza e difesa "in questa procedura", elemento questo che individua chiaramente l’oggetto del controricorso.
3. Con il primo motivo il ricorrente denunzia omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè omessa ammissione e/o valutazione di un documento.
Deduce che l’assunto della Corte d’Appello, secondo cui l’art. 10 CCNL Comparto Sanità II biennio economico 2000/01 stipulato il 20.9.2001 è da interpretare nel senso che l’indennità di coordinamento può essere attribuita ad una sola persona, non è corretto. Al riguardo è decisiva la circostanza che la bozza di regolamento in materia di attribuzione di incarichi di coordinamento aziendale prevedeva, fra l’altro, che all’interno di una singola unità operativa non potesse essere individuata più di una figura di coordinamento per ogni profilo. Tale ultimo periodo è stato eliminato in sede di stipula definitiva del contratto collettivo, onde è da ritenere che la volontà delle parti sociali fosse quella di consentire la nomina di più coordinatori all’interno della stessa unità operativa.
Aggiunge il ricorrente che sull’ammissione di detta bozza di regolamento il giudice di primo grado, nell’accogliere la domanda, non si è pronunziato, mentre la Corte d’Appello, alla quale la richiesta di ammissione è stata riproposta, ha ignorato il documento in questione la cui rilevanza era decisiva per il giudizio.
4. Il motivo non è fondato.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giurìdica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).
Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità tra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (cfr., tra le altre, Cass. 9 agosto 2004 n. 15355; Cass. 21 aprile 2006 n. 9368; Cass. 18 aprile 2007 n. 9245;
Cass. 26 giugno 2007 n. 14752).
Nella specie la Corte territoriale, dopo aver affermato che era corretta l’interpretazione dell’Azienda appellante dell’art. 10 CCNL Comparto Sanità sopra citato, secondo cui la funzione di coordinamento delle attività e del personale di ogni singolo reparto doveva essere attribuita ad un solo coordinatore, ha aggiunto che sia il laboratorio di (OMISSIS) che quello di Cantù erano coordinati da altri dipendenti a seguito del conferimento dei relativi incarichi da parte dell’Azienda.
La bozza di regolamento richiamata dal ricorrente – che il medesimo ha chiesto di produrre nel corso del giudizio di primo grado e sulla cui ammissione la Corte di Appello e, ancor prima, il Tribunale, non si sono pronunziati, prescindendo nelle loro decisioni da tale documento – non costituisce un elemento decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, trattandosi, da un lato, di documento non acquisito agli atti di causa e implicitamente non ammesso o comunque ritenuto irrilevante ai fini della decisione; dall’altro non idoneo a far ritenere, con un giudizio di certezza, che l’eliminazione, nella stesura definitiva del contratto collettivo, del periodo "All’interno di una singola Unità Operativa non potrà essere individuata più di una figura di coordinamento per ogni profilo", stia a significare che nel laboratorio ove prestava servizio il ricorrente potessero operare, con funzioni di coordinamento, più unità, evenienza questa che presuppone una struttura complessa, articolata in modo tale da richiedere la presenza di più coordinatori e di cui non v’è traccia nel presente giudizio.
5. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, comma 1, n. 5 ed "in particolare omessa e/o insufficiente valutazione delle prove".
Assume che la lettera del 19 novembre 2002 trasmessa all’Ufficio del personale dal medico responsabile dei laboratori di analisi siti in (OMISSIS) e (OMISSIS), è stata richiamata dalla Corte territoriale in maniera incompleta. Da essa infatti non risulta che l’attività di coordinamento sia stata svolta dal ricorrente in sostituzione del tecnico B.M., bensì che lo stesso ricorrente "ha svolto reali funzioni di coordinamento dal 1998 a tuttora coadiuvando e sostituendo il tecnico referente B. M. nella gestione di turni del personale, nella gestione degli ordini e nei rapporti con i reparti, la farmacia, la Direzione Sanitaria e l’Ufficio Personale….".
L’attività di coordinamento peraltro era desumibile anche dalla documentazione prodotta in primo grado, e più precisamente dal certificato di servizio del 5 settembre 2003, da cui risulta che il ricorrente era "operatore professionale di 1^ categoria – coordinatore – tecnico sanitario di laboratorio medico", nonchè dalla delibera aziendale del 21 dicembre 1994 da cui si desume che lo stesso ricorrente era "tecnico di laboratorio coordinatore".
Inoltre le funzioni di coordinamento erano emerse dalla prova testimoniale, di cui la Corte d’Appello non ha tenuto conto.
6. Anche tale motivo è infondato.
La Corte di Appello ha ritenuto che dalla lettera del medico responsabile dei laboratori di analisi di (OMISSIS) e (OMISSIS), richiamata dal ricorrente, risultava che l’attività di coordinamento venne svolta dal ricorrente "in sostituzione del tecnico referente B.M.".
In realtà, detta comunicazione – riportata nel ricorso – nel dare atto che il ricorrente ha svolto effettive funzioni di coordinamento, precisa che tale attività consisteva nel coadiuvare e sostituire il tecnico referente e nell’avvicendarsi con lo stesso.
Da tale precisazione la Corte territoriale ha desunto che l’attività svolta dal ricorrente, in quanto di collaborazione e sostituzione, non abbia configurato una autentica funzione di coordinamento, quale richiesta dall’art. 10 CCNL cit..
Trattasi di valutazione non sindacabile in questa sede, risultando del tutto estraneo all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad una autonoma, propria valutazione degli atti di causa.
Non è superfluo al riguardo rilevare che nella declaratoria della categoria D del CCNL Comparto Sanità 1998-2001, in cui rientra il ricorrente, si fa riferimento a posizioni di lavoro che richiedono capacità organizzative, di coordinamento e gestionali, ma queste funzioni sono ben diverse dall’attività di coordinamento in questione, la quale integra una autonoma e distinta funzione che, in una logica "premiale", conferisce il diritto alla relativa indennità.
Quanto al certificato di servizio e alla delibera dell’Azienda richiamati dal ricorrente, documenti questi nei quali il medesimo è indicato quale tecnico di laboratorio coordinatore, è sufficiente rilevare che il mancato riferimento nella motivazione della sentenza impugnata a tali elementi, per la loro irrilevanza e non dedsività, non integra il vizio di motivazione, atteso che il vecchio profilo di operatore professionale coordinatore, attribuito al ricorrente nel 1981, venne superato dai successivi inquadramenti del personale delle professioni sanitarie nei livelli stipendiali e, successivamente, con la previsione, ad opera del contratto collettivo Comparto sanità del 2001, di quattro categorie (A, B, C, D), l’ultima delle quali attribuita al ricorrente.
Parimenti non assume rilievo il mancato riferimento, nella sentenza impugnata, alla prova testimoniale, pacifico essendo che spetta al giudice di merito, in via esclusiva, il compito di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, con la conseguenza che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione o insufficienza, può legittimamente dirsi sussistente quando nel ragionamento del giudice di merito sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia.
Nella specie le dichiarazioni dei testi assunti, riportate nel ricorso e non esaminate dalla Corte di Appello, non attengono a circostanze che avrebbero potuto indurre ad una decisione diversa da quella adottata, fondata principalmente sul rilievo che le funzioni di coordinamento dei servizi e del personale presso i lavoratori di (OMISSIS) e (OMISSIS), asseritamente svolte dal ricorrente, erano state viceversa svolte da altri.
Infine, e per completezza, va richiamato il principio affermato da questa Corte con sentenza n. 10009 del 27 aprile 2010, secondo cui "In tema di indennità per incarico di coordinamento prevista dall’art. 10, comma 3, del CCNL Comparto Sanità biennio economico 2000-2001, stipulato il 20 settembre 2001, la disposizione contrattuale collettiva si interpreta nel senso che, ai fini del menzionato trattamento economico, il conferimento dell’incarico di coordinamento o la sua verifica con atto formale richiedono che di tale incarico vi sia traccia documentale, che esso sia stato assegnato da coloro che avevano il potere di conformare la prestazione lavorativa del dipendente, e che abbia ad oggetto le attività dei servizi di assegnazione nonchè del personale, restando esclusa la possibilità per l’Amministrazione di subordinare il suddetto diritto a proprie ulteriori determinazioni di natura discrezionale".
7. Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti collettivi nazionali di lavoro (artt. 1262 e 1263 c.c. e art. 10 CCNL Comparto Sanità Biennio Economico 2000/01), rileva che la Corte di merito, omettendo di esaminare la bozza di regolamento sopra indicata, ha erroneamente ritenuto che il coordinamento di ogni singolo reparto potesse essere attribuito ad una sola persona.
Ripropone sul punto le medesime argomentazioni svolte con il primo motivo (v. sub n. 3), ponendo il quesito di diritto se la mancata pronuncia sull’ammissione della bozza di regolamento e il mancato confronto della stessa con la stesura definitiva del testo dell’art. 10 CCNL Comparto Sanità II biennio economico 2000-2001, ha violato la predetta norma contrattuale e "i criteri di interpretazione del contratto ex art. 1362 e 1363 c.c.".
Il motivo è inammissibile. Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve infatti comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo (cfr., tra le altre, Cass. 28 maggio 2009 n. 12649). Inoltre il quesito deve essere risolutivo della controversia e non già tendere alla declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità.
Nella fattispecie in esame il quesito formulato dal ricorrente da un lato presuppone la valutazione di un documento che non ha trovato ingresso nelle pregresse fasi di merito; dall’altro si sostanzia nella richiesta di declaratoria di un principio di diritto non risolutivo della controversia, trattandosi di documento privo di decisività.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 40,00 per esborsi e in Euro 3.000,00 per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.
Così deciso in Roma, il 24 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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